Arezzo - Cortona - Sansepolcro

«Noi, politici del Pci, conquistati da Fanfani nella sua Valtiberina».

Amintore Fanfani è stato uno dei pochi riformatori sociali del ‘900. È una qualifica che ha dovuto conquistarsi sul campo attraverso dure lotte politiche e che pochi tra i suoi avversari gli riconobbero in vita. Anche a sinistra, socialisti e comunisti vedevano in lui l’unico personaggio che con il suo dinamismo era in grado di invadere terreni fino ad allora di esclusiva pertinenza della cosiddetta «sinistra di classe». Si capisce allora che un collaboratore e amico fra i più stretti, Ettore Bernabei, scegliesse queste parole per ricordarlo dopo la sua morte, alla fine del 1999: «Incontrò molte difficoltà, ricevette molte critiche e pochi elogi, se si toglie il riconoscimento forte della sua intelligenza e della sua grande onestà».Questo aspetto della sua personalità, l’intelligenza, accompagnata dalla sua «schiettezza» anche nei rapporti interpersonali, gli era particolarmente riconosciuta anche all’interno delle sezioni del Pci. Quando la discussione si accendeva sul gruppo dirigente della Dc degli anni ’60 e ’70, emergeva spesso un sottile distinguo nei confronti dell’onorevole Fanfani. Per carità, era sempre considerato un avversario politico tosto, ma più corretto degli altri e sicuramente «più onesto». E di questo è buona testimonianza il come fu accolta anche da parte del gruppo dirigente del Pci di allora una sua mostra di pittura che il senatore realizzò presso il circolo delle «civiche stanze» di Sansepolcro se non erro nell’anno 1969. Fu una grande occasione per tanti comunisti conoscerlo direttamente e colloquiare con lui.Non era schivo e dimostrava ancora una conoscenza forte e diretta del nostro territorio e delle sue problematiche. Sembrava quasi impossibile riuscire a comunicare con un «potente» che appariva sulla scena politica italiana così burbero e sanguigno. Lui, amico di Dossetti e di La Pira, intuisce quello che a tanti marxisti negli anni ’50 sfuggiva: nell’Italia post-bellica le masse popolari non solo avevano fatto irruzione sul palcoscenico della vita istituzionale, ma andavano integrate nello Stato attraverso scelte adeguate a un Paese in rapida trasformazione.In quegli anni l’Italia cambia il suo volto sociale ed economico e Fanfani seppe guidare il processo interpre-tandolo più e meglio degli altri. Nel farlo ridefinì la natura della Dc, indirizzando il sistema politico verso i nuovi approdi del centro-sinistra. È proprio su questa sua interpretazione del profondo cambiamento socio-economico che investiva il nostro Paese che l’onorevole Fanfani non tralascia mai di interessarsi alle problematiche economiche della Valtiberina e in particolare nei confronti dell’azienda Buitoni. Tiene continui rapporti con le istituzioni e con il vescovado e, quando gli capita di tornare nella nostra terra, incontra rappresentanti dei lavoratori e proprietari delle aziende.Rispetto a questo suo fare e ai legami che mantiene con l’Alta Valle del Tevere, all’interno del Pci c’è sempre un atteggiamento che rimanda alla considerazione dell’avversario che viene a conquistare voti e consensi, ma comunque Fanfani non è mai visto come «nemico». E spesso sono proprio i compagni più autorevoli a considerarlo come un «politico diverso», quel «cavallo di razza» che comunque sa parlare anche agli operai. In particolare, nella grave crisi della Buitoni degli anni ’80, tiene contatti con le istituzioni, ha due incontri telefonici con il sindaco Del Furia e con il segretario del consiglio di fabbrica. Fanfani è stato anche un cattolico riformatore che avanzava con l’energia di un missile nucleare. Si capisce bene che i marxisti ne temessero le iniziative, in grado forse di incrinare la loro base sociale e si capisce anche che il grande corpo moderato della Dc soffrisse questo modernizzatore toscano che non faceva mistero di sognare un governo forte fondato su una chiara leadership. A distanza di decenni si può dire che egli seppe intuire le potenzialità dello sviluppo italiano e che impose alla politica una sfida adeguata al mutamento in atto.Fanfani rimane nella storia della seconda metà del ‘900 come il capo di governo più energico, più fattivo, più concreto, alla guida di un centro-sinistra non ancora organico (il Psi dava l’appoggio esterno) che realizzò la nazionalizzazione dell’industria elettrica. Tutto ciò dopo essere stato un protagonista alla Costituente. Fu lui a proporre e a spiegare la dizione essenziale di «la Repubblica fondata sul lavoro», nel senso che il cittadino va messo nella condizione di dare il «massimo contributo alla prosperità comune».Ministro nel dopoguerra, Fanfani ha lasciato tracce profonde: chi non ricorda, per esempio, le «case Fanfani», il più grande piano di edilizia economica e popolare di quei decenni. Fanfani era considerato all’interno delle sezioni del Pci come uomo dalla forte etica politica. Non c’è ricordo di averlo sentito parlar male di nessun altro politico, neanche di quelli che più lo attaccavano. E questo è stato un modo di agire e di fare anche degli esponenti della Dc locale che si rifacevano alla sua corrente. Tra tutti basta ricordare il professor Vezzosi (comandante partigiano della brigata Garibaldi nelle montagne del Montenegro), il professor Macchiati che tra l’altro tanto si è impegnato per l’allora piccolo ma efficiente ospedale di Sansepolcro. Due autorevoli esponenti della Dc biturgense, capigruppo consiliari e punto di riferimento per la definizione condivisa di tante importanti scelte per la città e per la vallata. (…).Nel 1962, capo del primo governo appoggiato dai socialisti, Fanfani dimostrò come lo Stato funzionasse, come il governo fosse in grado di agire con decisione. Era un’Italia che quasi non aveva debito pubblico. Era l’Italia della programmazione nascente che prometteva riforme importanti. La contrapposizione con il Pci si manteneva durissima sul piano sociale, anche se poi Togliatti non tirava la corda sul piano politico istituzionale.Fanfani era legatissimo alle sue radici toscane e a Pieve Santo Stefano: ne è prova il fatto che tutte quelle azioni rivolte al sociale a livello nazionale ed internazionale trovano rispondenza anche sulle risposte date alla provincia di Arezzo e al territorio della Valtiberina. Ci piace pensare che osservando anche la sua meravigliosa terra sia cresciuta in lui una straordinaria sensibilità per la natura che lo ha portato a promuovere all’Onu la prima grande conferenza sull’ambiente del pianeta.Ritengo che nei confronti di Fanfani dobbiamo avere tutti un grande debito di riconoscenza e di quanti della sua generazione hanno ricostruito le istituzioni, l’economia, la vita sociale del paese e dell’Europa in un contesto di pacifico sviluppo e di solidarietà fra le persone. Valori che oggi, a mio parere, stanno venendo meno e che invece è indispensabile recuperare.di Maddalena Senesi esponente del Pci e sindaco di Anghiari dal 1994 al 2002