La Bibbia non è un libro, ma una vera biblioteca di 73 libri scritti nell’arco di centinaia di anni. Un’opera immensa, monumentale, che però possiamo riassumere in poche parole: è la storia della relazione fra Dio, amore infinito, e la sua creatura prediletta, l’uomo, che rifiuta e tradisce continuamente questo amore. Dio crea l’uomo e lo tiene vicino a sé nell’Eden, ma l’uomo rifiuta subito questo amore e, con il peccato originale dell’orgoglio, si allontana da lui; ma come una madre appassionata, Dio non si rassegna a perdere il figlio e stabilisce un’alleanza con i patriarchi, però l’uomo preferisce seguire gli idoli; allora il Padre manda continuamente i suoi messaggeri, i profeti, ma l’uomo non li ascolta, anzi, li perseguita e li uccide. Alla fine, in un impeto supremo di amore, Dio manda suo Figlio… sappiamo tutti come è andata a finire: la creatura crocifigge il suo creatore.Se possiamo attribuire un sentimento umano a Dio, senz’altro è quello della delusione per l’ingratitudine umana.La prima lettura, il salmo ed il vangelo di questa XXVII domenica del tempo ordinario esprimono questa realtà con la metafora della vigna. Quanto scrive il profeta Isaia è un vero e proprio capolavoro della poesie ebraica: un canto di lavoro destinato ai contadini nella festa della vendemmia, la solennità liturgica delle Capanne. Il vignaiolo è Dio, che coltiva con amore la sua vigna, il popolo d’Israele, ma rimane deluso perché questa produce uva selvatica. E Isaia, con un gioco di parole, descrive tutta l’amarezza del Signore, che si aspettava giustizia (in ebraico mishpat) e trova spargimento di sangue (mispah), attendeva rettitudine (sedaqah) ed ecco grida di oppressi (se’aqah).Gesù approfondisce il concetto applicando la parabola di Isaia a sé stesso: il Padrone manda i suoi servi, i profeti, a sollecitare i vignaioli infedeli, ma questi vengono perseguitati; alla fine, per farsi ascoltare, manda il figlio, che però viene addirittura ucciso. Ma, come al solito, Dio non si rassegna e dalla croce fa scaturire la salvezza per l’umanità, togliendo la sua vigna al popolo dell’antica alleanza per consegnarla al nuovo popolo dei cristiani.Tutto è bene ciò che finisce bene, quindi; macché… quella storia d’ingratitudine continua nei secoli fino ai nostri giorni: nonostante il Signore continui a mandare i suoi servi, i santi, e ci sostenga con la sua Parola ed i sacramenti della Chiesa, noi continuiamo a tradirlo, a negarlo, a seguire gl’idoli. Ma ormai il Figlio è venuto, la redenzione si è attuata, la salvezza ci è offerta a piene mani. Piuttosto stiamo attenti, noi italiani ed europei ai quali è stata affidata la vigna del Signore tolta ai nostri fratelli maggiori ebrei, perché di antiche chiese cristiane splendide e fiorenti come Filippi, Pergamo, Efeso, Ippona, oggi sono rimasti solo resti archeologici, nonostante abbiano ascoltato la voce di Paolo e Giovanni o avuto vescovi come Agostino: non ci accorgiamo che stiamo preparando la morte anche delle nostre chiese occidentali con l’indifferenza, con il nostro egoismo e con le continue delusioni alle attese di Dio? La vigna, se Dio vuole, continuerà ad essere coltivata dai popoli dell’Africa, del sud America e anche dell’Asia che vivono l’entusiasmo della vera fede. Popoli che forse un giorno, come turisti, verranno a visitare le rovine della nostre belle chiese.