Toscana
Fine vita, “promuoviamo una vita e una salute migliore”
Intervista a mons. Andrea Migliavacca, vescovo delegato della Cet per la pastorale della salute

Il partecipato incontro sul fine vita, organizzato dalla Conferenza episcopale toscana a Firenze è stata la dimostrazione che un tema fondamentale come questo è capace di accendere nuovo e forte interesse tra i cristiani. Ed è stato un modo, per i vescovi, per far sentire la loro voce e quella di esperti chiamati a presentare le ragioni che hanno portato le Chiese toscane a criticare la legge approvata lo scorso 11 febbraio dal Consiglio regionale. «Non vogliamo giudicare» ha spiegato il presidente della Cet, il cardinale Augusto Paolo Lojudice, arcivescovo di Siena e vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza.
La Chiesa, però su certi principi ha il diritto/dovere di far sentire forte la sua voce. Lo spiega in quest’intervista il vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, monsignor Andrea Migliavacca, vescovo delegato della Cet per la Pastorale della salute, anche lui intervenuto all’incontro fiorentino prima delle relazioni di Marco Rossi, medico e responsabile della pastorale della salute della diocesi di Arezzo, di padre Maurizio Faggioni, ordinario di bioetica presso la Pontificia Università Alfonsiana, e di Leonardo Bianchi, docente alla Facoltà di giurisprudenza a Firenze.
Monsignor Migliavacca, quello fiorentino è stato un incontro particolarmente importante, non contro qualcuno ma per portare la speranza.
“È stato un incontro importante perché il fatto che sia stato proposto dai vescovi, dai vescovi della Toscana, vuol dire che ha portato la presenza delle nostre chiese, delle nostre comunità. È un incontro per guardare avanti, per andare in profondità delle cose, anche partendo dal presupposto che nei confronti della sofferenza, della malattia, del fine vita, ci è chiesto uno sguardo di delicatezza, di ascolto, di umanità, di vicinanza. E questo è il primo sentire, la prima sensibilità che volevamo testimoniare. E nello stesso tempo un incontro importante per guardare avanti, perché a partire dalle tematiche interessanti che sono emerse, possono nascere ulteriori iniziative nelle nostre diocesi, nelle associazioni, nelle varie realtà, per portare avanti l’approfondimento e il dialogo”.
C’è bisogno, qualcuno ha detto, di una vita migliore, non di una morte migliore.
“E’ una bella immagine, c’è bisogno di una vita migliore e questo si traduce anche in scelte politiche concrete, per esempio quella del promuovere, sostenere, finanziare, valorizzare il percorso delle pure palliative, il fatto che gli ospedali abbiano personale sufficiente per assistere i malati, per stare loro vicino. Promuovere veramente la salute, è una politica della salute, allora questo favorirebbe la possibilità di una vita migliore e di una qualità di vita anche nel suo momento terminale”.
Secondo lei, che non è toscano, perché proprio la Regione Toscana è stata la prima ad approvare una legge sul fine vita?
“La Toscana per prima forse perché vi è di base il rischio di un retaggio ideologico che un po’ rimane, ed è rimasto, nel terreno, nella formazione politica, nell’impostazione delle idee e quindi può sembrare, guardandolo da una certa impostazione ideologica, che questa legge sia una crescita, un passo avanti. In realtà la Chiesa, ricordava Paolo VI, è maestra di umanità e forse, in quanto maestra di umanità, la Chiesa, che ha accompagnato tante esperienze di sofferenza, di malattia e di morte, sa raccontare come la morte e l’esperienza, il cammino naturale verso la morte, sia esperienza di ricchezza di umanità. Questo è davvero un passo avanti, cioè rendere degna tutta la vita fino alla fine”.
C’è bisogno forse di rinsegnare anche ai giovani, agli adolescenti che esiste il dolore, che esiste la morte?
“Certamente perché forse per i giovani la morte è vista come qualcosa di molto lontano e degli altri e quindi il rischio è quello, quando si discute di questi temi, è di trattarla in modo abbastanza teorico. Ma poi per i giovani è molto forte il tema della libertà – me ne accorgo parlando con loro – per cui anche di fronte a queste tematiche, talvolta anche pur non condividendo questa scelta, difendono un’idea di libertà secondo la quale è giusto che ciascuno possa scegliere della propria vita secondo libertà. E allora ecco, credo che i giovani vadano educati a capire il senso vero della libertà, perché noi dobbiamo difendere la libertà, ma la libertà non è autodeterminazione riguardo alla propria vita. Allora forse questo è un cammino bello e affascinante che possiamo fare con i giovani”.
Potrebbe essere il prossimo impegno della pastorale della salute?
“Potrebbe essere un impegno interessante perché aprirsi al mondo dei giovani anche come pastorale della salute diventerebbe una sfida che io definirei affascinante”.