Toscana

TIMOR EST, DILI: CHIUSO AEROPORTO DOPO SCONTRI, LA TESTIMONIANZA DI UN MISSIONARIO

“A partire da aprile a oggi non vi è mai stata sicurezza per la popolazione di Dili” dice alla Misna Thomas Alvez, coadiutore e direttore incaricato della scuola tecnica dei salesiani a Dili, commentando la chiusura dell’aeroporto della capitale in seguito ai violenti scontri tra bande giovanili dei giorni scorsi in cui almeno due persone hanno perso la vita. Secondo le fonti di stampa internazionali, gruppi giovanili si sono affrontati a colpi d’arma da fuoco e sassate o con archi e frecce martedì sera lungo la strada principale che conduce all’aeroporto, dove una persona è morta colpita da un sparo, e stamani nei pressi dell’aerostazione dove un residente è rimasto ucciso e dodici abitazioni sono state date alle fiamme. “Gli scontri erano iniziati già domenica mattina e si sono via via intensificati finché ieri le autorità hanno deciso di cancellare tutti i voli almeno sino a domani perché non vi sono garanzie di sicurezza” precisa Alvez dal centro salesiano ‘Don Bosco’ di Dili che si trova proprio nei pressi dell’aeroporto. “Noi – aggiunge – non possiamo uscire dalla nostra struttura. Da qui vediamo pietre e vetri rotti per la strada”. Gli scontri tra le gang giovanili, che a maggio avevano approfittato delle tensioni tra i militari per saccheggiare e dare alle fiamme negozi, abitazioni ed edifici governativi, continuano nonostante la presenza di un contingente di pace multinazionale di oltre 1600 uomini guidato dall’Australia.

“Il governo non si prende cura della popolazione e dei circa 100.000 sfollati e la forza di pace internazionale non riesce a contenere gli episodi di violenza” dice ancora Alvez, raccontando che “a volte la situazione torna calma e riusciamo a tornare al nostro consueto stile di vita per due o tre giorni, ma subito dopo riprendono i combattimenti per strada”. La sicurezza nel paese – indipendente solo dal 2002 – è fragile da quando a fine aprile l’ex-primo ministro Mari Alkatiri ha congedato circa 600 membri dell’esercito, quasi la metà del totale, originari dell’ovest del paese che si erano assentati dal servizio denunciando di essere stati discriminati dai comandanti dell’esercito dell’est. Gli scontri poi divampati tra forze regolari e soldati disertori hanno innescato tafferugli tra bande giovanili di diversa origine geografica, saccheggi e incendi dolosi. “Non è chiaro chi vi sia dietro a questi episodi di violenza. Molte scuole sono state distrutte e molti giovani non frequentano più. Di certo qualcuno li paga per alimentare le violenze tra ovest ed est. La tensione tra le due aree geografiche non si è mai placata” conclude Alvez.Misna