Lettere in redazione
Sposi cristiani costretti all’eroismo
Il Santo Padre, lanciando il suo grido d’allarme contro la spaventosa alluvione di sesso, operato, stampato, riprodotto, proiettato in mille modi, e invadente da qualche decennio la società che, a chiacchiere, si ricorda di appartenere, almeno di nome, alla cultura cristiana, non si è lasciato sfuggire l’occasione di rilanciare anche il suo duro monito ai fedeli, ed in particolare alle coppie cattoliche, per una fedele osservanza della famosa enciclica di Papa Paolo VI, l’«Humanae vitae».
Non mi sembra davvero che i due problemi possano esser messi insieme, con tanto semplicismo. Tutti sanno benissimo che la gestazione di quell’enciclica era stata lunghissima, contrastata, ripensata, ed alla fine improvvisamente promulgata, quasi come un «motu proprio». E lo sconcerto fu tanto, fra tutti i cattolici che, come quasi sempre avviene nel nostro mondo, tacquero in pubblico ma scossero decisamente il capo in privato, subissati dall’azione trionfalistica della stampa cattolica che, addirittura, invitava i fedeli a ringraziare il Papa per il «dono» che con quell’enciclica, veniva elargito.
Ma, al fatto, poi, le cose non potevano che andare diversamente. Gli sposi cattolici si trovavano davanti al bivio: rinunciare ad esprimersi fra loro secondo quanto il Buon Dio li aveva creati, oppure lasciar libero corso alla loro vita di persone normali, sfidando con incoscienza il rischio di mettere al mondo figlioli per i quali non era preparato un nido coerente.
Chi le scrive ha vissuto per anni quel drammatico bivio. Né lui, né sua moglie, sono stati dei santi, anzi, diciamolo pure, degli eroi.
Amarsi, vivere le comuni gioie e difficoltà della giornata, sdraiarsi nelle stesse lenzuola, respirare la vicinanza dell’essere che il sacerdote, infilando l’anello in un atto sacramentale ti ha stretto al cuore ed al corpo in un vincolo vero, e poi dover respingere amore, attrazione, congiungimento, solo perché ti è stato imposto un «no» implacabile: ma vi sembra davvero che il Signore esiga questo? Perché Gesù non hai mai fatto un minimo accenno ad una tale drammatica faccenda?
A quarant’anni dalla promulgazione della «Humanae vitae» (25 luglio 1968), che costò a Paolo VI tante contestazioni e sofferenze, anche gli oppositori più feroci riconoscono che ebbe molto coraggio e seppe guardare lontano. «Oggi, la presa di posizione di Paolo VI ha scritto, ad esempio, Emma Fattorini, docente di storia moderna e contemporanea alla Sapienza di Roma può sembrare, per alcuni aspetti, profetica: ha avuto l’intuizione che dissociando completamente la sessualità dalla riproduzione, si creavano le basi per trasformazioni antropologiche irreversibili. […] Questo appello al rispetto delle leggi naturali e alla tradizione, che sta alla base dell’Humanae Vitae, oggi è meglio compreso, non solamente nel mondo cattolico, ma anche fra le femministe e gli ecologisti preoccupati degli eccessi scientisti».
In sostanza Paolo VI, andando coraggiosamente contro il parere della Commissione da lui istituita (anche se un saggio del 2003 di Bernardo Colombo, che fu uno dei membri di quella commissione, ribalta alcuni luoghi comuni come quello di un orientamento completamente «pro contraccezione»), intuì le derive alle quali saremmo arrivati decenni dopo separando amore coniugale e riproduzione (è del 1978 il primo bambino concepito in provetta). Per questo, il magistero della Chiesa penso in particolare alla «Familiaris consortio» di Giovanni Paolo II si è sempre mosso su questa linea tracciata dall’«Humanae vitae».
Ma la sua lettera pone con garbo un problema vero: la difficoltà che gli sposi cristiani, senza essere «né santi né eroi», hanno di vivere nel concreto quanto la Chiesa indica nel campo della sessualità coniugale. Nel «Catechismo della Chiesa Cattolica» (§ 2366) si ribadisce «che qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto per sé alla trasmissione della vita», escludendo così ogni forma di contraccezione. Al § 2368 si ammette però che ci possa essere una «regolazione della procreazione», che nasca non da egoismo ma da «paternità responsabile». E al § 2370 si indica nella «continenza periodica», nei «metodi di regolazione delle nascite basati sull’auto-osservazione e il ricorso ai periodi infecondi» i mezzi moralmente accettabili per questa «regolazione della procreazione». Sono principi che pongono oggettivi problemi agli sposi. E da quello che vedo in giro non mi sembra che di questi temi si parli spesso nelle nostre parrocchie, se non forse nei corsi prematrimoniali. Ribadire i principi non basta se non si è poi capaci di calarli nel vissuto delle persone.