Vita Chiesa

Sinodo Amazzonia, documento preparatorio: card. Baldisseri, nuovi cammini per rispondere alle situazioni di ingiustizia

«La regione panamazzonica – ha ricordato il porporato – comprende più di sette milioni e mezzo di chilometri quadrati, con nove Paesi che condividono questo grande Bioma – Brasile, Bolivia, Colombia, Ecuador, Perù, Venezuela, Surinam, Guyana e Guyana francese – e coinvolge sette Conferenze episcopali. La popolazione in questo immenso territorio è di circa 34milioni di abitanti di cui oltre 3 milioni sono indigeni appartenenti a più di 390 etnie. Il bacino ideografico dell’Amazzonia rappresenta per il nostro pianeta una delle maggiori riserve di biodiversità (dal 30 al 50% della flora e della fauna del mondo) e di acqua dolce (20% dell’acqua dolce non congelata di tutto il pianeta). Inoltre, la regione possiede più di un terzo dei boschi primari del pianeta, ed è un importante fornitore di ossigeno per tutta la terra». Ecco una sintesi del testo.

«Foresta minacciata dai grandi interessi economici». «Oggi la ricchezza della foresta e dei fiumi amazzonici si trova minacciata dai grandi interessi economici che si concentrano in diversi punti del territorio». È il grido d’allarme contenuto nel documento diffuso oggi per «ascoltare i popoli indigeni e tutte le comunità che vivono in Amazzonia» e immaginare «il futuro di tutto il pianeta», partendo da un territorio che è «uno specchio di tutta l’umanità». «Tali interessi – la denuncia del testo – provocano, fra le altre cose, l’intensificazione della devastazione indiscriminata della foresta, la contaminazione di fiumi, laghi e affluenti per l’uso incontrollato di prodotti agrotossici, spargimento di petrolio, attività mineraria legale e illegale, dispersione dei derivati della produzione di droghe». Senza contare il narcotraffico, che «mette a repentaglio la sopravvivenza dei popoli che dipendono delle risorse animali e vegetali di questi territori». Le città dell’Amazzonia, l’analisi del documento, «sono cresciute molto rapidamente, accogliendo molti migranti e profughi costretti a fuggire dalle loro terre e sospinti verso le periferie dei grandi centri urbani che si protendono in direzione della foresta. In maggioranza sono popoli indigeni, popoli delle rive dei fiumi e popoli di origine africana, espulsi dall’industria mineraria legale e illegale e da quella dell’estrazione petrolifera, accerchiati progressivamente dall’espansione delle attività di disboscamento. Costoro sono i più colpiti dai conflitti agrari e socio-ambientali. Anche le città si caratterizzano per le disuguaglianze sociali. La povertà che si è prodotta lungo la storia ha ingenerato rapporti di sottomissione, di violenza politica e istituzionale, aumento del consumo di alcool e di droghe – sia nelle città che nelle comunità rurali – e rappresenta una ferita profonda inferta ai diversi popoli amazzonici».

«Cresce atteggiamento xenofobo e di criminalizzazione verso i migranti e i profughi». Donne vittime della «tratta». «Attualmente fra il 70 e l’80% della popolazione della Panamazzonia risiede nelle città». È il dato contenuto nel documento, in cui si fa notare che «i movimenti migratori più recenti all’interno della regione amazzonica si caratterizzano, soprattutto, per il trasferimento degli indigeni dai loro territori d’origine alle città». «Molti di questi indigeni non hanno documenti o sono irregolari, rifugiati, abitanti delle rive dei fiumi o appartengono ad altre categorie di persone vulnerabili», si fa notare nel testo: «Di conseguenza cresce in tutta l’Amazzonia un atteggiamento xenofobo e di criminalizzazione verso i migranti e i profughi. Questo, al tempo stesso, favorisce lo sfruttamento delle popolazioni amazzoniche, vittime del mutamento di valori dell’economia mondiale, in base al quale il guadagno è più importante della dignità umana». L’esempio citato è la «crescita drammatica del traffico di persone, specialmente donne, ai fini dello sfruttamento sessuale e commerciale». Le donne, così, «perdono il loro protagonismo nei processi di trasformazione sociale, economica, culturale, ecologica, religiosa e politica delle loro comunità». «La crescita smisurata delle attività agricole, estrattive e di disboscamento dell’Amazzonia non solo ha danneggiato la ricchezza ecologica della regione, della sua foresta e delle sue acque, ma ha anche impoverito la realtà sociale e culturale», la denuncia: «Ha obbligato a uno sviluppo umano non integrale né inclusivo del bacino amazzonico». Ciononostante, si registra «un incremento delle competenze organizzative e un progresso della società civile, con particolare attenzione alle problematiche ambientali»: «Nel campo dei rapporti sociali, e malgrado i limiti – l’omaggio del testo – la Chiesa cattolica ha in generale portato avanti un lavoro significativo, rafforzando i propri cammini a cominciare dalla sua presenza incarnata nel territorio e dalla sua creatività pastorale e sociale».

«I popoli originari amazzonici non sono stati mai così minacciati come adesso». Il documento prende a prestito le parole pronunciate dal Papa a Puerto Maldonado, nel suo viaggio in Cile e Perù, per ricordare che «nella sua storia missionaria, l’Amazzonia è stata luogo in cui si è testimoniato concretamente cosa significa stare sulla croce, addirittura essa è stata molte volte luogo di martirio». «Oggi, purtroppo, esistono ancora tracce residuali del progetto colonizzatore che ha generato rappresentazioni di inferiorità e di demonizzazione delle culture indigene», il grido d’allarme: «Queste tracce indeboliscono le strutture sociali indigene e rendono possibile il fatto che essi vengano privati delle loro conoscenze intellettuali e dei loro mezzi di espressione»: così gli abitanti diventano «vittime di un neocolonialismo feroce, mascherato da progresso». Nei nove Paesi che compongono la regione panamazzonica si registra la presenza di circa tre milioni di indigeni, che rappresentano quasi 390 popoli e nazionalità differenti, si ricorda nel testo, in cui si citano anche i «Piav», o «popoli liberi» – fra i 110 e i 130 Popoli indigeni in isolamento volontario – e la nuova categoria costituita dagli indigeni che vivono nel tessuto urbano, «alcuni dei quali restano riconoscibili mentre altri in quel contesto tendono a dissolversi e per questo sono chiamati invisibili». «Ognuno di questi popoli rappresenta un’identità culturale particolare, una ricchezza storica specifica e un modo peculiare di guardare la realtà e ciò che li circonda, nonché di rapportarsi con tutto questo a partire da una visione del mondo e da un’appartenenza territoriale specifiche», il monito del documento, in cui si fa presente che «oltre alle minacce che emergono dall’interno delle loro culture, i popoli indigeni hanno subito forti minacce esterne fin dai primi contatti con i colonizzatori». «Contro tali minacce i popoli indigeni e le comunità amazzoniche si organizzano, lottando per la difesa della loro esistenza e delle loro culture, dei loro territori e dei loro diritti, e della vita dell’universo e della creazione intera», l’analisi dello scenario attuale, in cui «i più vulnerabili sono i Piav, che non possiedono strumenti di dialogo e di negoziazione con gli agenti esterni che invadono i loro territori». Negli ultimi anni, tuttavia, «i popoli indigeni hanno iniziato a scrivere la loro storia e a descrivere in modo più preciso le loro culture, abitudini, tradizioni e saperi. Hanno scritto sugli insegnamenti ricevuti dai loro antenati, genitori e nonni, insegnamenti che rappresentano memorie personali e collettive». A fronte di questo processo d’integrazione, «sorgono organizzazioni indigene che cercano di approfondire la storia dei loro popoli, per orientarne la lotta per l’autonomia e l’autodeterminazione». «Nessuna iniziativa può ignorare che il rapporto di appartenenza e di partecipazione che chi abita in Amazzonia stabilisce con il creato fa parte della sua identità e contrasta con una visione mercantilista dei beni della creazione», si legge nel testo, sulla scorta della Laudato si’: in molti di questi contesti, «la Chiesa cattolica è presente mediante missionari e missionarie impegnati nelle cause dei popoli indigeni e amazzonici».

Pianeta non è «una grande discarica». No a «nuovi colonialismi ideologici». «Proteggere i popoli indigeni e i loro territori è un’esigenza etica fondamentale e un impegno fondamentale per i diritti umani. Per la Chiesa ciò si trasforma in un imperativo morale coerente con la visione di ecologia integrale di Laudato si’». Questo l’imperativo al centro del documento, che cita a più riprese la visita a Puerto Maldonado, in cui il Papa ha invitato «a modificare il paradigma storico in base al quale gli Stati considerano l’Amazzonia come un deposito di risorse naturali, passando sopra la vita dei popoli originari e non preoccupandosi della distruzione della natura». «Il rapporto armonioso fra il Dio Creatore, gli esseri umani e la natura si è spezzato a causa degli effetti nocivi del neoestrattivismo e della pressione dei grandi interessi economici che sfruttano il petrolio, il gas, il legno, l’oro, e anche a causa della costruzione di opere infrastrutturali», la denuncia del testo, in cui si citano «megaprogetti idroelettrici e reti stradali, come le superstrade interoceaniche» e le monocolture industriali. «La cultura imperante del consumo e dello scarto trasforma il pianeta in una grande discarica», la tesi di fondo: «Il Papa denuncia questo modello di sviluppo come anonimo, asfissiante, senza madre; ossessionato soltanto dal consumo e dagli idoli del denaro e del potere». No, quindi, a «nuovi colonialismi ideologici mascherati dal mito del progresso, che distruggono le identità culturali proprie», sì invece alla difesa delle culture e della «saggezza ancestrale» che propone «un rapporto armonioso fra la natura e il Creatore, ed esprime con chiarezza che la difesa della terra non ha altra finalità che non sia la difesa della vita». La minaccia contro i territori amazzonici, per Papa Francesco, proviene anche «dalla perversione di certe politiche che promuovono la ‘conservazione’ della natura senza tenere conto dell’essere umano»: di qui la necessità di «conciliare il diritto allo sviluppo, compreso quello sociale e culturale, con la tutela delle caratteristiche proprie degli indigeni e dei loro territori». «La situazione del diritto al territorio dei popoli indigeni in Panamazzonia ruota intorno a una problematica costante, quella della mancata regolarizzazione delle terre e del mancato riconoscimento della loro proprietà ancestrale e collettiva», l’analisi del documento, in cui si elogia il «buon vivere» dei vecchi saggi dell’Amazzonia, concepito come «un progetto di armonia fra Dio, i popoli e la natura» e si stigmatizza l’attività di «alcune sette che motivate da interessi esterni al territorio, non sempre favoriscono l’ecologia integrale».

Serve cambiamento di rotto integrale. «La Chiesa è chiamata ad accompagnare e a condividere il dolore del popolo amazzonico e a collaborare alla guarigione delle sue ferite», attraverso «un ascolto attento contemporaneamente al grido dei poveri e a quello della terra». È l’appello del documento, dove – sulla scorta del documento di Aparecida – si ribadisce che «non prendersi cura della casa comune è un’offesa al Creatore, un attentato contro la biodiversità e, in definitiva, contro la vita». Quello dell’Amazzonia, si legge nel testo, «è un grido di schiavitù e di abbandono, che domanda la libertà e l’attenzione di Dio. È un grido che invoca la presenza di Dio, specialmente quando i popoli amazzonici, per difendere le proprie terre, si scontrano con la criminalizzazione della loro protesta – sia ad opera delle autorità che dell’opinione pubblica -; o quando sono testimoni della distruzione della foresta tropicale, che costituisce il loro habitat millenario; o quando le acque dei loro fiumi si riempiono di elementi che producono morte anziché vita». «In Amazzonia la nozione di ecologia integrale è una chiave per rispondere alla sfida di tutelare l’immensa ricchezza della sua biodiversità ambientale e culturale», la proposta del testo a partire dalla Laudato si’: «L’Amazzonia è un polmone del pianeta e uno dei luoghi in cui si trova maggiore biodiversità nel mondo. Riconoscere il territorio amazzonico come bacino, al di là delle frontiere tra i Paesi, aiuta ad avere uno sguardo integrale sulla regione, essenziale per la promozione di uno sviluppo e di una ecologia integrali». Le «minacce», invece, provengono da una «visione consumistica dell’essere umano»: per questo occorre «stabilire ponti che possano articolare i saperi ancestrali con le conoscenze contemporanee, particolarmente quelle che riguardano l’utilizzo sostenibile del territorio e uno sviluppo coerente con i sistemi di valori e con le culture dei popoli che abitano questi luoghi, da riconoscere come loro autentici custodi, e in definitiva come loro proprietari». L’ecologia integrale, in sintesi, «ci invita a una conversione integrale», a un «cambiamento di rotta integrale» che «non può esaurirsi in una conversione di tipo individuale»: «Un cambiamento profondo del cuore, espresso in comportamenti personali – la proposta del testo – è necessario quanto un cambiamento strutturale, espresso in comportamenti sociali, in leggi e in programmi economici coerenti».