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46ª Settimana sociale, documento conclusivo

Unità, speranza e responsabilità. Sono le tre parole chiave proposte nelle conclusioni della 46a Settimana sociale dei cattolici italiani (Reggio Calabria, 14–17 ottobre 2010) e che oggi vengono messe al centro del documento conclusivo diffuso dal Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali dei cattolici italiani. Ecco il testo integrale documento in formato pdf.

Settimane Sociali dei Cattolici Italiani- Comitato Scientifico e Organizzatore

Un cammino che continua … dopo Reggio CalabriaDOCUMENTO CONCLUSIVO DELLA 46a SETTIMANA SOCIALE DEI CATTOLICI ITALIANI (REGGIO CALABRIA, 14 – 17 OTTOBRE 2010)

1. La 46a Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, svoltasi a Reggio Calabria dal 14 al 17 ottobre 2010 con il titolo Cattolici nell’Italia di oggi. Un’agenda di speranza per il futuro del Paese, è stata un evento ricco di speranza. Prima ancora della pubblicazione di questo atteso documento conclusivo, il cantiere della Settimana Sociale ha spontaneamente e diffusamente ripreso il lavoro nelle Chiese particolari, con il pieno e generoso impegno dei Vescovi e con un coinvolgimento ampio e convinto.

All’atto del suo insediamento, il Comitato Scientifico e Organizzatore era stato invitato a impegnarsi perché la Settimana Sociale del 2010 fosse caratterizzata dal coinvolgimento di tutte le componenti ecclesiali[1]. Quella indicazione si era già rivelata feconda nella fase di preparazione[2] e continua a esserlo anche in questo momento. Possiamo testimoniare che nei due anni trascorsi le sollecitazioni pastorali hanno trovato una risposta pronta. Ciò è motivo di sincera gioia e radice di gratitudine (cfr Fil 1,3).

 

Un incontro che rinnova il cammino

2. La nostra riconoscenza va anzitutto a Dio Padre, da cui proviene ogni dono perfetto (cfr Gc 1,17), ricordando che le giornate di Reggio Calabria ci hanno dato la possibilità di comprendere un po’ meglio quanti doni il Signore ha fatto alle persone che abbiamo incontrato e ascoltato (1 Cor 1,4).

Vogliamo ora essere parte del lavoro di discernimento ecclesiale che continua e condividere la responsabilità di custodire il significato e il valore dell’esperienza reggina, partecipando alla ricerca di orientamenti per questo impegnativo presente. Scopo di questo testo è contribuire all’«approfondimento» ed all’«assimilazione»[3] di quanto emerso dalla 46a Settimana Sociale.

Ci rivolgiamo a tutti coloro che hanno preso parte al cammino preparatorio nel corso del quale è emersa l’«agenda di speranza» di cui si è discusso a Reggio Calabria, anche a quanti non hanno potuto presenziare a quelle giornate. Queste riflessioni sono poi rivolte a coloro che hanno preso parte ai lavori della 46a Settimana Sociale e che possono avvalersi di questo strumento nelle Chiese particolari e in altri ambiti. In certo senso, però, questo testo è offerto a tutti i cattolici italiani, perché a tutti è diretto l’invito che scaturisce dalla rinnovata coscienza della grave responsabilità che ci è affidata in ordine al servizio del bene comune del Paese. Oggi è quanto mai evidente che «il cristiano che trascura i suoi impegni temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso, e mette in pericolo la propria salvezza eterna» (GS 43; cfr DCE 29). Ci rivolgiamo infine a tutti gli italiani, perché quello al bene comune è servizio che possiamo rendere insieme: «la Chiesa non cerca l’interesse di una parte della società – quella cattolica o che in essa comunque si riconosce – ma è attenta all’interesse generale»[4] e insegna ai cristiani a impegnarsi perché il vivere sociale sempre di nuovo acquisti forma di città (cfr CV 7).

3. Nelle conclusioni venivano proposte tre parole capaci di conservare la memoria della 46a Settimana Sociale: unità, speranza, responsabilità[5]. Nuove prospettive di unità sono aperte dall’esperienza del discernimento ecclesiale: lo sperare prende forma più definita attraverso il discernimento stesso e dà energia spirituale alla responsabilità. La consapevolezza delle ragioni riassunte da queste parole ci aiuta a evitare che la gioia si disperda in entusiasmi passeggeri, assumendo invece la forma della gratitudine.

In primo luogo non va smarrito quel senso di unità nato dalla meraviglia provata quando nei momenti assembleari e nelle sessioni di studio ci siamo reciprocamente testimoniati la dedizione appassionata e le competenze personali, la vitalità delle Chiese locali e il loro faticoso e attivo sperare. In effetti, si sono incontrate persone che raramente possono ritrovarsi, impegnate spesso in situazioni difficili. Nell’atto dell’incontro, hanno potuto testimoniare reciprocamente, con franchezza e misura, che anche nelle situazioni più problematiche «Dio ci dà la forza di lottare e di soffrire per amore del bene comune» (CV 78): «non c’è delusione per coloro che in Te confidano» (Dn 3,40). L’impegno a elaborare un’agenda di problemi cruciali[6] in vista del bene comune del Paese aveva come condizione chiave che effettivamente si dessero soggetti capaci di perseguire quelle opzioni realistiche ed eticamente non indifferenti per cui passa il cammino verso il bene comune. Gioia e speranza sono nate non solo dal sapere, ma dall’incontrare e dialogare con quanti hanno nell’amore cristiano il principio e il fondamento della loro dinamica e praticano la «via istituzionale alla carità» (CV 7). È questa una via di unità nell’impegno a promuovere anzitutto una cultura dell’uomo, della vita, della famiglia, fonte di uno sviluppo autentico, perché fondato sul rispetto assoluto e totale di ogni persona. In un modo speciale, insieme al lavoro delle sessioni tematiche, il pomeriggio dedicato a un viaggio attraverso storie, racconti, esperienze, immagini di un Paese solidale ha offerto uno sguardo certo non esauriente, ma efficace e promettente, su questa ricchezza. La fatica del pensare è stata fecondata e animata dall’ascolto della Parola di Dio e del Magistero e ha trovato la fonte e il culmine nella celebrazione dell’Eucaristia, posta nel cuore di ogni giornata e accompagnata dall’adorazione perpetua nella città di Reggio Calabria e dalla preghiera dei tanti monasteri di clausura che si sono coinvolti nella Settimana Sociale fin dalla fase preparatoria. In queste esperienze si è rafforzata l’intuizione del nesso essenziale tra Eucaristia e città, sul quale era stata costruita la Settimana Sociale stessa[7].

In secondo luogo, alla radice della gratitudine vi è l’esperienza di aver condiviso un lungo e ricco cammino di preparazione, durante il quale siamo divenuti più consapevoli della forza della speranza. Le giornate di Reggio Calabria – relazioni, confronto, dialogo, gruppi di studio, momenti unitari – si sono realizzate come un evento di fede culturalmente significativo. In un clima di ascolto reciproco, in una dialettica costruttiva e fraterna, senza conflitti o esasperazioni, senza integralismi o fondamentalismi, tesa alla ricerca della verità nella carità, abbiamo sperimentato una fede pensata insieme, capace di leggere la storia e di farsi conoscenza sapienziale creativa e costruttiva. La veracità e il valore di questo discernimento è dipeso anche dal fatto di non aver evitato neppure le domande più difficili ed esigenti. Ci siamo detti come stanno le cose e qual è la posta in gioco, abbiamo messo a fuoco le questioni cruciali e realisticamente prioritarie. Non ci si è nascosti di fronte ai dati della realtà. Si è raccolto il frutto di una preparazione seria, prolungata e partecipata, a cui avevano contribuito le Chiese particolari con gli uffici diocesani per la pastorale sociale, l’Università Cattolica del Sacro Cuore e l’Azione Cattolica Italiana, come pure tante aggregazioni e movimenti ecclesiali, le congregazioni religiose, istituzioni, realtà d’ispirazione cristiana e singole personalità[8]. Tocca a noi guardare al futuro del Paese senza paura, con quella «speranza affidabile» che nasce dal Risorto e va incarnata nella vita di ogni giorno. Siamo noi i primi a essere chiamati a operare in un orizzonte di vita e non di declino. È proprio il caso di riprendere le parole di don Luigi Sturzo: la speranza ci rende «liberi e forti». Abbiamo questo debito anzitutto verso i giovani.

In terzo luogo, durante la 46a Settimana Sociale sono emerse con chiarezza le grandi responsabilità poste oggi di fronte ai cattolici italiani, con riferimento a ogni ambito della vita della civitas. Attraverso esperienze come questa ci è dato di comprendere in termini storicamente determinati come la fede si faccia condivisione, corresponsabilità, partecipazione. In questo stesso cammino, mentre si è sperimentata la verità dell’impegno della Chiesa per il bene comune[9], si sono espresse le ragioni e la rinnovata forza di quel particolare e decisivo contributo proprio dei laici, in primo luogo con riferimento ad ambiti rimessi anzitutto alla loro responsabilità (cfr LG 31ss.; GS 43). Tutto questo ha mostrato un laicato bello, non silente, preparato, capace di dar vita a una nuova stagione del proprio insostituibile apostolato.

Abbiamo una responsabilità verso tutto il Paese e specialmente verso i giovani: ci aiuti lo Spirito del Signore a lavorare per il bene di tutti e di ciascuno, unico intento del nostro impegno in ogni ambito e settore della vita civile.

 

Il servizio del Magistero

4. Il primo grande dono che le giornate di Reggio Calabria hanno ricevuto è costituito dal messaggio del Santo Padre Benedetto XVI, il cui respiro supera ampiamente la circostanza che lo ha provocato[10].

Dalle parole del Santo Padre e da quelle dei nostri Vescovi, anzitutto del Cardinale Presidente della CEI, è venuto un orientamento determinante e illuminante per l’impegno della Chiesa italiana per il bene comune del Paese, con un contributo rivolto non solo ai presenti e ai cattolici, ma anche all’opinione pubblica.

5. Il messaggio di Benedetto XVI ha in primo luogo riconosciuto e legittimato il cammino di discernimento caratteristico di questa Settimana Sociale. Egli ha espresso «profonda gratitudine per il contributo di riflessione e di confronto che, a nome della Chiesa in Italia, volete offrire al Paese. Tale apporto è reso ancor più prezioso dall’ampio percorso preparatorio». Questo stesso confortante riconoscimento si è esteso a tutto il lavoro delle giornate reggine: «La Settimana Sociale che state celebrando intende proporre “un’agenda di speranza per il futuro del Paese”. Si tratta, indubbiamente, di un metodo di lavoro innovativo, che assume come punto di partenza le esperienze in atto, per riconoscere e valorizzare le potenzialità culturali, spirituali e morali inscritte nel nostro tempo». In questa prospettiva, con uno sguardo all’attualità, Benedetto XVI ha auspicato che «alla vigilia del 150° anniversario dell’Unità nazionale, da Reggio Calabria possa emergere un comune sentire, frutto di un’interpretazione credente della situazione del Paese; una saggezza propositiva, che sia il risultato di un discernimento culturale ed etico, condizione costitutiva delle scelte politiche ed economiche».

In ordine a questo impegno, il Papa ha offerto un’indicazione straordinariamente esigente: nell’analisi della congiuntura, in un’ora segnata dalla crisi economica, occorre andare alla radice culturale dei problemi, che si manifestano «in particolare nella crisi demografica, nella difficoltà a valorizzare appieno il ruolo delle donne, nella fatica di tanti adulti nel concepirsi e porsi come educatori». Alla «cultura» viene così riconosciuto uno spessore e una concretezza sovente trascurati: sono «cultura» i modi e i luoghi in cui vita e socialità si incontrano. Su questa base, si spiega la speciale attenzione dedicata ai modi e ai luoghi nei quali questo incontro è esposto al rischio più radicale, quello di soccombere alla tentazione delle istituzioni di autofondarsi e rendersi assolute. Si comprende, allora, l’invito a riconoscere «l’insostituibile funzione sociale della famiglia cuore della vita affettiva e relazionale», chiedendo che «tutti i soggetti istituzionali e sociali si impegnino nell’assicurare alla famiglia efficaci misure di sostegno, dotandola di risorse adeguate e permettendo una giusta conciliazione dei tempi di lavoro», o il richiamo all’urgenza di affrontare «il fenomeno migratorio e, in particolare, la ricerca di strategie e di regole che favoriscano l’inclusione delle nuove presenze», nel pieno rispetto della legalità, riconoscendo il protagonismo degli immigrati, sentendoci chiamati a presentare loro il Vangelo, annuncio di salvezza e di vita piena per ogni persona.

In questo senso molto concreto, è culturale il campo nel quale si decide dell’adeguatezza o meno delle forme sociali rispetto all’eccedenza di ogni vita umana e della sua intrinseca dignità, che implica responsabilità non solo da parte degli altri, ma anche da chi ha ricevuto tale dono. È questo il campo del bene comune, categoria portante della dottrina sociale della Chiesa, cioè di «ciò che costruisce e qualifica la città degli uomini». Spendersi per il bene comune «non è compito facile, ma nemmeno impossibile, se resta ferma la fiducia nelle capacità dell’uomo, si allarga il concetto di ragione e del suo uso e ciascuno si assume le proprie responsabilità». Per questa stessa ragione il bene comune non è compito che possa essere delegato a qualcuno in via esclusiva, neppure alla politica: al contrario, «i soggetti politici, il mondo dell’impresa, le organizzazioni sindacali, gli operatori sociali e tutti i cittadini, in quanto singoli e in forma associata, sono chiamati a maturare una forte capacità di analisi, di lungimiranza e di partecipazione»[11].

Non si tratta di un compito facile, anche perché non può essere assolto in modo identico da generazioni chiamate ad affrontare prove e sfide spesso tanto diverse. Per questa ragione Benedetto XVI è tornato a rinnovare l’auspicio di una «nuova generazione di cattolici», capaci di assumere questa sfida in tutta la sua ampiezza, e anche in relazione a questo obiettivo ha ribadito quanto sia stato opportuno che la Chiesa in Italia abbia assunto come prioritaria per il presente decennio la sfida educativa.

6. Nella sua prolusione, il Card. Angelo Bagnasco ha prospettato l’orizzonte ermeneutico essenziale, al cui interno affrontare le questioni poste in programma, capace di sostenere il compito di comprendere per decidere.

Egli ha presentato anzitutto due criteri generali, attingendoli nel pensiero di Platone e Aristotele: ogni atto particolare non è mai concluso in sé, separato o isolato da un contesto più ampio; la necessaria distinzione tra bene e beni, dal momento che i beni particolari non sempre coincidono con il bene vero a cui ogni uomo tende e che cerca, magari inconsapevolmente. Sono due criteri che vengono dalla ragione, prima ancora che dalla rivelazione cristiana e che oggi vanno tenuti presenti in modo particolare, perché la cultura contemporanea ha frantumato l’insieme per assolutizzare la parte, teorizzando che ogni decisione abbia valore in sé, senza bisogno di contestualizzarsi e relazionarsi in prospettive più ampie, secondo una sensibilità solipsista e individualista che guarda solo all’utilità immediata.

Nella pienezza dei tempi Gesù Cristo si rivela al mondo come la pienezza del bene e della bellezza, come la verità, il logos eterno che dà luce al creato. È lui la risposta piena e definitiva alle domande ultime della ragione aperta. Perciò le scelte dei cristiani, nella vita privata come in quella pubblica, non possono prescindere da Cristo. Come diceva il beato Antonio Rosmini, non basta pensare la fede, occorre anche pensare nella fede.

Cristo è logos ma è anche amore, verità che è agape e che chiede di essere cercata con il cuore. Egli è colui che si dona: davanti alla croce, gli occhi del centurione si aprono ed egli vede all’improvviso l’epifania della verità e dell’amore.

Così la missione primaria della Chiesa è annunciare la speranza affidabile, il Signore Gesù, colui che salva l’uomo dal male più grave, il peccato, e dalla povertà più triste, la mancanza di Dio. Le stesse attività di carattere caritativo e sociale promosse dalla Chiesa vogliono essere i segni di una carità evangelica che tende a donare tutta la ricchezza di verità e amore portata da Cristo.

Il Vangelo illumina l’uomo intero, generando così non solo solidarietà, ma anche cultura e dando origine a modi di vedere se stessi, gli altri, la vita e il mondo che, pur nelle diversità e secondo tradizioni specifiche, possiedono principi comuni che generano ethos, cultura, civiltà, per promuovere lo sviluppo integrale dell’uomo (cfr CV 11).

Vivendo unito a Cristo, sale della terra e luce del mondo, il cristiano diventa a sua volta sale e luce per gli altri, in ogni ambiente di vita. Ai discepoli Gesù non dice «siate», ma «voi siete il sale della terra e la luce del mondo». La presenza della Chiesa nel mondo vuole essere a servizio di tutto l’uomo, che è uno in se stesso e non sopporta schizofrenie.

Il bene supremo della vita eterna non ostacola il bene materiale dell’individuo e della società, anzi lo promuove annunciando in Cristo la pienezza dell’umanità dell’uomo e il criterio irrinunciabile della sua dignità integrale come misura di ogni progresso e bene immediato.

La società non può disattendere la dimensione spirituale e religiosa, perché l’uomo è un essere religioso e in quanto religioso è sociale. È dunque irragionevole pretendere di confinare la religione nello spazio individuale e privato.

Se assumiamo questa prospettiva, emerge una questione cruciale. Ogni società è sempre una concreta risposta alla domanda «chi è l’uomo? Cos’è l’umano?»[12]. Nessun assetto sociale storico ha fornito e potrà mai fornire una risposta perfettamente adeguata a questa domanda, nella quale si riassume la cosiddetta “questione antropologica”. Alla luce del Vangelo, confortata da tanta sapienza antica e moderna, la Chiesa annuncia e difende l’impossibilità di ridurre l’essere umano a mero individuo, sacrificandone trascendenza e relazionalità. Essa fa costante riferimento a un assoluto incondizionato, posto a garanzia della dignità e della libertà di ogni uomo. Viene così evidenziata un’asimmetria radicale, che pone da una parte l’apertura alla vita e il riconoscimento della dignità della persona e dall’altra il valore sempre relativo delle istituzioni e delle forme sociali. Per questo, la Chiesa dedica speciale attenzione alle situazioni in cui questa asimmetria è esposta a rischi radicali, tutelando la libertà religiosa (come divieto di impedire la manifestazione pubblica dell’apertura all’assoluto e di imporne una disciplina dall’esterno)[13], la famiglia (cellula fondamentale e ineguagliabile della società, formata da un uomo e una donna e fondata sul matrimonio) e la libertà educativa (fondata sul diritto all’educazione: cfr GE 1).

Tuttavia, in questo momento, particolarmente in Europa continentale e dunque anche in Italia, la visione prevalente della laicità – erede dall’apparenza a volte dimessa delle tradizioni razionaliste e assolutiste – non di rado afferma e pratica l’esclusione della Chiesa e delle religioni dallo spazio pubblico, discrimina sull’apertura alla vita, misconosce la specificità dell’istituto familiare e a volte giunge a negare o ostacolare la libertà educativa. Nella battaglia tra libertà religiosa e laicismo, dunque, non è in gioco solo la risposta alla domanda sull’uomo, ma la possibilità stessa di porre pubblicamente tale domanda[14]. Al contrario, la responsabilità per il bene comune, a partire dalla ricerca di forme che siano caso per caso il più possibile adeguate alla libertà religiosa, all’apertura alla vita, al riconoscimento dell’istituto familiare e alla libertà educativa, è qualcosa che da sempre la Chiesa e i cristiani hanno assunto in molti modi e che hanno condiviso con gli uomini e le donne di buona volontà.

 

L’agenda di Reggio Calabria

7. L’impegno per il bene comune, fatto proprio dai credenti con rinnovata coscienza, è il modo migliore per prendere parte al presente della civitas italiana: sia facendo memoria del cammino percorso nei centocinquant’anni della vicenda unitaria, sia affrontando le difficoltà e le opportunità del tempo presente. Le parole del Presidente della Repubblica testimoniano nel modo più autorevole la trasparenza di queste intenzioni e le attese che suscitano: «Nell’anno in cui l’Italia celebra il 150° anniversario dell’unità, la Chiesa Italiana conferma la propria vocazione propositiva per la ricerca del bene e della prosperità del nostro Paese. (…) L’“agenda” testimonia il perdurante impegno dei cattolici a “fare la loro parte” per il progresso civile, economico e sociale dell’Italia, la cui identità culturale è permeata dai valori cristiani. Un impegno che si manifesta non solo affrontando, in maniera costruttiva, le diverse questioni che riguardano il nostro Paese, ma anche riconoscendo il valore delle istituzioni repubblicane ed indicando i possibili processi riformatori»[15]. E aggiunge, rivolgendosi al Card. Bagnasco: «individuo, in questo percorso, una forte consonanza fra quanto da me evocato nel messaggio di fine anno ed il Suo richiamo del maggio scorso ad uno spirito “di fedeltà e di riforma”».

8. I lavori delle giornate reggine si sono svolti con serenità ed intensità e si sono avvalsi dei preziosi contributi di Lorenzo Ornaghi, Vittorio Parsi, Ettore Gotti Tedeschi – i quali in una sessione plenaria hanno contestualizzato la situazione del Paese negli scenari politici ed economici globali –, di Michele Tiraboschi, Augusto Sabatini, mons. Giancarlo Perego, Mauro Magatti e Luca Antonini – che hanno introdotto le sessioni tematiche –, di Giuseppe Savagnone, Paolo Bedoni, Francesco Belletti, Mario Marazziti, Salvatore Martinez, mons. Vittorio Nozza e Marco Reggio, intervenuti nella penultima sessione plenaria, e dei componenti il Comitato Scientifico e Organizzatore. Le sessioni tematiche, presiedute da Carlo Costalli, Paola Stroppiana, Andrea Olivero, Franco Miano e Lucia Fronza Crepaz – che ne hanno poi riferito nell’ultima sessione plenaria –,hanno visto gli interventi di oltre quattrocento dei circa milletrecento partecipanti.

All’ordine del giorno era l’ipotesi di agenda presentata nel documento preparatorio ed emersa da quasi due anni di discernimento[16]. Si trattava di portare avanti il lavoro così avviato e di dargli una forma che ne consentisse e stimolasse la prosecuzione nelle Chiese particolari e non solo.

L’ampia ripresa delle tematiche sviluppate a Reggio Calabria, realizzatasi quasi senza soluzione di continuità, attesta in modo indiscutibile la riuscita di quelle giornate. Di questo risultato il Presidente della CEI ha fornito alcune ragioni convincenti, parlando del «felice esito della recente Settimana sociale, convocata a Reggio Calabria nel mese di ottobre, come di una occasione che ha segnato un passo in avanti rispetto a elaborazioni precedenti. E tra le ragioni del genuino successo, c’è senz’altro quella di essersi svolta al Sud, in quella terra calabra non poco tribolata, la quale tuttavia sa puntualmente raccontare come esista un altro Meridione, motivo di fierezza e di consolazione per l’Italia tutta. L’altra circostanza positiva è stata assicurata dalla consistente rappresentanza giovanile che figurava in assemblea come tra i volontari. E con i giovani, la Settimana ha parlato delle esperienze di riscatto, di maturazione delle coscienze, della necessità di leggere al positivo anche i momenti socialmente più difficoltosi. Un terzo motivo di riuscita è da individuarsi nella chiave della speranza per cercare di leggere e di ordinare i problemi secondo un’agenda propositiva, in modo ragionato e plausibile, e comunque non schiacciata sul pessimismo dilagante. Un quarto elemento è l’aver messo al centro di ogni problematica storica e sociale la “questione antropologica” nella sua integralità, sulla scorta dell’enciclica Caritas in veritate»[17].

Cercheremo di approfondire queste quattro «ragioni di successo» partendo proprio dall’ultima.

 

1a – “Questione antropologica” cuore della questione sociale

9. I lavori della Settimana Sociale ci consegnano l’esperienza condivisa di un quadro ermeneutico e di una sfida a portare l’analisi alla radice culturale delle crisi capaci di contribuire con successo al processo di discernimento ecclesiale. Questi due elementi per un verso hanno aiutato a concentrare l’attenzione e ad affinare la sensibilità nei confronti del carattere indisponibile e della dignità della persona umana, e, per altro verso, hanno contribuito a liberarci da un ingiustificato ossequio verso presunti assoluti mondani. Accogliere l’eccedenza della vita personale umana[18] provoca a riconoscere la radicale contingenza di tutte le forme sociali, sostenendo una cultura della vita e per la vita. La nozione cristiana di bene comune deriva infatti dal riconoscimento della «dignità, unità e uguaglianza di tutte le persone» (CDSC 164).  

In questa prospettiva le forme sociali appaiono plurali e non uniformi (cfr CDSC 150-151) e l’ordine sociale – per esprimersi con le parole della Caritas in veritate – «poliarchico» (n. 57), sino a consentirci di parlare anche di un bene comune fatto di più beni comuni[19], la cui cura non può mai essere affidata a un solo tipo di istituzioni, neppure politiche, né a pochi o ristretti gruppi di individui. Semmai, come recentemente ricordato da Benedetto XVI, la via che occorre percorrere nelle ricerca degli assetti sociali in generale e anche all’interno di ciascun ambito particolare, a cominciare da quello politico, è quella di poteri limitati, che si controllano reciprocamente, alla cui guida ci sia alternanza, e sull’esercizio dei quali il giudizio è rimesso ai cittadini[20]. La libertà religiosa è il cardine di questa forma di governance, poliarchica e a molti livelli, e di quel consenso etico di fondo di cui ogni società necessita[21].

Le forme sociali, contingenti, relative e plurali, non uniformi, sono perciò anche non autonome. Non hanno titolo per sottrarre la valutazione delle procedure che assumono e dei beni che pongono in essere alla luce del bene maggiore della persona umana, irriducibile a ogni istanza sociale. Nell’orizzonte ermeneutico di cui s’è detto, la responsabilità per il bene comune acquisisce la forma dell’apertura alla vita e del riconoscimento in ogni momento e in ogni persona della sua dignità, e – nello stesso tempo – quella di una costante vigilanza sociale e di un’attitudine alla riforma. Tale orizzonte ermeneutico e l’invito alla radicalità hanno giovato all’individuazione di un’agenda breve di problemi prioritari, da identificare in riferimento: (a) a criteri ispirati dall’insegnamento sociale della Chiesa; (b) a modelli di sapere sperimentati, rilevanti per soggetti con (c) interessi e (d) risorse adeguate, (e) capaci di avviare al confronto con altri e magari anche con problemi più complessi[22]. Tale orizzonte e indirizzo, insieme alla coscienza delle condizioni date, hanno consentito di sperimentare una tensione unitiva derivante dalla loro condivisione come prospettiva sul bene comune, congiunta alla possibilità di un pluralismo ragionevole costruito su basi realistiche ed eticamente solide, non indifferente ai principi e orientato al bene comune.

10. In questi termini abbiamo compreso anche quale grande potenzialità educativa offra la prassi del discernimento ecclesiale[23], quale occasione di maturazione della fede e della sua coscienza esso possa costituire[24].

Interrogarci su come assumere oggi la visione e l’ispirazione al bene comune ha la forma di una particolare opera di discernimento «dell’oggi di Dio» (CVMC 34). In Fil 1,9-10 l’apostolo Paolo esorta: «Prego perché la vostra carità si arricchisca sempre più in conoscenza e in ogni genere di discernimento perché possiate distinguere sempre meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo». Questo conoscere sapienziale in vista dell’impegno pone al credente esigenze di obbedienza e anche di fatica che vanno oltre quelle dell’«attualizzazione» o «applicazione» della fede. Esso libera dall’idea che una lettura adeguata della realtà sia già disponibile, elimina l’alibi del ricorso a strumenti scientifici neutrali, non bisognosi essi stessi del vaglio della fede, mette in gioco il soggetto credente e impone di considerare la storia come luogo in cui Dio agisce e si manifesta (cfr DV 2). Il discernimento è uno dei luoghi eminenti nei quali la libertà si rafforza e cresce mentre si fa obbedienza al Signore che parla e agisce, secondo le parole del salmo: «ascoltate oggi la sua voce: “Non indurite il cuore”» (Sal 94,8a – 8b).

Il discernimento ecclesiale e-duca anche perché pone senza paura di fronte alla realtà così com’è, pro-voca i soggetti all’individuazione di alternative realistiche eticamente non indifferenti e li in-duce a porre nella speranza radici spirituali sempre più forti e profonde (cfr 1Pt 1,3), tra cui anche quelle che servono a percorrere sempre più decisamente la via istituzionale alla carità (cfr CV 7): quelle che danno forza e forma a un credente – per ricorrere con Benedetto XVI alle parole del beato John. H. Newman –: «non arrogante, non precipitoso nei discorsi, non polemico, che conosce la propria religione, che sa cosa crede e cosa non crede»[25].

Le giornate di Reggio Calabria hanno così riconsegnato alle Chiese che sono in Italia tante persone arricchite da questa esperienza e consapevoli che essa può ripetersi con altri credenti e con altre persone di buona volontà, come contributo alla vita ecclesiale e al dibattito pubblico. Spetta a loro contribuire, come da tempo chiesto dai Vescovi, ad animare i luoghi ecclesiali del discernimento (sinodi, consigli pastorali, comunità religiose, seminari e noviziati, associazioni, istituzioni della ricerca e della comunicazione ecclesiale, …) e a idearne di nuovi.

 

2a – L’agenda di Reggio Calabria 2010

11. Formulare un’agenda di speranza per il Paese, finalizzata al servizio del bene comune, era lo scopo della 46a Settimana Sociale. Cosa può significare oggi, in Italia, per noi cattolici e per la Chiesa tutta, servire il bene comune? E, in termini moralmente ancor più stringenti: in questo momento tanto difficile, da dove è realisticamente possibile cominciare?

Questo obiettivo richiede uno sguardo ampio. La nozione di bene comune che la Chiesa insegna impedisce di guardare in una sola direzione (ad esempio, verso la politica) e di affidarsi a un solo gruppo di soggetti e di istituzioni. Chiede poi capacità di sintesi e di parsimonia, non però secondo schemi astratti, ma cercando di intendere il risultato mai scontato dell’incontro tra dati di realtà e fede. L’opera cui erano destinate le giornate di Reggio Calabria doveva avere anche una forma particolare. Per un verso andava ricercata coerenza e radicalità; per altro verso, l’agenda cui si lavorava era destinata a restare aperta. Inoltre, il mondo cambia ed essendo ben più di uno scenario, provoca la fede e la responsabilità dei credenti a risposte sempre nuove, che diventano ulteriore fattore di innovazione nella società e nella Chiesa[26].

Si trattava di mettere in discussione un’agenda che con franchezza prendesse atto che in questa fase è l’Italia stessa, le sue reti di costumi e di istituzioni, a essere in gioco. «Il processo di globalizzazione investe pesantemente l’Italia. Ne svela le risorse, ma con la stessa chiarezza ne mette in luce le tensioni, gli errori, le omissioni e i ritardi accumulatisi da molto tempo. La globalizzazione alza il velo sul peso del debito pubblico, sullo stato dei processi di istruzione e della ricerca scientifica e tecnologica, sulla bassa produttività del sistema economico, sull’attacco continuo ai diritti della persona e della vita, sulle dinamiche demografiche spesso drammatiche, sul divario tra le opportunità offerte alle donne e quelle di cui godono gli uomini, sulla minaccia portata di continuo all’istituto familiare, sulla rarefazione dei soggetti educativi, sulla crisi da mancato aggiornamento delle istituzioni politiche, sul dilagare della povertà e delle povertà, sull’incapacità di debellare e a volte anche solo di fronteggiare con efficacia la criminalità organizzata, sull’abbandono quando non la devastazione del patrimonio ambientale, artistico e culturale. (…) Insomma, l’Italia si trova oggi ad affrontare le prove della globalizzazione da “media potenza declinante”. Questa tendenza non ha nulla di fatale, ma non può essere negata»[27]. Il divario tra Nord e Sud è solo una delle possibili prospettive sintetiche delle tensioni che la globalizzazione, passivamente subìta, aggrava. A questa potremmo aggiungere la frattura tra le generazioni, tra chi gode di un posto di lavoro stabile e chi è precario, tra diritto e legge, e così via. L’ipotesi posta in discussione provava a indicare alcune condizioni che realisticamente possono essere colte, ma che ancora debbono esserlo, e dunque la coscienza che nel tessuto di costumi e di istituzioni del Paese è tuttora attivo un numero adeguato di soggetti che avvertono una responsabilità per il bene comune e dispongono delle energie per corrispondervi.

12. I lavori di Reggio Calabria hanno trovato un punto di forte contatto con quelli della fase preparatoria. «Il Paese deve tornare a crescere, perché questa è la condizione fondamentale per una giustizia sociale che migliori le condizioni del nostro Meridione, dei giovani senza garanzie, delle famiglie monoreddito. (…) Ciascuno è chiamato in causa in quest’opera d’amore verso l’Italia: è una responsabilità grave che ricade su tutti»: in questi termini si era espresso il Presidente della CEI circa un anno addietro[28]. I partecipanti alla 46a Settimana Sociale hanno condiviso il giudizio per cui, nelle condizioni date, la responsabilità per il bene comune impone come ineludibile la condizione di una ripresa della crescita, certamente a livello economico, ma non solo. La ripresa di cui c’è bisogno richiede l’impegno di tanti soggetti: perché va perseguita in diverse direzioni, e perché – esauriti i vecchi modelli, e tra questo particolarmente quello fondato sull’espansione indiscriminata della spesa pubblica – tali soggetti costituiscono la principale forza che resta al Paese.

A questi soggetti occorre chiedere ancora, dando in cambio maggiore libertà: non assenza di regole, ma meno regole e migliori. I lavori di Reggio Calabria ci hanno consegnato un’agenda radicata nella convinzione che ci sono imprese e lavoratori disposti a intraprendere senza timore del mercato ma anzi promuovendolo[29]; che nelle famiglie, nelle scuole, nelle associazioni e nelle comunità elettive ci sono adulti capaci di svolgere la funzione di autorità che serve all’educareincludere basato su uno scambio giusto tra diritti e responsabilità; che ci sono energie che possono sviluppare il loro impulso se si interviene a slegare la mobilità socialecompletamento della transizione istituzionale. Questi soggetti hanno l’intelligenza e le energie che servono ad attuare opzioni realistiche eticamente non indifferenti da cui dipende il bene comune. In certo senso, le loro potenzialità rendono meno oscuro il presente, aprendo a orizzonti futuri: evidenziano il problema e dettano una ragionevole e plausibile agenda di speranza.

13. Nella sessione tematica dedicata all’intraprendere grande spazio è stato dedicato all’analisi della crisi economica e alla denuncia dei gravi limiti di un sistema finanziario che ha dato a molti l’illusione di poter guadagnare senza impresa e senza lavoro.

È emersa una sostanziale condivisione del carattere cruciale e prioritario dei quattro problemi indicati nel documento preparatorio come condizioni per tornare a liberare le energie dell’intraprendere: ridurre precarietà e privilegi nel mercato del lavoro, aumentando la partecipazione, la flessibilità in entrata e in uscita e l’eterogeneità; elaborare politiche fiscali e sociali per riconoscere e sostenere la famiglia con figli; ridistribuire la pressione fiscale, spostandola dal lavoro e dagli investimenti verso le rendite; sostenere la crescita delle imprese.

La ripresa, anche in termini strettamente economici, ha bisogno di imprese che rafforzino la capacità competitiva, ritrovino il percorso della produttività, attuino forme di responsabilità del lavoro. Per la loro crescita è decisivo anche il contesto sociale, culturale e il rispetto della legalità.

Alcune delle modalità con cui viene aumentata la flessibilità del mondo del lavoro, in particolare nel settore della pubblica amministrazione, rischiano di produrre fenomeni di precarietà, che aggravano ulteriormente l’insicurezza dovuta in primo luogo alla difficile situazione economica. Come attenuare le conseguenze negative di questo fenomeno? Bisogna anzitutto abbattere il lavoro sommerso, aumentando i controlli e usando la leva fiscale, anche con incentivi alle imprese che assumono con contratti regolari, e portare a termine riforme indilazionabili, quali quelle degli ammortizzatori sociali e quelle consistenti nell’adozione di strumenti normativi che tutelino chi lavora in modi adeguati a ruoli e contesti produttivi sempre più diversificati. È decisivo che il lavoro non contraddica le funzioni essenziali e qualificanti della famiglia, ma le sostenga e le rafforzi, garantendo così un ulteriore fattore di crescita.

Particolare consenso ha ottenuto l’esigenza di una riforma dell’intero sistema fiscale, prioritariamente nei riguardi della famiglia e del lavoro. Per quanto concerne la famiglia, va sostenuto un sistema che rapporti il carico fiscale al numero dei componenti, come modo concreto «per riconoscere e sostenere con forza e fattivamente l’insostituibile funzione sociale della famiglia»[30]. La proposta del Forum delle associazioni familiari, va in questa direzione. La riforma deve mirare inoltre a una riduzione del carico fiscale sul lavoro e sugli investimenti, amche come espressione di condanna dell’evasione fiscale, arrivata a livelli insostenibili.

Numerosi interventi hanno insistito sulla necessità che la situazione critica in cui versa l’ambiente susciti attenzione non solo nella comunità civile, ma anche nella Chiesa e tra i credenti, chiamati a essere custodi della creazione.

14. Nella sessione educare per crescere, la tematica è stata affrontata come “emergenza educativa”, intesa come possibilità che provoca e invita a una risposta positiva. Questa chiamata alla responsabilità educativa è condivisa all’interno della comunità cristiana e un apprezzamento generale accompagna la scelta dei Vescovi di porre il tema dell’educazione al centro dell’attenzione pastorale del decennio corrente.

È stata largamente sottolineata l’importanza del ruolo dell’adulto e della sua funzione di autorità nel processo educativo ed è stato condiviso il carattere prioritario dei tre nodi problematici proposti nel documento preparatorio: dare più strumenti a scuola e famiglia per premiare l’esercizio della funzione docente e incentivarne l’assunzione di responsabilità; sostenere l’esercizio dell’autorità genitoriale in famiglia; promuovere l’azione educativa dell’associazionismo e delle comunità elettive.

I lavori si sono concentrati su un’area problematica che in qualche modo precede e accumuna tutte e tre le questioni: è urgente prestare attenzione alla fragilità dell’adulto. È emersa l’importanza di luoghi in cui fare esperienza di incontro, di accompagnamento, in cui vivere esperienze concrete, nei quali l’adulto possa imparare o reimparare a educare. Sono necessari percorsi di sostegno alla genitorialità, nei quali i padri e le madri possono confrontarsi e crescere, condividendo e interpretando gioie e fatiche. Anche in questo ambito cruciale la comunità ecclesiale ha una responsabilità diretta che deve esprimersi, a partire dalla celebrazione dei sacramenti, in ogni ambito pastorale.

Con riferimento alla questione della scuola, l’elemento maggiormente condiviso è stato l’importanza della sua funzione costitutivamente pubblica, sia essa statale o non statale[31], a partire dal grande patrimonio dalle iniziative di ispirazione cristiana a servizio di tutta la società[32], dalla scuola dell’infanzia alle istituzioni universitarie. La scuola riveste un ruolo insostituibile e fondamentale nell’educazione dei giovani e merita il massimo investimento di risorse. Una particolare sottolineatura è stata riservata ai corsi di formazione professionale, spazi di avvicinamento al lavoro per i giovani. Dell’insegnamento della religione cattolica sono state sottolineate l’importanza e le potenzialità, non sempre adeguatamente riconosciute, e il valore di un raccordo qualificato con le altre discipline.

È condivisa una lettura positiva della realtà giovanile, che rappresenta una risorsa: ai giovani deve essere riconosciuta l’opportunità di assumere ruoli di responsabilità e di reale protagonismo. Le associazioni costituiscono di fatto un luogo fondamentale in cui i ragazzi possono sperimentarsi assumendo responsabilità, scoprendo le proprie capacità e riconoscendo i talenti di ognuno nel quadro di un progetto educativo attento alla crescita globale della persona. Nei luoghi ecclesiali deve essere possibile sperimentare regole, obiettivi e ragioni di impegno, che consentano di maturare prospettive di orizzonte durevole. Riconoscendo la disponibilità e il desiderio di partecipazione e di assunzione di responsabilità da parte dei ragazzi e dei giovani, le associazioni diventano spazi importanti per dare voce al mondo giovanile e rappresentarne le istanze presso le istituzioni e la società civile. È importante recuperare anche l’originaria funzione formativa del servizio civile volontario, strumento utile ad abilitare i giovani a conoscere la realtà, leggerne i bisogni e dare risposte concrete.

È stato ripetutamente sottolineato il ruolo dei media come ambito che, di fatto, costituisce un luogo di educazione informale che permea la società, rivolgendosi tanto alla fascia giovanile che a quella adulta. Con particolare riferimento alla televisione e a internet, è stata sottolineata la prevalente negatività dei modelli proposti e la necessità di un codice etico di riferimento che non penalizzi le grandi potenzialità di cui sono portatori.

Più volte, infine, è stata richiamata la dimensione spirituale e la motivazione profonda che deve animare l’impegno politico dei cattolici. «Partecipando all’Eucaristia siamo abilitati e invitati a vivere tutta la nostra vita secondo il progetto di vita personale e sociale di Gesù, siamo esortati “per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale” (Rm 12, 1). Con radicale realismo, l’Eucaristia dice che la carità è l’orientamento di coloro che si sono lasciati attrarre da Cristo. Ciò significa anche comprendere e servire il bene comune in qualsiasi condizione, tempo e frangente, esercitando quel discernimento ecclesiale attraverso cui la carità si arricchisce di conoscenza (cfr Fil 1, 9) (…): «la “mistica” del Sacramento ha un carattere sociale» (DCE 14)».

15. Il testo del documento preparatorio, includere le nuove presenze (nn. 25-26), è stato recepito nei suoi contenuti fondamentali e in particolare nel suo nucleo propositivo. Il dibattito in assemblea ha messo a fuoco il tema del come riconoscere la cittadinanza italiana ai figli degli stranieri nati in Italia. Sulla specifica proposta vi è stata ampia convergenza. Alcuni distinguo sono venuti in ordine alle condizioni per il riconoscimento e l’esercizio della cittadinanza a stranieri giovani e adulti, anche con riferimento alla necessaria attenzione per i doveri che ne conseguono. Molti interventi hanno sottolineato la necessità di mettere mano a una revisione complessiva dell’attuale legge sulla cittadinanza, riducendo i tempi del riconoscimento – anche in relazione al contesto europeo – e la discrezionalità della procedura.

È emersa poi la necessità di predisporre specifici percorsi per l’inclusione e per l’esercizio della cittadinanza, concedendo, tra l’altro, il diritto di voto almeno alle elezioni amministrative e l’ammissione al servizio civile, come pure favorendo il coinvolgimento nelle associazioni ecclesiali e nelle aggregazioni giovanili, in particolare quelle sportive. Appare necessaria un’inclusione dal basso, attraverso il protagonismo degli stessi immigrati, sia in associazioni proprie, sia nel contesto di organizzazioni locali e nazionali. Sulla scorta dell’esperienza dell’emigrazione italiana nel mondo, è importante valorizzare le eccellenze garantendo pari opportunità sia nel riconoscimento dei titoli di studio, sia attraverso borse di studio per l’accesso a livelli di studio superiori e universitari.

Vi è consapevolezza che il percorso di tutela dei diritti fondamentali della persona immigrata – che non si identifica con il rilascio della cittadinanza – è incompleto e presenta ancora punti deboli o problematici, soprattutto in riferimento ai clandestini e agli irregolari. La Dichiarazione dei diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie attende ancora la ratifica da parte dell’Italia. La giusta retribuzione e le condizioni di lavoro degli immigrati non sono garantiti in ogni settore. Manca una specifica legge sul diritto d’asilo e vanno rafforzate le azioni di accoglienza rivolte a coloro che fuggono da condizioni di persecuzione politica. È necessaria una revisione della legge sul rispetto delle minoranze etniche o linguistiche. Troppo debole è l’impegno per la protezione sociale per le vittime della tratta per sfruttamento sessuale e per lavoro e il contrasto al traffico degli esseri umani, spesso gestito da organizzazione criminali internazionali. Permane una forte discriminazione tra cittadini regolari e irregolari in riferimento alla tutela della salute e della maternità e alle pene alternative al carcere.

La riflessione sulla cittadinanza, sui diritti e sulla carente tutela nella fase migratoria ha espresso la necessità di superare una lettura emergenziale del fenomeno, evitando semplificazioni e pregiudizi, che rischiano di connettere automaticamente immigrazione e criminalità, aumentando la paura che i migranti possano indebolire la nostra sicurezza. A questo proposito l’informazione corretta, un linguaggio non discriminatorio, la diffusione delle esperienze positive di incontro e di relazione, costituiscono passaggi importanti per una lettura realistica del fenomeno migratorio. L’inclusione delle nuove presenze chiede la responsabilità di tutti nella costruzione della città, a partire dagli stessi immigrati.

Un ruolo particolare è richiesto alle nostre comunità ecclesiali, che talora sono anche in difficoltà a riconoscere le potenzialità del fenomeno migratorio, per diventare un soggetto promotore, un laboratorio capace di rinnovare lo stile dell’incontro tra persone che provengono da realtà, culture e religioni diverse. Come ricordato più volte da Benedetto XVI, la Chiesa deve servire questa missione anche nella forma della presentazione del Vangelo a questi fratelli e sorelle.

Molti interventi in assemblea hanno chiesto che le comunità ecclesiali assumano un ruolo propositivo non solo nell’accoglienza, ma nella tutela dei diritti, nella promozione della socialità, nel dialogo ecumenico e interreligioso, nella scelta della mediazione sociale, nella cura delle comunità etniche, nel rendere protagonisti i giovani immigrati, nel sostegno della cooperazione e dell’imprenditoria – soprattutto femminile – straniera, nei progetti di cooperazione internazionale. La paura dello straniero, il rifiuto e i pregiudizi non possono trovare casa nella comunità ecclesiale che, anche attraverso i suoi pastori, è chiamata ad un “di più” di accoglienza, di rispetto e di condivisione. Il riconoscimento della dignità della vita del migrante che giunge nel nostro Paese è l’esplicita declinazione di una premessa indispensabile per la costruzione del bene comune.

16. Dai lavori è emersa con chiarezza l’attenzione dei cattolici italiani alle dinamiche della vita sociale, aperti verso forme nuove di mobilità e insieme preoccupati dei poveri e di coloro che hanno meno risorse. La prospettiva assunta può essere sintetizzata dalla coppia «slegare/rilegare»: lo slegare richiama la necessità di sciogliere i nodi che rallentano lo sviluppo della vita sociale, mentre il rilegare richiama l’urgenza di rigenerare legami buoni e costituirne di nuovi e significativi, che accumulano e riproducono l’energia da cui la mobilità sociale è spinta. Essa, infatti, genera opportunità e in ciò si manifesta come forma efficace di solidarietà. In particolare, sono emerse tre indicazioni.

a. «Slegare le capacità», cioè favorire tutto ciò che valorizza il merito e la qualità del contributo di ciascuno; «rilegare» le condizioni di base della vita democratica, cioè il senso vivo della giustizia sociale e la chiara opposizione a ogni forma di corruzione e criminalità.

b. «Slegare il mercato», cioè moltiplicare le opportunità, ma «rilegare un nuovo patto sociale», quale condizione perché il rischio del cambiamento sia condiviso dalla collettività, valorizzando la creatività e la partecipazione e la responsabilità delle comunità.

c. «Slegare la vita», cioè creare le condizioni perché ciascuno possa scegliere come orientare la propria vita, e «rilegare» i luoghi dell’abitare, dell’accogliere e dell’accompagnare.

In questa prospettiva, è stata condivisa la necessità di prendersi cura dell’università – del cui sistema sono parte a pieno titolo le università cattoliche, le facoltà teologiche e gli istituti superiori di scienze religiose –, a partire dalla necessità di ripensare l’idea stessa di università, come istituzione nella quale discipline diverse in modo critico e aperto si impegnano nella ricerca della verità. Da ciò trae forza un’adeguata valorizzazione della ricerca, della mobilità della conoscenza, una diversa interazione con il territorio e una più significativa comunicazione fra docenti e studenti. È stato chiesto di interrogarsi in modo approfondito sull’autonomia universitaria, sulle modalità di finanziamento e di governance degli atenei, sul reclutamento dei docenti, sulla strutturazione dell’offerta formativa in relazione al territorio e al mondo del lavoro, sulla questione del valore legale del titolo di studio, sul modo di intendere il merito e la valutazione.

Quello delle professioni è un altro ambito fondamentale in cui vengono messe alla prova le caratteristiche della mobilità sociale. È evidente la fatica dei giovani a inserirsi in tale ambito a causa di talune dinamiche corporative che ne rallentano l’accesso, e la difficoltà che le nuove professioni trovino spazio e riconoscimento effettivi. D’altro canto è emerso un richiamo alla responsabilità dei professionisti di garantire la qualità e il profilo deontologico delle proprie prestazioni.

Le questioni legate alla mobilità sociale interpellano direttamente la coscienza ecclesiale. Provocano la comunità a mettersi in discussione e a ritrovare le risorse più preziose di fede e di umanità a cui attingere. La prima risorsa sono le persone di cui prendersi cura a tutti i livelli, mantenendo viva l’attenzione, affinché proprio nei processi di mobilità sociale non vengano stritolate, bensì siano adeguatamente valorizzate. Ma non va dimenticata la dimensione di apertura insita nella proiezione universale della Chiesa cattolica: sono tanti i percorsi che la creatività delle Chiese particolari può sperimentare per aumentare le opportunità dei giovani di conoscere il mondo e di crescere nella consapevolezza delle differenze, per imparare a non aver paura di chi è diverso.

17. È stata particolarmente apprezzata la scelta di dedicare un capitolo dell’agenda e una sessione tematica della Settimana Sociale al tema del completamento della transizione e della riforma delle istituzioni politiche. Il tema è stato affrontato in un confronto franco e condiviso. In particolare i giovani si sono schierati in modo chiaro contro “lo stare fermi per paura” e contro il ritiro dalla politica, affermando un impegno direttamente collegato con la scelta della fede.

Fortemente condivisa è la necessità di completare la transizione politico-istituzionale, perché il rischio è veder progredire i ricchi e i capaci e lasciar indietro i poveri, i giovani o i non qualificati. Occorre salvaguardare la democrazia: interessano riforme che mettano al centro i cittadini-elettori, che ne facciano i decisori finali della competizione propria della democrazia governante. Sulla scorta di questa forte opzione democratica, sono stati individuati quattro punti e prioritari: due problemi – la democrazia interna ai partiti e la lotta alla criminalità organizzata – sono stati affiancati ai due già presenti nel documento preparatorio: la legge elettorale/forma di governo e il federalismo.

Serve una decisa spinta verso una maggiore democrazia nei partiti. Come sosteneva già don Luigi Sturzo, c’è bisogno di una legge – coerente con i correttivi che vanno apportati alla legge elettorale e alla forma di governo – che disciplini alcuni aspetti cruciali della vita dei partiti, prevedendone la pubblicità del bilancio e regole certe di democrazia interna.

In maniera altrettanto convinta ci si è pronunciati per la revisione della legge elettorale a tutti i livelli e per tutte le istanze. Occorre dare all’elettore un reale potere di scelta e di controllo. Bisogna anche affrontare la questione del numero dei mandati e dell’ineleggibilità di quanti hanno pendenze con la giustizia.

Il nodo della forma di governo è stato affrontato in coerenza con la richiesta di restituire il potere di scelta ai cittadini-elettori. Non è sfuggito il rilievo costituzionale del tema. La Costituzione italiana è frutto di un’esperienza esemplare di alto compromesso delle principali culture politiche del Paese. Eventuali modifiche non devono stravolgerne l’impianto fondante, definito anzitutto nella prima parte.

Quanto al federalismo, si è affermato che, a partire dalla riforma del titolo V della Costituzione, avvenuta nel 2001, esso fa ormai parte della storia nazionale. C’è bisogno di informazione e formazione per “abitare” questa scelta, soprattutto nel momento in cui si procede all’attuazione della parte fiscale del disegno di riforma. Ci troviamo di fronte a un duplice bivio. In primo luogo, si può fare del federalismo una lotta agli sprechi, responsabilizzando chi ha potere decisionale in ordine alle spese e i cittadini a un controllo più deciso, oppure si può passare da un centralismo statale a un centralismo regionale, con il rischio di prevaricazione da parte di poteri non trasparenti. In secondo luogo, si può fare del federalismo un modo diverso di pensare l’unità del Paese, oppure sancire una frattura ancora più insanabile tra Nord e Sud. Di fronte a queste alternative, il principio di sussidiarietà verticale e orizzontale (cioè la poliarchia) si offre come prospettiva dirimente capace di valorizzare due grandi protagonisti della democrazia, l’associazionismo e la città. Dare coerenza di sussidiarietà al federalismo serve anche a offrire al Mezzogiorno «una sfida che potrebbe risolversi a suo vantaggio, se riuscisse a stimolare una spinta virtuosa nel bonificare il sistema dei rapporti sociali, soprattutto attraverso l’azione dei governi regionali e municipali, nel rendersi direttamente responsabili della qualità dei servizi erogati ai cittadini, agendo sulla gestione della leva fiscale»[33] e alimentando nel Paese una sana reciprocità[34]. A queste condizioni, il federalismo costituisce un obiettivo realistico di migliore unità politica e di maggiore solidarietà. Tanto una riforma in senso federalista dà respiro di sussidiarietà al sistema politico, quanto un rafforzamento dell’esecutivo nazionale pone le condizioni di efficaci politiche di solidarietà.

Ai temi sopra enunciati – la centralità decisionale dei cittadini nei momenti cruciali della vita democratica e il federalismo sussidiario bilanciato da un esecutivo nazionale più forte – si è voluto aggiungere un ulteriore punto dell’agenda: la lotta alla mafia in tutte le sue denominazioni e in ogni area del Paese. Tale lotta va accompagnata da una coerente azione educativa e dotando l’amministrazione giudiziaria delle risorse atte a favorire la certezza del diritto.

 3°- Con i giovani

18. Più si lavora a un agenda, più si comprende che servono maggiori conoscenze e nuove energie. In questo si radica l’appello del Papa e dei Vescovi italiani a una nuova generazione di cattolici capaci di portare le proprie responsabilità in ogni ambito della vita pubblica[35]. È la coscienza che qualcosa di nuovo va fatto in ogni tempo per concorrere a «valide e durature trasformazioni», favorendo lo sviluppo delle potenzialità presenti nella realtà stessa. Il rinnovarsi delle sfide richiede nuove idee e nuove forze, che sono presenti soprattutto nei giovani.

Per questo, come è stato fatto notare dal Card. Bagnasco, aver registrato la presenza di tanti giovani è davvero una delle ragioni del successo della 46a Settimana Sociale. Già nella fase preparatoria si era prestata particolare attenzione a questo nodo, anche grazie alla collaborazione sistematica con il Servizio Nazionale per la pastorale giovanile della CEI. Il dato più significativo è stata la presenza di tanti giovani nelle delegazioni diocesane e in quelle delle associazioni e dei movimenti ecclesiali, segno di una sensibilità largamente avvertita e del fatto che ci sono molti giovani disponibili a raccogliere la sfida e sopportano il peso degli effetti della crisi.

I cambiamenti e le riforme essenziali al Paese sono molto urgenti e non consentono dilazioni[36]. Essi richiedono un’altissima concentrazione di capacità e di energie, che soprattutto i giovani possono garantire. Servono i giovani, proprio perché c’è poco tempo. Servono giovani forti, liberi, spiritualmente formati anche da un’ascesi profonda, come lo furono in altre stagioni Armida Barelli, Piergiorgio Frassati, Alberto Marvelli, Salvo D’Aquisto e Rosario Livatino: saldi e radicati in Cristo. Servono giovani che un’efficace trasmissione tra generazioni ha reso familiari alla preghiera e allo studio, all’azione e al sacrifico, alla disciplina, educati e temprati al senso di giustizia e al coraggio, all’umiltà e alla generosità. Servono giovani che sappiano lavorare insieme (AAs 18-21), per convinzione profonda, tenace e paziente, e non per superficiali entusiasmi. Ancora una volta la Chiesa avverte e insegna la necessità che una nuova generazione faccia propria la lunghezza, la larghezza, l’altezza e la profondità dell’apostolato e in particolare dell’apostolato laicale: «i laici derivano il dovere e il diritto all’apostolato dalla loro stessa unione con Cristo capo. Infatti, inseriti nel corpo mistico di Cristo per mezzo del battesimo, fortificati dalla virtù dello Spirito Santo per mezzo della cresima, sono deputati dal Signore stesso all’apostolato» (AAs 3). Servono giovani come Teresio Olivelli e Carlo Bianchi che sappiano pregare: «Dio che sei Verità e Libertà, facci liberi e intensi: alita nel nostro proposito, tendi la nostra volontà, moltiplica le nostre forze, vestici della Tua armatura»[37].

 4° – Da Sud

19. Dai lavori della Settimana è emersa con chiarezza la condivisione della scelta dell’Episcopato italiano di mettere ancora una volta al centro della riflessione il Mezzogiorno[38], così come l’apprezzamento per tutte le esperienze che, a partire dal Progetto Policoro, vedono realtà imprenditoriali e formative del Nord e del Sud cercare insieme le vie dell’intraprendere. Allo stesso tempo, ognuno dei modi attraverso i quali Reggio Calabria e la regione intera hanno accolto la Settimana Sociale è stato un contributo positivo al buon esito dei lavori. Questo, però, non basta a spiegare perché è stata un successo la scelta di celebrare al Sud la 46a Settimana Sociale.

Il clima positivo che si è sperimentato è certamente effetto del costante impegno profuso dai Vescovi: a partire dai viaggi nel Mezzogiorno d’Italia di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI e dai documenti dedicati dall’Episcopato italiano alla questione meridionale. Tutta la Chiesa d’Italia conosce e fa proprio l’impegno di promozione umana e di educazione alla speranza della «parte migliore della Chiesa nel Sud, che non si è solo allineata con la società civile più coraggiosa, rigettando e stigmatizzando ogni forma di illegalità mafiosa, ma soprattutto si è presentata come testimone credibile della verità e luogo sicuro dove educare alla speranza per una convivenza civile più giusta e serena»[39].

A cogliere per primi questa ragione sono stati i partecipanti alle sessioni tematiche, chiamati a confrontarsi su temi scottanti e impegnativi, spesso legati alle tensioni che attraversano il Paese e che rischiano di polarizzare Nord e Sud. I temi più problematici sono stati affrontati senza pregiudizi: analisi, sensibilità e argomenti potevano divergere, ma non perché riflettessero provenienze territoriali diverse. Del resto, chi avesse esposto gli argomenti del trentino Rosmini in materia di sussidiarietà e dunque anche di federalismo non avrebbe fatto fatica a incontrarsi con gli argomenti del romagnolo Ruffilli o del siciliano Sturzo: «qui c’è da parlar chiaro: l’errore delle forme di economia autarchica e di industria statizzata, è basato sopra una eresia economica che dà frutti amarissimi, perché sopprime il senso di responsabilità e di rischio. Solo in certi casi sarà bene l’intervento statale per attirare il capitale timido e spingerlo alle imprese di largo respiro; mai come politica generale, mai come sistema»[40].

Proprio parlando tutti «da Sud» un linguaggio simile e nuovo, è stato più chiaro come la Chiesa, che è «cattolica» in ogni sua articolazione, costituisce nel Paese un forte fattore unificante e popolare, fondato sulla coscienza che insieme possiamo concorrere al bene comune più e meglio di quanto potremmo farlo se fossimo divisi. Le parole pronunciate da Giovanni Paolo II contro la mafia nella Valle dei Templi presso Agrigento il 9 maggio 1993 e il gesto di ossequio al sacrificio di Giovanni Falcone compiuto a Capaci da Benedetto XVI il 3 ottobre 2010 sono memoria ecclesiale di tutta la Chiesa, che diviene matrice di una comune avventura civile. I grandi testimoni contemporanei della Chiesa meridionale, come don Pino Puglisi[41], Rosario Livatino e altri[42], appartengono all’intera comunità ecclesiale. Nella società italiana esiste oggi un tessuto di associazioni e di movimenti ecclesiali, di realtà di ispirazione cristiana, cioè un ricco e variegato movimento cattolico[43] che conosce e persegue in modo responsabile il nesso tra Italia e bene comune e le sue condizioni.

Questa coscienza delle possibilità maggiori di bene comune aperte da un’avventura unitaria non ha un respiro provinciale. La Chiesa e i cattolici italiani sanno bene cosa l’Italia può dare all’Unione Europea e all’Europa in generale, alle nuove relazioni internazionali – a partire da quelle che attraversano il Mediterraneo –, alla forza e al prestigio globale delle società democratiche e aperte, alla Chiesa stessa, se è vero che anche grazie all’Italia unita è maturata una più profonda comprensione della libertà religiosa sulle radici della libertas Ecclesiae. Di questa prospettiva con sempre maggiore evidenza partecipano cattolici di ogni città del Paese, e questa evidenza è ancor più forte manifestandosi da Sud, combinando insieme spirito di autocritica e legittima ambizione a condividere una leadership[44].

La dimensione nazionale del cattolicesimo costituisce oggi per tante ragioni un talento da far fruttificare ed è un merito delle giornate di Reggio Calabria aver fatto sì che emergesse e che molti lo sperimentassero direttamente.

 

Un cammino che continua

20. Non con il tono di un auspicio, ma con quello di una constatazione, possiamo dire che il dopo Reggio Calabria è cominciato sulla base di un forte consenso e di una precisa integrazione dell’agenda posta in discussione nel corso della Settimana Sociale. Il frutto del cammino preparatorio è stato accolto e approfondito e lo stesso cammino di discernimento si è rafforzato e allargato. Per queste ragioni il discernimento va praticato e alimentato e l’agenda resta aperta.

Il discernimento è una operazione spirituale, sapienziale, personale non meno che ecclesiale, è l’esito del porre costantemente Cristo al centro. Per questo esso si manifesta come modalità per «raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza» (EvN n.19). Per questa ragione, si può dire che la Settimana Sociale è stata anche, di fatto, il primo dei tanti momenti che scandiranno il decennio pastorale dedicato all’educazione. In quanto spirituale, però, il discernimento non è neppure un’operazione automatica.

L’agenda di Reggio Calabria chiede come i cattolici possano contribuire al bene comune del Paese e come continuare il percorso intrapreso nella pastorale ordinaria intercettando la vita quotidiana. Essa affronta ma non esaurisce tali domande; anzi le rilancia, provocando alla responsabilità una nuova generazione di cattolici. In quanto agenda di speranza per il futuro del Paese, chiede di essere praticata e aggiornata insieme alle donne e agli uomini di buona volontà. Contribuisce a disvelare un talento e ci induce a chiedere a noi stessi se abbiamo o abbiamo avuto paura di mettere a frutto questo talento (cfr Mt 25,25). Ancora una volta, la risposta a questa domanda sta nella fede: «Proprio nel momento in cui Gesù ci invia senza remissione nel mondo, Egli ci attira a sé in un modo ancor più irrevocabile»[45].

Noi tutti, come Chiesa e come credenti, siamo chiamati al grande compito di servire il bene comune della civitas italiana in un momento di grave crisi e allo stesso tempo di memoria di centocinquanta anni di storia politicamente unitaria[46]. Vedercelo affidato può stupire e richiede prudenza, ma non dovrebbe generare paura, o peggio ancora indifferenza o cinismo. Proprio a noi è chiesto di cercare le condizioni del bene comune. Non dovremmo guardare indietro, come se altri fossero i chiamati, né avanti, attendendo passivamente: dovremmo piuttosto guardarci intorno per incrociare mani e sguardi di credenti e di donne e uomini di buona volontà. È un compito grande, che possono svolgere non solo i singoli, ma anche le diverse forme dell’apostolato dei laici, a partire dall’Azione Cattolica, come pure le altre realtà di ispirazione cristiana o nelle quali i credenti hanno responsabilità.

Dentro questo grande compito di rinnovamento spirituale, di pensiero e di azione, si pone il compito specifico del Comitato scientifico e organizzatore, a cui spetta far sì che le Settimane Sociali, ripristinate per «rappresentare (…) l’espressione qualificata ed unitaria di una rinnovata attenzione alla dottrina sociale della Chiesa»[47], siano seguite da «un’effettiva assimilazione dei loro risultati»[48]. Il Comitato si impegnerà perché ciò avvenga, ricercando «l’alto profilo culturale e dottrinale», mantenendo «un approccio articolato in più discipline e livelli di riflessione e di confronto», raccordandosi alle tante forme di capillare presenza dei cattolici nella società italiana e alle altrettante «iniziative di formazione sociale e politica»[49]. Esso è consapevole di quanto la dimensione educativa attraversi ciascun aspetto del suo impegno, riconoscendosi esso per primo interrogato da quell’istanza fondamentale che vuole ogni comunità cristiana e ogni cristiano chiamato a leggere quanto accade nel proprio tempo nel proprio territorio e a prendere coscienza delle dinamiche e degli eventi. Dell’attenzione educativa, l’impegno del Comitato deve avere anche la radicalità per arrivare sempre alla convinzione personale e all’interiorizzazione del valore ricevuto.

L’un compito e l’altro si rivelano parti di quell’impegno educativo a un cittadinanza responsabile, a cui i Vescovi richiamano la Chiesa come priorità per questo momento e per i prossimi anni[50].

  

Alla luce dell’esito della Settimana Sociale, proponiamo di impegnarci anzitutto studiando e approfondendo alcune delle grandi idee emerse dal confronto.

(a)      L’insegnamento sociale della Chiesa, parte integrante della sua missione evangelizzatrice, richiama un orizzonte ermeneutico esigente, che aiuta a comprendere anche oggi la capacità di rinnovamento che nasce dal Vangelo e che ispira criteri particolarmente efficaci per l’analisi dei fenomeni sociali e l’orientamento della prassi, a partire dal riconoscimento dei diritti che sono espressione di una dignità personale che permane in ogni fase e in ogni condizione della vita umana. È urgente approfondire e rilanciare lo studio dell’insegnamento sociale della Chiesa e della sua storia a partire dal recente invito a dedicare più attenzione al tema cruciale della libertà religiosa, attraverso momenti di conoscenza che siano anche laboratorio di discernimento.

(b)      Guardare in faccia l’emergenza educativa e le sue sfide significa riconoscere come cruciale il ruolo di adulti capaci di essere maestri e testimoni, capaci di generare responsabilità e di interpretare la grave crisi in cui oggi versa tale ruolo e la sua autorità.

(c)      Il centocinquantesimo anniversario dell’unità politica d’Italia può essere vissuto anche come stimolo ad approfondire e aggiornare le reali opportunità che si danno per servire il bene comune nel Paese, soprattutto in quelle sedi e in quelle relazioni in cui si decidono aspetti importanti del bene comune. Riprendendo a crescere, l’Italia può svolgere un ruolo decisivo là dove si decide e si esprime il ruolo planetario delle democrazie e delle società libere, il profilo istituzionale e le scelte dell’Unione Europea, le sorti della pace come opus iustitiae nei vari scacchieri internazionali, le azioni di tutela a tutti i livelli dei diritti delle persone.

(d)      Per tornare a crescere c’è bisogno di riconoscere e di liberare tutte le risorse dell’intraprendere creando imprese e occasioni di lavoro, in cui ogni lavoratore «sappia di lavorare “in proprio”»[51]. Ciò non significa rinunciare ai diritti di alcuno, ma aggiornare il quadro normativo entro cui l’intraprendere si svolge, al fine di garantire che il lavoro resti espressione della dignità essenziale di ogni uomo e di ogni donna[52].

(e)      Non dobbiamo farci sopraffare dalla paura: ci sono oggi, in Italia, le condizioni per dar luogo a uno scambio virtuoso tra opportunità e responsabilità con tanti di coloro che arrivano nel nostro Paese in cerca di lavoro e di diritti. Superata la fase dell’emergenza, queste condizioni vanno indagate e allargate al fine di individuare strategie e regole che favoriscano l’inclusione di nuove presenze[53], a partire da quelle che riconoscono i diritti dei figli di immigrati nati nel nostro Paese.

(f)       Riconoscendo, rigenerando e alimentando una trama di relazioni significative, le comunità cristiane possono contribuire a rafforzare alcuni legami profondi e vivi nella società italiana. A condizione di legami sociali solidi ed espressivi della dignità della persona umana, è possibile individuare e slegare tanti vincoli istituzionali e organizzativi per restituire, in primo luogo ai giovani, le opportunità di studio e di lavoro cui ciascuna persona ha diritto e con cui si deve misurare.

(g)      Occorre pensare e lavorare a quelle riforme che possono concludere in modo positivo una fin troppo lunga transizione delle istituzioni politiche. I primi temi sui quali riflettere e lavorare sono quelli da cui dipende il consolidamento di una democrazia governante, rispettosa di un’articolazione coerentemente sussidiaria “verticale” e “orizzontale”, che ponga al centro i poteri e i diritti dei cittadini elettori e contribuenti. Le questioni cruciali riguardano le forme da dare al processo di rafforzamento dell’esecutivo – anche come condizione di più efficaci politiche di solidarietà – e, allo stesso tempo, dell’equilibrio tra i poteri; allo sviluppo di un autentico federalismo unitario, responsabile e solidale; al perfezionamento di un sistema elettorale di tipo maggioritario; alla stabilizzazione dell’assetto bipolare del sistema politico. 

 

Riteniamo che queste direzioni di studio e di confronto possano accompagnare l’impegno a sostenere il rinnovato slancio emerso da Reggio Calabria.

(h)      È estremamente utile riproporre l’esperienza di incontri per grandi aree territoriali dei partecipanti alla 46ª Settimana Sociale, momenti vivamente richiesti e per i quali è stata suggerita una partecipazione ancora più aperta.

(i)       È necessario mantenere aperto il cantiere di riflessione e di approfondimento dei problemi che strutturano l’agenda con strumenti appositi e opportune occasioni.

(j)       È forte la richiesta di accompagnare e mettere in rete l’impegno assunto da tante Chiese particolari di elaborare un’agenda locale, utilizzando il sito web e la newsletter che hanno già svolto un ruolo importante nella fase preparatoria e che potrebbero opportunamente essere integrati da altre forme e canali di comunicazione.

(k)      È opportuno continuare a coltivare lo stretto legame che si è creato con le multiformi e numerose esperienze di formazione alla responsabilità sociale dei cattolici, a partire da quelle promosse dall’Università Cattolica del Sacro Cuore e dall’Azione Cattolica, dalle aggregazioni laicali e di ispirazione cristiana e dalle diocesi. Queste esperienze potranno fiorire quanto più si approprieranno della pratica del discernimento e si connetteranno ai luoghi e alle forme organizzate di responsabilità civile praticate da cattolici: l’approccio richiesto dalla formazione a una prassi non può mai essere esclusivamente deduttivo e nello stesso tempo richiede tanto una rigorosa attenzione ai contenuti, quanto la formazione della personalità nelle sue diverse dimensioni. Di qui potranno svilupparsi nuovi o rinnovati percorsi di formazione all’impegno politico e sociale[54].

(l)       È conveniente mantenere e accrescere il rapporto con le espressioni associative giovanili di apostolato dei laici (cfr AAs 12) e con il Servizio Nazionale per la pastorale giovanile.

 

Un cammino che continua: verso e attraverso il Congresso Eucaristico di Ancona

21. L’orizzonte e l’orientamento del nostro cammino resta quello della responsabilità per il bene comune come quotidiano e costante impegno a trasformare il vivere sociale in città. Con l’annunzio della imminente beatificazione di Giuseppe Toniolo, fondatore delle Settimane Sociali, la Chiesa ci mostra l’affidabilità di quell’orizzonte: in ogni sua forma l’impegno civile – quello che opera per la trasformazione del vivere sociale in città – è via di santità e di santificazione, grazie anche all’impulso che riceve dalla testimonianza e dall’intercessione che ci vengono dalla Comunione dei Santi.

Una parte della meraviglia generata dall’incontro di Reggio Calabria deriva dalla scoperta di aver ricevuto un talento per il bene comune della nostra città. Questa meraviglia può anche assumere a tratti la forma del timore, ma nulla dovremmo concedere alla paura, alla pigrizia, all’indifferenza o al cinismo. Il timore si domina con la fede, immergendoci ancor più in Cristo e nella Chiesa, sapendo che questo movimento non ci separa da nessun essere umano (cfr GS 22), dalle sue gioie e delle sue speranze, dalle sue tristezze e dalle sue angosce, e soprattutto dai poveri. È in Cristo che viene corroborato il nostro essere prossimo. Partecipando al suo rendimento di grazie, alla sua Eucaristia, la nostra vita assume la forma e il movimento giusto. «La “mistica” del sacramento ha un carattere sociale» (DCE 14).

Per queste ragioni, non possiamo concludere se non ricordando che il prossimo appuntamento ecclesiale anche per i partecipanti alle Settimane Sociali è il Congresso Eucaristico Nazionale di Ancona e, ancora più alla radice, quello della Messa domenicale. La nostra responsabilità per il bene comune, il nostro sforzarci di percorrere la via istituzionale della carità, non ha infatti la logica di un progetto, ma quella dell’andare e del tornare da un culmine e da una fonte (cfr SC 10). Di fronte ai nostri timori e ai nostri desideri profondi, torniamo a meditare le parole semplici e confortanti di Sant’Ambrogio: ubi fides, ibi libertas.

È con fiducia, Signore, che preghiamo:la tua Chiesa sia testimone vivadi verità e di libertà, di giustizia e di pace,perché tutti gli uomini si apranoalla speranza di un mondo nuovo.(dalla Preghiera Eucaristica V/c).   Roma, 2 febbraio 2011Festa della Presentazione del Signore

[1] Cfr Comitato Scientifico e Organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani, Un cammino di discernimento verso la 46a Settimana Sociale, 17 aprile 2009.

[2] Cfr Id., Documento preparatorio per la 46a Settimana Sociale dei Cattolici Italiani,1 maggio 2010, nn. 1 e 15. Dei contributi al discernimento pervenuti nella fase preparatoria si è dato conto sul sito www.settimanesociali.it.

[3] Cfr Conferenza Episcopale Italiana, Ripristino e rinnovamento delle Settimane Sociali dei cattolici italiani. Nota pastorale dell’Episcopato italiano, 20 novembre 1988, n. 8.

[4] Card. Angelo Bagnasco, Prolusione, Reggio Calabria, 14 ottobre 2010, n. 4; cfr anche DCE n.28.

[5] Dalle conclusioni di S.E. Mons. Arrigo Miglio, Presidente del Comitato.

[6] Cfr Comitato Scientifico e Organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani, Un cammino di discernimento verso la 46a Settimana Sociale, p. 5s.

[7] Cfr Id., Documento preparatorio per la 46a Settimana Sociale dei Cattolici Italiani,nn. 34-37.

[8] Cfr Id., Lettera d’aggiornamento, 10 gennaio 2010, pp. 1-2. A questo cammino uno speciale contributo, in termini tanto di mezzi quanto di persone, è stato offerto dall’agenzia di stampa SIR.

[9] Cfr Benedetto XVI, Discorso alla 61a Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, 27 maggio 2010; cfr anche Id., Messaggio per la celebrazione della XLIV Giornata Mondiale della pace, 1 gennaio 2011, n. 3.

[10] Messaggio di Sua Santità Benedetto XVI al venerato Fratello Card. Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, 12 ottobre 2010.

[11] Ibid.; cfr DH 6 e CV 57.

[12] Card. Angelo Bagnasco, Prolusione, cit., p. 9.

[13] Cfr. DH 3, 6; Benedetto XVI, Messaggio per la celebrazione della XLIV Giornata Mondiale della pace, n. 8.

[14] Cfr. ibid., n. 9.

[15] Cfr. Messaggio del Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano.

[16] Il n.12 del Documento preparatorio spiegava così il senso e lo scopo della agenda: «Ci è sembrato che la prossima Settimana Sociale possa contribuire alla declinazione dell’idea di bene comune individuando una breve lista di problemi con alcune precise caratteristiche. Vale la pena che queste siano chiarite sin da principio. Per “problema”, non abbiamo inteso semplicemente e neppure necessariamente indicare una difficoltà. Consideriamo “problema” la compresenza di una determinata situazione e di alternative realistiche, di motivi ragionevoli e di spazi praticabili per soluzioni diverse. Allo scopo di contribuire al processo di declinazione dell’idea di bene comune, ci è sembrato utile identificare un certo numero di problemi realisticamente implicanti delle possibilità non colte di produrre più bene comune. Questa scelta pone di fronte a una sfida anche culturalmente ardua, se è vero che si tratta anche di contestare l’idea di uno spazio pubblico impermeabile alle ragioni dell’esperienza cristiana.» E ancora: «Una sottolineatura è necessaria: cercare problemi significa anche cercare soggetti. Se per immaginare una qualsiasi alternativa basta anche solo una teoria, per immaginare un’alternativa realistica è indispensabile la presenza di soggetti reali dotati delle risorse necessarie per concepirla, aderirvi e almeno provare a perseguirla».

[17] Cfr. Card. Angelo Bagnasco, Prolusione alla 62ª Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, Assisi, 8 novembre 2010, n. 6.

[18] Cfr. GS 22.

[19] Cfr. Benedetto XVI, Discorso alla Fondazione Centesimus annus pro Pontifice, 22 maggio 2010.

[20] Cfr. Id., Discorso ai rappresentanti politici, diplomatici, accademici, imprenditoriali della società britannica, Westminster Hall – City of Westminster, 17 settembre 2010.

[21] Cfr Benedetto XVI, Discorso ai Cardinali, Arcivescovi, Vescovi, Prelatura romana, per la presentazione degli auguri natalizi, 20 dicembre 2010: «Che in questo dibattito la Chiesa debba recare il proprio contributo, era evidente per tutti. Alexis de Tocqueville, a suo tempo, aveva osservato che in America la democrazia era diventata possibile e aveva funzionato, perché esisteva un consenso morale di base che, andando al di là delle singole denominazioni, univa tutti. Solo se esiste un tale consenso sull’essenziale, le costituzioni e il diritto possono funzionare. Questo consenso di fondo proveniente dal patrimonio cristiano è in pericolo là dove al suo posto, al posto della ragione morale, subentra la mera razionalità finalistica di cui ho parlato poco fa».

[22] Cfr. Documento preparatorio, n. 12.

[23] «L’opera educativa della Chiesa è strettamente legata al momento e al contesto in cui essa si trova a vivere, alle dinamiche culturali di cui è parte e che vuole contribuire a orientare. Il “mondo che cambia” è ben più di uno scenario in cui la comunità cristiana si muove: con le sue urgenze e le sue opportunità, provoca la fede e la responsabilità dei credenti. È il Signore che, domandandoci di valutare il tempo, ci chiede di interpretare ciò che avviene in profondità nel mondo d’oggi, di cogliere le domande e i desideri dell’uomo (…). Tutto il popolo di Dio, dunque, con l’aiuto dello Spirito, ha il compito di esaminare ogni cosa e di tenere ciò che è buono (cfr 1Ts 5,21), riconoscendo i segni e i tempi dell’azione creatrice dello Spirito. Compiendo tale discernimento, la Chiesa si pone accanto a ogni uomo, condividendone gioie e speranze, tristezze e angosce e diventando così solidale con la storia del genere umano»: Educare alla vita buona del Vangelo, 4 ottobre 2010, n. 7.

[24] Cfr Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell’Episcopato Italiano per il primo decennio del 2000, 29 giugno 2001, n. 50.

[25] Benedetto XVI, Omelia durante la Santa Messa con beatificazione del Venerabile Cardinale John Henry Newman, Birmingham, 19 settembre 2010.

[26] Cfr. Educare alla vita buona del Vangelo, n. 5.

[27] Cfr. Documento preparatorio n. 5.

[28] Cfr Card. Angelo Bagnasco, Prolusione alla 62ª Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, n. 9. Cfr anche Documento preparatorio: «L’Italia deve tornare a crescere, e non solo economicamente. In prospettiva economica il debito pubblico rappresenta la maggiore incognita per il presente e per il futuro. Alcune generazioni di italiani, attuali e a venire, pagheranno questo pesante scotto. Non rimane dunque che chiedere a noi stessi, a tutti e ad ogni amministrazione pubblica di fare il meglio. Le risorse pubbliche rappresentano l’altro versante di un sacrificio già superiore alla media: massima deve essere la tensione, perché massima sia la resa di ogni singolo elemento della spesa nel quadro del controllo dei saldi della finanza pubblica. Nella prospettiva del bene comune, questa ci appare come un’istanza etica, al pari di quella di generare risorse aggiuntive» (n. 15).

[29] «La pace purtroppo, ai nostri tempi, in una società sempre più globalizzata, è minacciata da diverse cause, fra le quali quella di un uso improprio del mercato e dell’economia»: cfr Benedetto XVI, Lettera apostolica in forma di “motu proprio” per la prevenzione ed il contrasto delle attività illegali in campo finanziario e monetario, Roma 30 dicembre 2010.

[30] Cfr Messaggio di Sua Santità Benedetto XVI al venerato Fratello Card. Angelo Bagnasco, p. 1.

[31] Si è spesso insistito su quel nesso tra le libertà, e particolarmente tra libertà religiosa e libertà educativa, sul quale il Pontefice è di recente tornato più volte. Cfr ad esempio: «Riconoscere la libertà religiosa significa, inoltre, garantire che le comunità religiose possano operare liberamente nella società, con iniziative nei settori sociale, caritativo od educativo. In ogni parte del mondo, d’altronde, si può constatare la fecondità delle opere della Chiesa cattolica in questi campi. È preoccupante che questo servizio che le comunità religiose offrono a tutta la società, in particolare per l’educazione delle giovani generazioni, sia compromesso o ostacolato da progetti di legge che rischiano di creare una sorta di monopolio statale in materia scolastica»: Benedetto XVI, Discorso agli Eccellentissimi memmbri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, per la presentazione degli auguri per il nuovo anno, 10 gennaio 2011.

[32] Cfr. Educare alla vita buona del Vangelo – Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020 n.48: « La scuola cattolica e i centri di formazione professionale d’ispirazione cristiana fanno parte a pieno titolo del sistema nazionale di istruzione e formazione. Nel rispetto delle norme comuni a tutte le scuole, essi hanno il compito di sviluppare una proposta pedagogica e culturale di qualità, radicata nei valori educativi ispirati al Vangelo».

[33] Cfr Conferenza Episcopale Italiana, Per un paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno, n. 8.

[34] Cfr Ibid., cap. III.

[35] Cfr. Benedetto XVI, Omelia nella Concelebrazione eucaristica sul sagrato del Santuario di Nostra Signora di Bonaria, 7 settembre 2008.

[36] Cfr. Card. Angelo Bagnasco, Prolusione al Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana, Roma, 27 settembre 2010, n. 7.

[37] Da La preghiera del ribelle.

[38] Conferenza Episcopale Italiana, Per un paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno, 21 febbraio 2010.

[39] Cfr. Per un paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno, n.11.

[40] Luigi Sturzo, Il piano Marshall e la solidarietà meridionale, in Il Popolo, 6 agosto 1948; anche in Politica di questi anni. Consensi e critiche – 1948-1949, Opera Omnia, II serie, Vol. X, Roma 2003, p. 64.

[41] Cfr. Per un paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno, n. 18.

[42] Discorso del Santo Padre Benedetto XVI ai giovani, Palermo, 3 ottobre 2010.

[43] Nell’accezione data dalla storiografia al termine (cfr G. De Rosa, Il movimento cattolico in Italia, Roma-Bari 1976), che include ma non si riduce alle espressioni politiche del cattolicesimo.

[44] «Il Mezzogiorno può trovare una sua nuova centralità in primo luogo per la ricchezza di risorse umane inutilizzate e per la possibilità concreta di specializzare produttivamente il territorio»: Per un paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno, n. 13.

[45] Card. Angelo Bagnasco, Prolusione, Reggio Calabria, 14 ottobre 2010, n. 2.

[46] Come emerso con chiarezza dal X Forum del Progetto Culturale (Roma, 2-4 dicembre 2010), «Nei 150 anni dell’Unità d’Italia. Tradizione e progetto».

[47] Conferenza Episcopale Italiana, Ripristino e rinnovamento delle settimane sociali dei cattolici italiani., n. 7.

[48] Ibid., n. 8.

[49] Ibid., n. 6.

[50] «L’attuale dinamica sociale appare segnata da una forte tendenza individualistica che svaluta la dimensione sociale, fino a ridurla a una costrizione necessaria e a un prezzo da pagare per ottenere un risultato vantaggioso per il proprio interesse. Nella visione cristiana l’uomo non si realizza da solo, ma grazie alla collaborazione con gli altri e ricercando il bene comune»: Educare alla vita buona del Vangelo, n. 54b.

[51] CV 41.

[52] Cfr. CV CA 48.

[53] Cfr Benedetto XVI, Messaggio XVI al venerato Fratello Card. Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, 12 ottobre 2010.

[54] Cfr. Educare alla vita buona del Vangelo n. 39. Cfr. anche il documento conclusivo della 45a Settimana Sociale, Il bene comune oggi: un impegno che viene da lontano, n. 13.