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Grazia a Sofri, interverrà la Consulta?

Un caso politico-istituzionale che si trascina da due anni e al quale la politica e il Parlamento sino ad oggi non hanno trovato una soluzione. Alla fine, a dirimere la complicata questione della grazia ad Adriano Sofri e Ovidio Bompressi, condannati a 22 anni di carcere per l’omicidio del commissario Calabresi, è probabile che dovrà intervenire la Corte Costituzionale. A meno che in questa intricata vicenda non intervenga un ennesimo colpo di scena.

Pervicacemente contrario alla grazia ai due ex esponenti di Lotta Continua, il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, giovedì 21 ottobre è salito al Quirinale per fare il punto con il Capo dello Stato su due istruttorie di grazia ormai praticamente concluse (i pareri aggiornati su Bompressi sono stati trasmessi al Colle la settimana scorsa, mentre il fascicolo su Sofri sarà tra pochi giorni sul tavolo del Guardasgilli). Più volte Castelli ha ribadito che ci sono altri casi, quasi del tutto sconosciuti, di detenuti che hanno chiesto la grazia ma per i quali nessuno o pochi si sono mossi. Nell’incontro lo avrebbe dimostrato, facendo il punto con il Capo dello Stato su alcune istruttorie per la clemenza a delinquenti comuni, che forse meriterebbero anche di essere accolte. Non è escluso che questi fascicoli possano essere trasmessi nei prossimi giorni dal ministero di Largo Arenula al Quirinale assieme alla pratica Sofri.

Tra il caso Bompressi e quello Sofri esiste comunque una differenza: il primo ha chiesto la grazia ben due volte per motivi di salute (Castelli ha già detto di no una volta), mentre il secondo si è sempre rifiutato di presentare domanda.

È ora difficile prevedere cosa accadrà: Ciampi dirà di sì alla grazia mentre Castelli non controfirmerà aprendo così uno scontato conflitto alla Corte Costituzionale? Oppure il Quirinale tenderà a distinguere la posizione di Bompressi da quella di Sofri? E se il Guardasigilli proporrà la grazia per altri detenuti, Ciampi accetterà?

In questi due anni si sono mossi in tanti: il comitato promotore per la grazia fondato dall’ex sottosegretario alla Giustizia Franco Corleone e da Silvio Di Francia; il leader dei Radicali Marco Pannella, che a più riprese ha fatto lo sciopero della fame e della sete affinché il Capo dello Stato si riappropriasse della sua prerogativa di concedere la grazia anche in assenza di una richiesta del detenuto e di un’ istruttoria avviata dal ministro della Giustizia; il presidente della Repubblica Ciampi, intervenuto più volte, l’ultima delle quali in modo clamoroso; il Guardasigilli leghista, sempre contrario a un eventuale atto di clemenza; il Parlamento, dove sono stati affossati – soprattutto grazie ai voti contrari di An – due provvedimenti (legge Boato e art.24 delle riforme costituzionali) che avrebbero consentito a Ciampi di concedere la grazia a Sofri senza che Castelli controfirmasse l’atto.

È il 19 agosto 2003. Marco Pannella, in conferenza stampa, sostiene che «nulla ostacola» il presidente Ciampi a concedere la grazia a Sofri dal momento che esiste un articolo del codice di procedura penale (art. 681) che al quarto comma così recita: «La grazia può essere concessa anche in assenza di grazia o di proposta». Non contento, Pannella chiama in causa il segretario generale del Quirinale, Gaetano Gifuni, indicandolo come l’ispiratore del comunicato del 18 luglio 2003 con cui si sosteneva – erroneamente, secondo il leader radicale – che il Capo dello Stato non potesse liberamente esercitare il potere di grazia senza l’iniziativa del ministro della Giustizia. Il giorno dopo l’iniziativa radicale, dal Colle arriva la precisazione: l’articolo 89 della Costituzione fa sì che «in mancanza del consenso del ministro della giustizia a voler controfirmare l’eventuale decreto presidenziale di concessione della grazia, non è costituzionalmente possibile emanare il suddetto decreto presidenziale, in quanto sarebbe ‘non valido’”.

Insomma, se è vero che l’art. 87 della Costituzione dà a Ciampi il potere di concedere la grazia e di commutare le pene, resta sempre un limite, quello previsto dall’art. 89 della Carta per cui “nessun atto del presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che se ne assumono la responsabilità «. Ma, per sua esplicita e reiterata ammissione, Castelli questa responsabilità politica non se la vuol prendere, perché è un provvedimento di clemenza che proprio non condivide (“finché sarò io ministro – ha detto di Sofri e Bompressi qualche giorno fa – credo che non avranno mai la grazia»).

Come uscirne? Due le alternative: una soluzione politica (approvare una legge che consenta al Capo dello Stato un’iniziativa autonoma dal ministro della Giustizia, oppure far controfirmare l’eventuale grazia non da Castelli ma dal premier Berlusconi); altrimenti il ricorso alla Corte Costituzionale per dirimere una delicatissima questione tra poteri dello Stato. Quest’ultima ipotesi è sempre stata vista come un’extrema ratio, perché di conflitti di attribuzione di tale portata non se ne sono mai visti (quello tra l’ex presidente Cossiga e l’ex Guardasigilli Martelli sulla grazia a Renato Curcio non fu mai risolto dalla Corte perché il ministro ritirò il ricorso).

È il 31 marzo quando, dopo il naufragio, alla Camera, del testo Boato, Ciampi compie un gesto clamoroso: decide di esercitare lo stesso il potere di grazia in modo autonomo rispetto al ministro Castelli. Con una lettera che verrà resa nota alla stampa, suscitando così l’ira del Guardasigilli, Ciampi chiede al ministro di inviargli i pareri aggiornati su Bompressi e di aprire un’istruttoria su Sofri. Castelli incassa per «cortesia istituzionale”: dà incarico agli uffici di Via Arenula di aprire un fascicolo su Sofri. I pareri sono arrivati al ministero (negativi quello della procura generale e del giudice di sorveglianza di Pisa per Sofri, negativo quello del pg di Milano per Bompressi che però ottiene un parere moderatamente positivo dalla procura di Massa). Nel frattempo, però, alla Camera, dove vengono approvare le riforme costituzionali, la Cdl si sfalda sulla controfirma degli atti presidenziali. An vota contro, proprio alla luce del caso Sofri. Fallita la soluzione politico-parlamentare, ora resta la strada che porta alla Consulta. Sempre che Ciampi dica sì alla Grazia a Sofri o a Bompressi.

Dossier su Sofri

Sì alla grazia, a patto che… (di Giuseppe Anzani)