Cultura & Società

80 anni fa l’armistizio: dibattito ancora aperto

8 settembre 1943: l’annuncio di Badoglio è una ferita che non vuole o non potrà rimarginarsi. Chissà per quanto altro tempo. Il dibattito ancora in corso: in quel giorno crollò il sentimento nazionale nato con il Risorgimento oppure venne ritrovato?

8 settembre 1943: la prima pagina del Corriere della Sera

L’8 settembre 1943 è entrato nel linguaggio comune come sinonimo di disfatta. In quella data si identifica l’essenza dell’italianità peggiore che è rimasta appiccicata addosso a noi, figli dell’Italia contemporanea: voltagabbana, inaffidabili, bugiardi, arrivisti e un po’ vigliacchi. Ma la storia andò veramente così? Al di là del comportamento dei singoli, nel luglio del ‘43 l’Italia monarchica, con colpevole ritardo, capì che non era più possibile sostenere la dittatura fascista e continuare il conflitto al fianco di Hitler.

Caduto Mussolini, il 25 luglio 1943, quando fu evidente che la guerra era persa e il disastro era irrimediabile, si fece strada la possibilità di un accordo con gli Alleati, per salvare il salvabile dalla catastrofe, benché essa fosse già a un buon punto.

La fuga del re e dei vertici militari, compreso il capo del governo Badoglio, a Brindisi gettò il Paese nella confusione dividendo l’Italia in due: la Monarchia si era insediata nel Regno del Sud mentre, da Roma in su, la penisola sarebbe rimasta in mano ai fascisti repubblichini e ai tedeschi fino al 1945. Per colpa dei vari comandi d’armata e di divisione, l’esercito fu lasciato in pasto al nemico, che lì per lì non si sapeva più quale fosse.

Immaginiamoci il dramma delle forze armate italiane, rimaste senza precisi ordini su come comportarsi nei vari fronti sui quali erano impegnate. Quasi un milione di soldati fu catturato dai tedeschi e destinato ai lager. I nazisti meditavano la ritorsione per la rottura dell’alleanza e consumarono spietate vendette come il massacro sull’isola greca di Cefalonia.

Che l’Italia si stesse confezionando un tragico pasticcio, era evidente da come l’armistizio era stato preparato, senza chiare indicazioni, affidato al generale Castellano, uomo di fiducia di Badoglio. Già dai mesi precedenti al 25 luglio le difficoltà apparivano insuperabili nella loro chiarezza: gli Angloamericani volevano una resa senza condizioni, mentre gli emissari italiani, già prima dell’armistizio di Cassibile, firmato il 3 settembre e reso pubblico il giorno 8, cercavano di convincere gli Alleati a una trattativa che rendesse la resa meno pesante.

Con il risultato che l’Italia si era confinata in una posizione così ambigua che, a un certo punto, dei nostri militari non si fidavano, da una parte, i generali anglo americani che non avevano individuato il loro interlocutore; dall’altra, si fidava ancora meno il vecchio alleato Hitler. Proprio per questo l’annuncio dell’armistizio da parte di Badoglio, l’8 settembre, fu immediatamente seguito a distanza da quello degli americani, così, per puntualizzare la situazione ed evitare fraintedimenti o interpretazioni.

Il proclama di Badoglio pareva chiaro: «Il governo italiano riconosciuta l’impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze armate anglo americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno a eventuali attacchi da qualsiasi provenienza». L’ultimo passaggio («attacchi da qualsiasi provenienza») era evidentemente riferito ai tedeschi.

Una pagina comunque tragica, dalla quale emersero episodi di vigliaccheria ma anche di eroismo, per molto tempo rimasti nascosti da una storiografia che ha fatto fatica a riconoscere atti di coerenza verso il re, quindi in sostanza verso il proprio Paese non più fascista, e che ancora oggi non ha trovato o voluto trovare certezze su come si svolsero i fatti.

Emblematica la storia dei militari di Cefalonia, lasciati da soli, senza rinforzi, nell’isola sul fronte greco, che furono trucidati da reparti dell’esercito tedesco subito dopo l’armistizio di Cassibile.

La maggioranza degli italiani confinati a Cefalonia (la scelta fu consegnata a un referendum fra i soldati, da parte del comandante generale Gandin) decise che i tedeschi erano diventati nemici in coerenza con le disposizioni del nuovo governo Badoglio: ci furono i combattimenti sull’isola, poi la resa e il massacro ordinato da Hitler accecato dall’odio, senza rispetto per alcuna convenzione internazionale.

Stesso copione per la difesa di Roma a Porta San Paolo, scenario di scontri violentissimi tra i granatieri di Sardegna insieme ai partigiani contro le truppe tedesche. Evidentemente moltissimi ufficiali superiori e molti generali, cresciuti gerarchicamente nel ventennio fascista, vollero fraintendere colpevolmente il messaggio di Badoglio e arrendersi senza sparare un colpo alle truppe tedesche, di cui continuarono a rimanere psicologicamente alleate fino all’internamento nei lager. Proprio su questi ufficiali e soldati irriducibili, Mussolini, liberato alla fine del settembre 1943 dai paracadutisti tedeschi sul Gran Sasso, fondò l’esercito della Repubblica sociale italiana, composto da oltre un milione di soldati.

Andò ad arruolarli per il suo esercito repubblichino fra gli internati nei lager. Gli altri, o fedeli a Badoglio o antifascisti, rimasero deportati. Fra questi Giovanni Guareschi e Alessandro Natta, che scrissero due libri sull’esperienza resistenziale dei prigionieri, equiparando il loro no a Mussolini alla resistenza dei partigiani, che si svolgeva negli stessi mesi in Italia contro il nazifascismo.

Questo pezzo della nostra storia, del quale ancora non si conosce tutta la verità, ma piuttosto la ricostruzione, o l’interpretazione, di alcuni storici, è sicuramente un marchio di cui non andare fieri. Tuttavia non si può dare un giudizio definitivo, per i motivi di cui abbiamo parlato fin qui.

Da poco si è riaccesa una polemica proprio a conferma della delicatezza dell’argomento, ben lontano da una chiara verità storica: alcuni studiosi e intellettuali, come Ernesto Galli Della Loggia, sostengono che l’8 settembre crollò il sentimento nazionale nato con il Risorgimento, che nemmeno i venti mesi di Resistenza, dal 1943 al 1945, riuscirono a ricreare. Ovviamente questa è una tesi che divide e non è accettata da altri, come Giorgio Bocca e Nuto Revelli, che vedono invece nella lotta armata contro nazisti e fascisti e nella nascita della successiva Costituzione, il ritrovato sentimento di unità nazionale.

Un dibattito ancora in corso fra chi ha una visione catastrofica del passaggio dal fascismo al postfascismo e chi vede nella lotta per la libertà del popolo italiano e nella Liberazione di città come Firenze, Genova, Torino, Milano e Venezia, un grande riscatto dei cittadini. Che con le armi si conquistarono la nuova vita, prima dell’arrivo degli anglo americani e dopo gli scioperi operai nelle metropoli del Centro nord Italia, dove fino all’aprile del 1945 continuarono a imperversare i fascisti della Repubblica sociale.

Da qualsiasi osservatorio si guardi, l’8 settembre è una ferita aperta che non vuole o non potrà rimarginarsi. Chissà per quanto altro tempo.