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Rubrica: Risponde il teologo

28 Marzo 2012

Perché per salvare l’uomo dal peccato era necessario che Gesù morisse?

di Archivio Notizie

Si dice che Gesù ha liberato l’uomo dal peccato e dalla morte: in realtà mi sembra che il peccato e i peccatori siano ancora ben presenti nel mondo, e che la morte, il dolore, la sofferenza non sono scomparsi. In che senso vanno intese quelle parole? Perché era necessario, per il bene dell’uomo, che Gesù sia diventato uomo, sia vissuto e sia morto? E perché era necessaria, per questo, la morte in croce? Non poteva bastare che Dio si facesse uomo?

Maria Giannetti

Risponde padre Athos Turchi, docente di filosofiaLa domanda è complessa e potrei dire di non essere un esperto da abbracciarla tutta. Però è provocante, perché tocca alcuni aspetti del messaggio cristiano che veramente a volte sono ostacolo a una fede piena e totale.Gesù fu condannato a morte dai Giudei perché dicendosi Dio ingannava il popolo, dai Romani perché si diceva re e passava per un sobillatore. Ma anche la storia dopo 2000 anni lo condanna, perché aveva promesso vita e salvezza, eliminazione della morte e del male, ma non si vede niente.

Dunque o Gesù è un truffatore e un impostore, o Gesù dice il vero. Supponiamo che dica il vero. Allora è necessario spiegare la liberazione dal peccato, dalla sofferenza e dalla morte in modo diverso da come si pensano e ci appaiono, similmente a quando si guarda il frontale dell’ambulanza con la scritta al contrario: o chi l’ha scritta non sapeva scrivere, oppure va bene in quel modo perché si deve leggere in maniera diversa.

Cominciamo dall’ultima domanda. Se Dio si faceva uomo e basta, senza che nella sua vita umana rivelasse niente, non avrebbe avuto senso. Gesù dice che l’amore più grande è dare la vita per gli amici e nemici (Gv 15,13), e lui era venuto per questo (Gv.3,16). Pensiamoci un attimo: Dio poteva morire per gli altri? No, evidentemente! Per questo si fa uomo, per dimostrare l’amore più grande: Lui il Dio onnipotente, eterno, immortale, facendosi uomo, vuol farci capire che è disposto a morire per ciascuno di noi, non solo per dare l’esempio, ma anche per attuare un piano salvifico. Dunque era necessario che Dio diventasse uomo perché se avesse salvato l’uomo a suon di miracoli, l’uomo senza meriti si ritrovava in paradiso, invece così il paradiso è una conquista personale in risposta all’azione divina, nella linea dell’amore totale fino al sacrificio di se stessi.

A questo punto chiediamoci: perché per salvarci Dio ha scelto di morire in croce invece di andare alle Seychelles a morire d’insolazione? Questo è il punto della prima domanda e quello che ci lascia un po’ perplessi. A me pare che si debba interpretare così. La morte, intesa come disgregazione e sbriciolamento dell’essere, è la conseguenza diretta del peccato. Da questo punto di vista il contrario della morte non è la vita, ma l’amore, perché l’amore in quanto capace di aggregare e unire è la sorgente stessa della vita. Dunque il peccato che è ribellione a Dio, porta morte e dolore, ma Dio dando se stesso fino alla morte in croce, con questo supremo atto d’amore riconcilia l’uomo a sé, rivitalizzandolo di vita abbondante (Gv 10,10). Così la sofferenza e il dolore che sono anch’esse conseguenze del peccato, vengono redente. In questo senso. Quando un ladro è messo in galera per 4 anni, essi sono anni di punizione e sofferenza, ma sono anche redentivi perché una volta uscito dal carcere egli non è più ladro. Dio morendo sulla croce ci vuol far capire che la morte e la sofferenza non sono più «punizioni» distruttive, ma sono esperienze redentive, poiché avendole Lui stesso assunte nella sua persona divina li ha rese «buone», perché tutto ciò che appartiene a Dio è buono. Così sofferenza e morte non sono più conseguenze del peccato, ma strumenti salvifici, perché, resi buoni dalla morte di Cristo, e possono essi stessi produrre vita e salvezza. Insomma Dio non ha eliminato la morte fisica e la sofferenza, perché una volta rese qualità buone per la vita dell’uomo, le ha trasformate in strumenti salfivici. In questo senso Gesù dice il vero, mentre prima della croce di Cristo morte e sofferenza erano i segni del peccato (cf. libro di Giobbe), dopo la morte di Cristo sono rivelazione dell’amore di Dio e  strumenti di salvezza (si pensi al desiderio di sofferenza dei santi cristiani).

Dunque il Cristo ha vinto la morte e il dolore, morendo e soffrendo, invece il peccato che non poteva assumere, perché è contraddittorio al suo essere, lo «assolve». Assolvere vuol dire che esso rimane una cosa cattiva, ma in ragione del grande amore verso l’uomo lo assolve, libera l’uomo da quel fatto. A conclusione possiamo allora dire che nell’opera salvifica di Dio c’è una «logica»: Dio poteva salvarci in molte maniere: con miracoli renderci buoni, facendoci entrare in paradiso lasciando perdere quello che abbiamo fatto in vita, ecc., ma sceglie la via della croce perché vuole che la salvezza, che ci concede, noi possiamo già viverla in questa vita, e perché noi stessi possiamo essere attori della nostra salvezza, e non solo spettatori delle opere divine. E la croce rivela benissimo il messaggio divino: la salvezza passa per l’amore radicale fino alla morte per gli altri. Messaggio questo che non avrebbe avuto alcun valore se fosse stato solo detto o scritto, andava vissuto, perché la morte e il dolore non appartengono a Dio, e perché potessero diventare cose buone dovevano entrare a far parte di Dio stesso. Cosa che Dio esattamente ha fatto, al punto da metter su un’opera salvifica complessa e intricata, com’è l’incarnazione, la vita, la morte e la resurrezione di Cristo.

risponde il teologoteologia
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