Lettere in redazione

Una Repubblica fondata sul reciproco sospetto

Devo confessare una forma di disagio che sempre più mi affligge, nei confronti del grado (o degrado) di maturità civile del nostro Paese. Abbiamo leggi che gli stessi estensori definiscono, a posteriori, «porcate»; in un Paese di ormai antiche tradizioni democratiche, ci si accusa reciprocamente dei più sfacciati brogli elettorali; non si riesce ad assistere ad un qualsiasi incontro di calcio senza che, ad ogni rigore o fuorigioco, si invochino ammiccamenti, inganni, complotti; processi «eccellenti» si protraggono sine die, fra avocazioni improprie di procure e tattiche dilatorie di avvocati; non si riesce a capire se i nostri politici siano dei fraudolenti intrallazzatori o dei poveri cristi ingiustamente esposti alla colonna infame; scopriamo che le commissioni parlamentari d’inchiesta sono per lo più dedite a scavare il terreno sotto i piedi dell’uno o dell’altro… Tutto è teso all’estremizzazione del confronto. Chi addirittura, nelle due coalizioni, mostra atteggiamenti appena più moderati (e, ad onor del vero, questo si riscontra per lo più nelle formazioni di matrice cattolica), tende ad essere emarginato, se non accusato di collusione con il «nemico».

Il peggio è che questo atteggiamento di antagonismo estremo si è diffuso anche nell’ordinario di tutti i giorni: la litigiosità urlata, a volte becera, messa in campo dai vari programmi televisivi di «approfondimento», o anche solo di intrattenimento, si è estesa ai comportamenti relazionali più banali, anche di vicinato o colleganza. Nessuno dà più credito a nessuno di una diversità bona fide. Ricordo con nostalgia le discussioni, accese ma corrette, che una volta si tenevano tranquillamente nelle Case del Popolo come nei Circoli Cattolici. Oggi siamo tutti vittime di divisioni manichee fra «buoni» e «cattivi» o, nella migliore delle ipotesi, fra «coglioni» e «pazzoidi».

Come ci siamo ridotti così, e come se ne esce? Oppure, modificando il preambolo della Costituzione, dovremo rassegnarci a definire l’Italia come «una Repubblica non democratica, fondata sul reciproco sospetto»?Andrea GoriPrato C’è chi dice che questa reciproca e continua delegittimazione dell’interlocutore sia frutto del bipolarismo politico. E certamente c’è del vero. Ma anche i mass media hanno le loro colpe. Per vendere copie o conquistare «audience» si grida sempre più forte, si rappresenta continuamente lo scontro, si adombra ad ogni occasione l’oscuro complotto. Non so dirle come se ne esce. So però che come cattolici abbiamo la responsabilità di vedere in qualunque interlocutore, anche in quello più distante da noi come modi di pensare o di agire, un fratello.Claudio Turrini