Caro Direttore,dipenderà che sono anziano e più di uno mi prenderà per un tradizionalista irremovibile. Pazienza! Mi permetta però di esprimere la mia opinione sull’abito ecclesiastico, ormai dalla maggioranza dei sacerdoti abbandonato ed anche da alcuni religiosi.Mi sono sfogato con un sacerdote. Grazie a Dio è uno di quelli che, obbediente alla disciplina della Chiesa, è rimasto in difesa dell’abito ecclesiastico. Anch’egli desidera che i sacerdoti siano sempre riconoscibili (con la talare o con il clergyman) ovunque si trovino. A conferma mi ha letto ciò che al n. 66 del «Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri» è scritto. Cito testualmente: «In una società secolarizzata e tendenzialmente materialista, dove anche i segni esterni delle realtà sacre e soprannaturali tendono a scomparire, è particolarmente sentita la necessità che il presbitero uomo di Dio, dispensatore dei suoi misteri sia riconoscibile agli occhi della comunità, anche per l’abito che porta, come segno detentore di un ministero pubblico. Il presbitero deve essere riconosciuto anzitutto per il suo comportamento, ma anche per il suo vestire in modo da rendere immediatamente percepibile ad ogni fedele, anzi ad ogni uomo, la sua identità e la sua appartenenza a Dio e alla Chiesa».Lettera firmataArezzoAlcune dichiarazioni, successivamente precisate, del card. Hummes, nuovo Prefetto della Congregazione per il Clero, circa il celibato ecclesiastico, hanno riportato il prete al centro del dibattito giornalistico e televisivo. E così, ancora una volta, si discute sulla solitudine del prete, sull’opportunità del celibato, ma anche sullo stesso ruolo del sacerdozio ministeriale all’interno della comunità cristiana e sul modo di esercitarlo.Questa problematica però è troppo spesso affrontata con superficialità, senza il necessario bagaglio storico, teologico e pastorale e soprattutto senza quella visione di fede senza la quale il sacerdozio cattolico non può essere compreso nella sua realtà più profonda. Ciò determina disagio e sofferenza nei tantissimi preti che vivono con gioia e dedizione grande il loro ministero, in piena fedeltà, anche se a tratti sofferta, a quanto a suo tempo promesso.In quest’ottica il problema dell’abito ecclesiastico è decisamente secondario, anche se ha una sua importanza. Al di là però di quanto il Codice canonico stabilisce emerge una domanda: l’abito, segno esterno che qualifica e distingue e in qualche misura anche protegge allontana o avvicina alla gente, cioè facilita o ostacola il ministero sacerdotale?Il problema è stato più volte affrontato sul Settimanale, dando spazio alle varie opinioni. Da molti interventi sembrerebbe che alla gente, giovani compresi e questo va sottolineato non solo non faccia ostacolo ma sia gradito che il sacerdote si riconosca anche e l’avverbio è ovviamente fondamentale! per un segno esterno.Alcuni sacerdoti, che per incarichi nazionali viaggiano spesso, affermano che il loro clergy ha più volte determinato colloqui significativi, ascolto di confessioni e anche episodi che hanno il sapore dei Fioretti.Uno mi ha particolarmente colpito. A un sacerdote che aspetta a sera inoltrata un treno, che ha forte ritardo, si avvicina un «barbone»: non domanda l’elemosina, ma chiede… se è possibile recitare insieme Compieta. E così lungo i binari di una stazioncina di provincia il prete e il barbone lodano insieme il Signore. Tutto merito del clergy? No, diciamo però che l’ha facilitato.