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EUTANASIA NEONATALE; CARD. CAFFARRA: «È SEMPRE E COMUNQUE UN ATTO GRAVEMENTE INGIUSTO»

“È gravemente ingiusto porre fine alla vita di un neonato, sempre e comunque. Per una semplice ragione: ogni persona ha la stessa dignità nel suo essere di ogni altra persona, e nessuna ha il diritto di decidere se un altro deve/non deve vivere”: lo ha detto questo pomeriggio a Bologna, l’arcivescovo card. Carlo Caffarra, intervenendo con una relazione dal titolo “Eutanasia neonatale: proposta di riflessione etica”, al convegno scientifico “Decidere in neonatologia” promosso da varie realtà tra cui l’Azienda ospedaliero-universitaria del capoluogo emiliano, l’Associazione medici cattolici, l’Associazione “Medicina e Persona” e l’Accademia Nazionale di Medicina. Caffarra è partito dalla constatazione che “l’eutanasia neonatale … si pone soprattutto circa i bambini di bassa età gestazionale, poiché sono questi neonati che vanno incontro più degli altri a gravi disabilità. Per cui non manca chi propone come orientamento generale di non rianimare i neonati al di sotto di una certa età gestazionale”.

Proseguendo nella riflessione sulla liceità o meno dell’eutanasia neonatale, il card. Caffarra si è domandato quale sia la “posta in gioco in questa problematica”. “La giustificazione dell’eutanasia neonatale e/o della rianimazione selettiva – ha argomentato – è la previsione di una vita umana biologicamente handicappata gravemente e quindi di grave sofferenza”. “Poiché ovviamente trattasi di persone umane assolutamente incapaci di elaborare una qualsiasi concezione di vita buona, sulla base della quale dedurre un giudizio di sensatezza/insensatezza della propria vita, un altro elabora questo giudizio sulla base dell’ipotesi che il neonato – se fosse in grado di pensare – consentirebbe”. Ciò fa dire a Caffarra che “si decide di interrompere la vita di un altro presumendo che esso in futuro condividerebbe la concezione di vita buona propria di chi pone fine alla vita dell’altro”.

Dal piano della persona e dei suoi diritti inalienabili, il card. Caffarra sposta poi la riflessione al piano della società. Afferma infatti che “legittimare questa giustificazione [e quindi legittimare la rianimazione selettiva] significa obiettivamente inferire un vulnus grave ai due pilastri fondamentali del profilo democratico che abbiamo voluto dare alla nostra convivenza civile: l’autonomia e l’uguaglianza”. “La sensatezza/insensatezza della vita di ciascuno – sottolinea – non può essere decisa da un estraneo secondo parametri o standards propri di felicità/infelicità. Autonomia significa in primo luogo indisponibilità [della vita] di ciascuno nei confronti di ciascuno, e quindi impossibilità di imporre un giudizio proprio – secondo criteri di senso/ non senso – ad un altro in ordine al suo vivere”.

Per Caffarra, un eventuale consenso all’eutanasia neonatale “è il segno inequivocabile della ‘tirannia dell’utilitarismo’ nella dottrina e nella regolamentazione della vita umana associata. Secondo questa visione il bene comune, il bene cioè proprio della vita associata, è da pensare come una sommatoria dei beni individuali. Posso azzerare un addendo e non cambiare il risultato, purché aumenti proporzionatamente gli altri. Fuori metafora: l’interesse dell’uno può essere diminuito o azzerato purché resti o cresca l’interesse di un numero maggiore di persone”. Inoltre, tale legittimazione colpirebbe gravemente anche il senso della professione medica che “sarebbe sempre meno univocamente orientata, finalizzata alla difesa della vita. Essa potrebbe anche essere richiesta di porvi positivamente fine”, facendo venir meno inoltre “il dovere di solidarietà sociale verso i portatori di handicap e le loro famiglie”.Sir