Toscana

Case popolari: i poveri spesso non abitano qui

di Ennio Cicali

Sono circa 387 mila i nuclei famigliari in Toscana che soffrono il disagio abitativo che va da chi abita in case troppo piccole per le proprie necessità, ai fitti troppo onerosi per il bilancio famigliare, alla coabitazione forzata. Quasi 20 mila sono attesa dell’assegnazione di una casa, circa la metà riesce ad avere un contributo che va dai 100 ai 250 euro al mese. Case popolari, contributi per l’affitto, edilizia agevolata: sono gli strumenti per consentire ai più poveri di avere un alloggio dignitoso con un canone accessibile alle proprie tasche. La realtà, invece, è ben diversa: ci sono famiglie con redditi annui superiori alla media regionale (pari a 32 mila euro) che vivono in un alloggio pubblico pagando un canone molto basso. Duemila 537 famiglie che hanno un reddito tra i 30.000 e i 40.000 euro pagano un affitto mensile di 203 euro. Altri 1.033 con un reddito tra i 40 e i 50.000 euro e pagano 288 euro. Non solo: 393 assegnatari guadagnano tra i 50 e i 60.000 euro e pagano 385 euro al mese. Nella fascia tra i 60 e i 70.000 ce ne sono 128 e pagano 427 euro. Tra i 70 e gli 80.000 sono 37 e pagano 475 euro.

Ci sono poi i casi limite: 16 inquilini con un reddito tra gli 80 e i 90.000 euro pagano 493 euro. Altri 10 tra i 90 e 100.000 euro di reddito che pagano 546 euro. Quattro hanno un reddito oltre i 100.000 euro e un canone mensile di soli 556 euro. A conti fatti circa l’8 per cento delle famiglie può essere considerata troppo ricca per stare in un alloggio popolare. Altri dati rivelano che sono 223 le persone sole e 611 le famiglie di due che vivono in alloggi di oltre 100 metri quadrati, mentre sono 495 quelle con 5 o più componenti in alloggi inferiori a 75 metri quadri. Alle distorsioni del sistema dell’edilizia pubblica toscana è dedicato uno studio dell’Irpet (l’istituto per la programmazione regionale) sulle caratteristiche degli assegnatari delle case popolari. Una ricerca condotta su un campione di circa 25 mila famiglie, pari alla metà delle 50 mila che risiedono in un alloggio pubblico.

Quali sono le ragioni dell’anomalia riscontrata dall’Irpet? Prima tra tutte il mancato ricambio degli assegnatari delle case popolari dovuto alle lunghe e costose  procedure per la decadenza, in secondo luogo i meccanismi di calcolo del reddito. Ne consegue una forte disparità di trattamento tra famiglie, per cui si continua a fornire elevati livelli di tutela sociale – canoni di affitto molto lontani da quelli di mercato – a poche famiglie, anche quando le condizioni di bisogno sono superate, mentre si riservano interventi minimi (piccolo contributo per il pagamento di un canone di mercato) a quelle di recente formazione, nonostante abbiano condizioni più disagiate.

È significativo notare che le famiglie con figli minori sono l’8 per cento di quelle assegnatarie di alloggio pubblico e il 36% di quelle titolari del contributo per l’affitto, mentre quelle con figli adulti, potenzialmente percettori di reddito, sono il 25% delle prime e il 3% delle seconde. Lo studio dell’Irpet, redatto dalla ricercatrice Sabrina Iommi, è il punto di partenza per riequilibrare la situazione attraverso una nuova legge regionale. «Questo studio fotografa l’esistente – spiega l’assessore regionale alla casa Eugenio Baronti – fornendoci elementi necessari e utili in questa fase di messa a punto di una nuova legge regionale». «Voglio precisare – aggiunge – che questo è un punto di partenza e non un punto di arrivo, le simulazioni contenute nello studio sono solo una proposta Irpet sulle quali intervenire attraverso un confronto aperto e democratico con tutti i soggetti interessati».

Non ci stanno i rappresentanti degli inquilini. È un falso problema, dice Simone Porzio, segretario fiorentino e toscano del Sunia, la vera necessità è la riforma dell’edilizia pubblica e il meccanismo di accesso agli alloggi pubblici. Secondo il Sunia (il sindacato degli inquilini e degli assegnatari) occorre una legge di riforma per superare le inefficienze dei comuni. «Non sono stati in grado di spendere – afferma Porzio – gli oltre 150 milioni ex Gescal da destinare all’edilizia pubblica». Non sarà facile riformare il sistema che governa l’edilizia popolare. Sono undici in Toscana le società pubbliche di gestione, con la conseguente moltiplicazione dei costi: undici consigli di amministrazione, con relativa sede e annesse strutture burocratiche. Il primo ostacolo sarà politico.

Gli strumenti contro il disagio abitativo Come risponde la politica della casa al disagio abitativo attuale? Ci sono alcuni strumenti tradizionali che andrebbero in parte ripensati e altri nuovi da meglio coordinare con i precedenti. Un semplice sguardo alle caratteristiche dei beneficiari chiarisce la situazione. Sono tre gli strumenti attualmente disponibili: edilizia sovvenzionata (case pubbliche a canone calmierato), contributo per l’affitto (contributo pubblico per il pagamento di un canone di mercato), edilizia agevolata (contributo pubblico a fondo perduto per l’acquisto della prima casa). Tre strumenti che dovrebbero delineare un decrescente di sostegno pubblico alle famiglie in difficoltà, ma i dati della ricerca Irpet mostrano che così non è, perché chi riceve il contributo per l’affitto ha redditi medi sensibilmente più bassi di quelli che ottengono un alloggio pubblico. Una legge quadro regionale dovrebbe eliminare, o almeno attenuare, le distorsioni del sistema. A questo proposito lo studio dell’Irpet indica una possibile soluzione: un meccanismo di calcolo del canone che diminuisca la convenienza economica ad occupare un alloggio popolare senza averne i requisiti.