Da Kierkegaard (1813 – 1855) fino ai nostri giorni molti letterati e poeti hanno seriamente parlato e scritto su Cristo. Se ne è parlato tanto anche prima, ma è dall’appassionato filosofo danese che, nel guardare Gesù, il suo messaggio, la sua figura, la sua incidenza nella nostra vita e sul nostro pensiero, comincia pienamente consapevole quella che siamo soliti considerare la modernità. Il tempo cioè nel quale sembra fare breccia nel cuore un particolare aspetto della secolare teologia, quello che ci fa percepire il nostro divino, mortificato, conculcato fratello, come il Dio che è sceso nella nostra miseria e impotenza quasi per far dimenticare, per farsi perdonare il fatto di essere anche il creatore onnipotente e sempre beato nella sua intoccabile perfezione. Da questo nasce anche una duplice esigenza, e cioè quella che il suo volto ispiri vicinanza e confidenza e insieme, esprima i segni dell’infinito.Per i nostri antenati la raffigurazione del Volto Santo la cui festa viene celebrata a Sansepolcro questa domenica 23 novembre, alle 18, rispondeva a queste due loro esigenze umane. Per noi è ancora segno della prossimità di Dio e conforto della fede? Il peggio che ci possa capitare è parlare del Volto Santo senza accorgersi che stiamo parlando di Cristo, o senza renderci conto, che ne parliamo per stereotipi senza nessuna partecipazione interiore, adagiati nelle formule di una ortodossia che così concepita, diventa satanicamente eterodossa e blasfema perché trasforma l’autore della vita e la vita della nostra anima, in un inerte pupazzo dagli attributi divini che non trasmettono più il soffio della divinità. Non credo alla leggenda che i lucchesi imperterriti continuano a riproporre sui giornali, in merito alle origini angeliche del loro Volto Santo, leggenda che poi è erosa da una documentazione storica sempre più precisa, però mi sembra di comprenderne la motivazione e la fonte.Il Volto Santo esprime alcuni tratti della persona umana e divina di Gesù ripetuti dai Vangeli e i fedeli, fissandolo con devozione, forse scoprono per la prima volta quei connotati divini che dalla sola narrazione letteraria non erano riusciti a capire, e così passano facilmente a considerare miracolosa l’origine dell’immagine. Quelle braccia spalancate e tese al massimo per allungarsi ancora se fosse possibile, ricordando le promesse di Gesù: «Quando sarò elevato (sulla croce) attirerò a me tutte le genti». (Gv 12, 32) Oppure «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso». (Lc 12, 49) E poi il clima di nobiltà, di interiorità e di comprensione che tutta la figura comunica, rinnovano in noi lo stato d’animo degli apostoli quando Gesù chiede loro: «Perché siete turbati e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io. Toccatemi e guardate: un fantasma non ha carne ed ossa come io ho» (Lc 24, 38-39).Rispetto alla posizione eretta del corpo, la testa sporge in avanti e con gli occhi dalle nere pupille, attira con una forza quasi magnetica lo sguardo degli oranti che lo pregano dal basso. Occhi di profonda suggestione, leggermente strabici perché lo sguardo non sembri trattenersi su un qualche particolare ma abbracci un orizzonte vastissimo, il mondo intero. Gran parte della fronte è coperta dai capelli e così si concentra l’attenzione sugli occhi, la bocca, il naso le orecchie ed aumenta la forza della comunicazione. Il volto di Dio è un mistero ma il Volto Santo di quel mistero dà una lettura che tocca la mente ed il cuore.Giacomo BabiniVescovo emerito di Grosseto