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Alzheimer. In Italia almeno 600 mila casi. Arriva un assistente virtuale

E’ la patologia neurodegenerativa più frequente: di Alzheimer soffre il 60-70% di tutti i soggetti affetti da demenza, un totale di 50 milioni di persone a livello globale, ma secondo l’Oms si tratta di numeri destinati a triplicarsi entro il 2050 grazie al progressivo invecchiamento della popolazione. «Per l’Italia, Paese più vecchio al mondo con il Giappone, le demenze rappresentano un problema medico-sociale ogni giorno più grande», ha spiegato lo scorso 11 settembre, a Roma, il geriatra Roberto Bernabei, presidente di Italia longeva, rete nazionale di ricerca del ministero della Salute sull’invecchiamento e la longevità attiva.

L’Alzheimer, «forma più prepotente e violenta», oggi interessa «quasi 600 mila persone, il 5% degli over-65», ma secondo le proiezioni elaborate dall’Istat per Italia longeva, nel 2030 «saranno colpiti dalla malattia ben oltre 2 milioni di pazienti, in prevalenza donne».

E proprio presso il ministero della Salute è stato presentato il progetto Chat Yourself (@chatyourselfitalia), il primo chatbot per malati nelle prime fasi della patologia, disponibile gratuitamente su Facebook. Ad oggi manca una terapia specifica in grado di arrestare o far regredire la malattia. «Molte multinazionali – ha spiegato ancora Bernabei – si sono ritirate dall’agone, una molecola può costare fino a un miliardo di dollari di investimenti». Nell’attesa, ecco allora Chat Yourself, «assistente virtuale» che grazie al connubio di tecnologia e intelligenza artificiale è in grado di rispondere alle domande più comuni dei pazienti ai primi segni di disorientamento: «Come si chiama mia figlia?». «Dove sono le chiavi di casa?». «Ho preso le medicine?».

Nato da un’idea di Y&R con il supporto tecnico di Nextopera e di Facebook, perfezionato grazie ad un team di geriatri, neurologi e psicologi, sviluppato su Messenger e utilizzabile su smartphone, Chat Yourself è in grado di memorizzare informazioni personali restituendole su richiesta all’utente, che ha anche la possibilità di impostare notifiche personalizzate (ad esempio per ricordare di prendere i medicinali).

«L’Alzheimer comporta un lento e progressivo decadimento delle funzioni cognitive, dovuto all’azione di due proteine, la Beta-amiloide e la proteina Tau, che si accumulano nel cervello causandone la morte cellulare», ha spiegato da parte sua Paolo Maria Rossini, direttore Area neuroscienze Fondazione Policlinico universitario Agostino Gemelli Irccs-Università Cattolica. sottolineando l’importanza di una diagnosi precoce nei 500 centri Uva (Unità di valutazione per l’Alzheimer) presenti sul territorio. Lo abbiamo intervistato.

Professore, perché è così importante diagnosticare precocemente la patologia?

«Evidenze scientifiche ci dicono che l’attacco ai neuroni ed ai circuiti nervosi inizia almeno 15-20 anni prima della comparsa dei ‘tipici’ disturbi della memoria. Anni durante i quali l’aggressione al cervello lavora nel buio, i sintomi non si vedono perché il cervello aggredito è dotato di truppe riserva che sostituiscono i neuroni e i circuiti perduti. Intervenire in questa fase è altamente auspicabile proprio perché quel cervello ha ancora sufficiente plasticità e riserve per rispondere nel modo migliore alle terapie farmacologiche e non farmacologiche, alla correzione degli stili di vita che comportano rischio e al potenziamento di stili di vita che invece comportano protezione. Anche oggi, pur in assenza di farmaci realmente efficaci, la diagnosi precoce, addirittura pre-sintomatica è uno dei must che tutti i servizi sanitari del mondo stanno cercando di raggiungere. L’Italia è in prima fila in questa attività di ricerca con il progetto ‘Interceptor’, finanziato da Aifa e ministero della Salute».

Come effettuare una diagnosi in assenza di sintomi di declino cognitivo?

«Mettendo insieme test neuropsicologici, che rimangono i pilastri di base, ad una serie di marcatori, cioè di altri test strumentali che vanno dalla puntura lombare per lo studio del liquor, alla Pet per vedere il metabolismo e il consumo di ossigeno e di zucchero nel cervello, ad un elettroencefalogramma un po’ particolare per studiare la connettività delle varie aree cerebrali, alla risonanza magnetica per segnare i volumi dell’ippocampo e delle varie centraline che controllano le funzioni cognitive, a uno studio genetico per vedere se ci sono fattori geneticamente determinati di rischio. Mettendo insieme questi marcatori più i test, si può già oggi avere una previsione accurata per oltre il 90% e dire ad una persona: ‘Guardi caro signore, anche se lei oggi sta bene nei prossimi 3 – 5 anni ha un rischio molto elevato di sviluppare la demenza e quindi è il caso di correre ai ripari’».

Se le cause dell’Alzheimer sono ancora ignote e non esistono misure specifiche di prevenzione, Italia longeva indica alcune «strategie» per agire sui fattori di rischio e tenere e attivo il cervello: svolgere regolare attività fisica; seguire una dieta sana ed equilibrata; smettere di fumare; ridurre il consumo di alcol; prendersi cura del cuore, a partire dal controllo della pressione arteriosa; allenare la mente per favorire i meccanismi di plasticità cerebrale: leggere, fare cruciverba, giocare a carte o dama, visitare mostre e musei; mantenere una rete di relazioni sociali.