Cultura & Società
Autismo, la storia di Pietro raccontata dalla mamma
In occasione della giornata mondiale che si celebra oggi, Agnese Fioretti, giornalista, parla della sua esperienza di madre di un bambino di dieci anni affetto dal disturbo dello spettro autistico

«Quella che voglio raccontare qui ha a che fare con la tua, a volte insospettabile, capacità di dare amore». Sono le parole di una madre, Agnese Fioretti, nate dal desiderio di consegnare al mondo uno speciale linguaggio d’amore, quello con il proprio figlio Pietro, affetto dal disturbo dello spettro autistico. Il suo libro, La voce di Pietro (Giunti, 224 pagine, 16,90 euro) è un percorso di coraggio e tenacia, costellato da lettere, che come delle tenere carezze parlano direttamente al figlio. «Pietro era arrivato, assaporava la luce e con lui tornava la primavera» e proprio nel giorno del suo decimo compleanno, il 21 marzo, Agnese ha deciso di condividere la sua storia con Toscana Oggi.
Giornalista ed editor gastronomica, inizia a narrare sui social le sfide quotidiane dell’essere mamma di un bambino autistico – oggi, 2 aprile, è la Giornata mondiale per l’autismo – e tutto l’amore che gravita intorno al suo nucleo familiare: «Esattamente nell’estate del 2021, quando Pietro intraprese un percorso di training intensivo in ospedale per la selettività alimentare, la notevole fatica di quelle giornate mi ha portata a voler cambiare modo di comunicare quanto stavo vivendo». Non solo, ha anche deciso di diventare la voce di Pietro, «perché Pietro non parla, non verbalizza. Ogni tanto ripete qualche suono, qualche parola, ma non articola, non costruisce frasi. Così sono diventata io la sua voce, per dare voce anche a me stessa». Spiega inoltre che lo spettro autistico è caratterizzato da una pluralità di sfumature e ciò che lei condivide è solo un frammento, senz’altro un beneficio per chi sta affrontando un percorso simile e utile per chi ha voglia di saperne di più.
Pietro, primogenito di Agnese e Tommaso, nasce con un cesareo d’urgenza, tre settimane prima del termine. Durante un controllo di routine, dalla pediatra, Pietro ha poco più di due anni e i genitori dicono alla dottoressa che il bambino ancora non parla. La pediatra chiama Pietro più volte, lui non si gira. Non girarsi al proprio nome è considerato un campanello d’allarme: infatti la dottoressa suggerisce di fare dei controlli «perché l’autismo potrebbe essere dietro l’angolo». Una frase martellante che a giugno 2017 diventa per Agnese una fonte smisurata di rabbia. Iniziano le visite mediche, i test, le attese di una diagnosi. Una montagna da scalare che Agnese ha appena iniziato a percorrere: «Io ho ricominciato a stare bene quando ho messo un punto alla caccia al colpevole. Quando la predominanza della rabbia aveva esaurito il suo corso, quando invece di sentirmi la più sfortunata ho iniziato a darmi da fare per migliorare la nostra vita. Solo così ho scoperto che, nell’accettazione di un destino totalmente diverso da come lo avevo immaginato e desiderato, ci si può comunque ricostruire la felicità».
«A volte la gioia di viverti, di vederti felice e di condividere tale felicità con chi ti ama quanto me riesce a soffiare via ogni pensiero negativo. Oggi i miei pensieri negativi se li è presi il mare». Molti capitoli del libro si concludono con un lieto fine, che diviene emblema di forza e fiducia: «Pietro affronta molto spesso fasi difficili e non nego di assorbire totalmente quel disagio. L’importante è non mantenere il focus sul dolore, sposto lo sguardo oltre e lo rivolgo alla luce che emanano i suoi occhi, i suoi baci rubati. Nella piacevolezza del suo odore e nei suoi abbracci mi sono sempre fatta forza». Agnese racconta la quotidianità con un figlio autistico, è una testimonianza autentica, non edulcorata e che, anzi, non nasconde né ammorbidisce i momenti di sconforto, la sensazione di non farcela, gli inevitabili ostacoli di un cammino che in certi giorni sembra estremamente tortuoso.
La sua è una narrazione nella quale non mancano attimi di vera gioia, in cui spiragli di luce dileguano il buio nel quale lo spettro autistico a volte sembra chiamarla a sé. È il caso dello pratiche sportive: «Pietro ha gli occhi felici e riesce a mantenere la concentrazione senza dover essere stimolato. Il nuoto lo gratifica, l’ippoterapia ha una capacità distensiva su di lui e, parallelamente, su di me. Da alcuni mesi ha iniziato l’atletica, a lui piace corriere e l’aria aperta lo aiuta a non sentirsi confinato».
I timori, i problemi grandi e piccoli da affrontare e di piccole e grandi conquiste di cui essere orgogliosi che appartengono alla vita di Pietro sono state paragonate da una dottoressa alla facciata di un palazzo piena di finestre, alcune delle quali aperte, altre semi-aperte e altre ancora chiuse: «Lavoriamo sodo ogni giorno per aprirne il maggior numero possibile. La finestra del rapporto con il fratello Elia a volte sembra essere serrata, ma sono sicura che non c’è finestra che possa arginare il vento di un grande amore». Agnese spiega invece la difficoltà nel far passare aria di speranza nella finestra della comunicazione: «Pietro continua a non avere un’intenzionalità comunicativa. Con la mia formazione giornalistica attribuisco un enorme peso alle parole, ma mio figlio mi insegna a uscire dal perimetro delle proprie certezze ed esplorare altri linguaggi che procedono per binari paralleli».
Uno di questi linguaggi risiede nel ballo: da una canzone che illumina gli occhi di Pietro, Agnese capisce che vuole essere preso in braccio e farsi cullare tra le note della musica. L’ombra dello sconforto si fa poi spazio in quelle note: «Ho pensato ai balli che non ci saranno e che la mia testa si ostina a tenere lì, in un cantuccio, come delle uova che non si schiuderanno mai. Tra quelle uova c’è il ballo del tuo matrimonio, il ballo della tua festa di laurea, il ballo di quella per i tuoi diciotto anni. Ci ho pensato e ho iniziato a piangere, senza riuscire a fermarmi». Non c’è finzione, né vergogna nel far toccare con mano il dolore che avvolte l’assale: «Con il tempo ho capito che non ha senso rincorrere la normalità e immaginarla nel futuro di Pietro, se per normalità si intende che una persona è libera ed economicamente autosufficiente, può vivere da sola o formarsi una famiglia. Rimane sempre la preoccupazione principale con cui convivo ogni giorno, ma ho imparato ad accettare che la normalità può assumere una pluralità di sfaccettature. Preferisco godermi i balli che ci sono piuttosto che pensare a tutti quelli che non ci saranno».