Firenze

Palme: Gambelli, “Gesù dalla croce perdona tutto”

L'omelia dell'arcivescovo di Firenze nella cattedrale di Santa Maria del Fiore

mons. gambelli arcivescovo di Firenze

“Anche noi abbiamo bisogno del perdono infinito di Dio: ne è testimonianza drammatica il nostro presente di guerre, di ingiustizia sociale ed economica, di povertà materiale e spirituale, così come ne sono testimonianza le nostre personali ferite e i nostri propri mali”. Sono le parole dell’arcivescovo di Firenze Gherardo Gambelli nella messa celebrata questa mattina nella Domenica delle Palme. La celebrazione si è aperta in battistero, con la benedizione dei rami d’ulivo e la processione verso il duomo. “Gesù dalla croce non maledice, non recrimina nulla e perdona tutto”, ha sottolineato. “Se smarriamo la consapevolezza di aver bisogno di questa tenerezza “smisurata” di Dio, a noi uomini non rimarrebbe altro che l’abisso del nostro male” ha affermato Gambelli. Qui di seguito, il testo dell’omelia.

Cattedrale di Santa Maria del Fiore 23° aprile 2025

Domenica delle Palme – Passione di Nostro Signore Gesù Cristo

(Is 50,4-7Sal 21 (22) – Fil 2,6-11)

OMELIA

«Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» fin nelle ultime parole che abbiamo sentito pronunciare da Gesù sulla croce, egli ci consegna “il segreto” della sua intera esistenza e il significato di tutta la sua missione. Egli ha vissuto la sua intera vita in questa consegna di sé al Padre, perché gli uomini guardando lui possano arrivare a riconoscere il volto buono del Padre suo. Per questo egli si è “abbassato”, ci è venuto incontro entrando nella nostra storia da uomo, da vero uomo. Un’umanità, la nostra, che egli ha assunto e fatta sua in ogni aspetto, nel corso della sua intera vita, fino a volerla patire integralmente anche nella sua fragilità estrema, fino a questa sua passione e morte. L’affidamento di Gesù al Padre non conosce, infatti, scorciatoie, egli non si lascia lusingare dai cori osannanti che l’accoglievano in Gerusalemme: Gesù ha voluto fare visceralmente sue le parole del salmista, che anche oggi la liturgia ci ha fatto ripetere, «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?». Gesù si è fatto carico anche del nostro sconforto estremo, quello nel quale ci sentiamo fondamentalmente soli, abbandonati, emarginati, quello nel quale sembra che nemmeno Dio ci possa salvare. Ma proprio così, proprio nel momento in cui il male dell’uomo sembrerebbe trionfare nella sua violenza; proprio nel momento in cui la missione di Gesù sembra ormai esposta al solo scherno degli uomini e il peccato sembra avere l’ultima parola sulla storia e sugli umani destini; proprio allora, il Figlio ci mostra la vera portata – indistruttibile – del rapporto col Padre suo: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno». Gesù dalla croce non maledice, non recrimina nulla e perdona tutto. Così – come scrive Sant’Agostino – attraverso le ferite del corpo ci è spalancato l’accesso al cuore stesso di Dio «appaiono le viscere di misericordia del nostro Dio» (Sermones in Cant. 61, 4: PL 183, 1072; cf. Papa Francesco Dilexit nos, 104). Dalla croce si mostra così il vero volto di Dio, volto di misericordia dalla tenerezza infinita, che nulla misura e tutto abbraccia in un perdono che costituisce l’unica vera alternativa al male e al peccato di cui noi uomini ci scopriamo sempre nuovamente capaci. Contemplando la croce noi vediamo così che c’è realmente qualcosa di più del nostro solo male, e c’è qualcosa di più tenace della stessa morte: la possibilità di sperimentare quell’affidamento a Dio che solo permette di perdonare e di amare, di partecipare cioè della vita di Cristo. Una vita che come celebreremo nella Santa Pasqua nemmeno la morte può trattenere.

Cari fratelli e sorelle, del bisogno che anche noi – oggi – abbiamo di questo perdono infinito ne è testimonianza drammatica il nostro presente di guerre, di ingiustizia sociale ed economica, di povertà materiale e spirituale, così come ne sono testimonianza le nostre personali ferite e i nostri propri mali. Se smarriamo la consapevolezza di aver bisogno di questa tenerezza “smisurata” di Dio, a noi uomini non rimarrebbe altro che l’abisso del nostro male. Di questo bisogno di perdono che siamo è per noi immagine emblematica il ladrone “buono”: egli si lascia colpire da Gesù – dal suo soffrire e dal suo perdonare, ricordandoci che non è un ragionamento astratto su Dio, o l’adesione a una dottrina ciò che ha la forza di salvare la vita quanto, piuttosto, riconoscere il proprio bisogno estremo e incrociare lo sguardo con questo amore vivo di Dio fatto carne: lasciarsi guardare e perdonare da Gesù. Chiediamo di poter esser semplici come il ladrone, così da poter intercettare anche noi, in mezzo alle sofferenze della storia e ai tanti “crocefissi” dalle ingiustizie, coloro in cui brilla l’unica vera forza capace di cambiare la storia e porre un limite al male: la forza del perdono e della tenerezza di Cristo.