Cultura & Società
70 anni fa moriva Einstein, il fisico che aveva un atteggiamento filosofico
Colpisce ancora oggi la capacità di visione sui destini del mondo del grande fisico di origine ebraica che fu un convinto pacifista. L'uccisione dei familiari del congiunto vicino a Rignano sull'Arno fu dovuta probabilmente alle sue scelte contro il regime nazista

Gli uomini della V Armata degli Stati Uniti arrivarono a Villa Il Focardo, vicino a Rignano sull’Arno (provincia di Firenze), il 4 agosto 1944. Cercavano la famiglia Einstein. Trovarono l’abitazione distrutta dalle fiamme: i cadaveri di tre donne giacevano al pianterreno della villa. Di fronte a quello scenario, il maggiore Milton Wexler scoppiò in lacrime. Era un fisico americano, allievo di Albert Einstein, e sperava di trovare in vita i familiari del suo maestro. Fu lui, ufficiale alleato, a condurre l’inchiesta militare su quella strage, una delle tante compiute dai nazifascisti in ritirata lungo la Linea Gotica in Toscana. Nella villa di Rignano abitava Robert Einstein, marito e padre delle tre donne, che si era salvato nascondendosi nei boschi: aveva sentito il rumore delle mitragliatrici, aveva visto il rogo della sua casa ma non aveva potuto fare niente per salvare la moglie Cesarina Mezzetti e le figlie Luce e Annamaria. Era cugino di Albert, insieme avevano trascorso l’infanzia in Germania.
I motivi dell’eccidio riconducevano alla più naturale delle spiegazioni: l’odio di Hitler verso Albert Einstein, che era ebreo ma soprattutto era divenuto un simbolo dell’opposizione al regime nazista. Eppure intorno a questa vicenda c’è sempre stato un alone di mistero nel Dopoguerra, nessuno andò a frugare e a cercare i responsabili, almeno fino agli anni Novanta, dopo la scoperta dell’Armadio della Vergogna: all’inizio sembrò che il motivo fosse quello di non mettere in imbarazzo la Germania, che nel frattempo era appena entrata nella Nato. Ma le ragioni non sono state mai chiarite, nonostante gli studi e le sollecitazioni dello storico Carlo Gentile, secondo il quale sarebbe infine da escludere il motivo della vendetta personale di Hitler verso il grande fisico, come racconta il giornalista Riccardo Michelucci.
Einstein, era nato in Germania da una benestante famiglia ebraica, naturalizzato svizzero e poi statunitense. È celebre per essere il padre della teoria della relatività, che ancora oggi è uno dei pilastri della fisica moderna. Perciò gli venne assegnato il Premio Nobel nel 1921. Quando, nel 1933, Adolf Hitler salì al potere, Einstein era in visita negli Stati Uniti, come ospite dell’università di Princeton. Per questo motivo, date le sue origini, fu consigliabile per lui non fare mai più ritorno in Germania, dove era stata promulgata la «Legge della restaurazione del servizio civile», che prevedeva il licenziamento di tutti i professori universitari di origine ebraica.
La modernità del suo pensiero e delle sue scoperte attraversarono tutto il Novecento: nel 1999 la rivista Time lo ha consacrato «uomo del secolo» per la sua originalità e i suoi traguardi, che di fatto hanno reso il nome «Einstein» come sinonimo di «genio».
In effetti fu un grande pensatore, al di là della sua materia, animato da una vocazione pacifista e antimilitarista, che espresse anche durante la Prima guerra mondiale. Ovviamente il clima antisemita della Germania dopo il conflitto, gli complicò la vita nel suo Paese. Ricevette lettere minatorie e insulti, finché durante una sua lezione alcuni studenti irruppero nell’aula gridando: «Taglieremo la gola a quello sporco ebreo».
Cercarono anche, i suoi colleghi asserviti alla cultura nazista al potere, di screditare i lavori di Einstein: li definirono «fisica ebraica», da contrapporre alla loro «fisica tedesca» o «ariana».
Il rapporto con la Germania nazista era impossibile. E lo smacco per Hitler divenne ancora peggiore perché uno dei cittadini tedeschi, già considerato un genio planetario, era fuggito in America, schiaffeggiando il Terzo Reich e non permettendogli così di utilizzarlo come feticcio, sia pure con imbarazzo. Il Reich ci aveva provato: il ministro dell’Istruzione tedesco dopo le offese degli studenti, gli scrisse comunque una lettera di scuse.
Probabilmente è questo che ha portato gli storici a ipotizzare la vendetta di Hitler sui familiari di Rignano di cui parlavamo prima. Oltre al ritrovamento di un foglio, unico documento ufficiale nel quale c’era scritto «…abbiamo giustiziato i componenti della famiglia Einstein, rei di tradimento e giudei». Certamente a influenzare la scelta dello scienziato premio Nobel di non tornare mai più in Europa, fu anche quella tragedia familiare. E poi il dramma di suo cugino, straziato dal dolore, che morì suicida l’anno dopo la rappresaglia del Focardo.
Seppure da lontano, Einstein tentò in tutti i modi di richiamare il mondo alla necessità di pace. Che purtroppo non ci sarà mai e ancora oggi ce ne rendiamo conto. Era un pacifista, ammirava Gandhi: «Credo che le idee di Gandhi siano state, fra quelle di tutti gli uomini politici del nostro tempo, le più illuminate». In America l’Fbi lo teneva d’occhio perché propagandava idee «capaci di permettere all’anarchia di progredire indisturbata» e perché «era stato membro, sostenitore o affiliato di 34 movimenti comunisti fra il 1937 e il 1954».
Disse: «Non so con quali armi verrà combattuta la terza guerra mondiale, ma la quarta verrà combattuta con clave e pietre». Le parole di Albert Einstein rappresentarono, e rappresentano tutt’oggi, un monito – inascoltato – per il mondo. Il più grande scienziato del XX secolo cercò perfino di impedire che l’America sganciasse la bomba atomica sul Giappone. È vero: aveva incoraggiato il presidente Roosevelt ad armarsi, ma lo fece proprio per poter contrastare la follia di Hitler che si apprestava a costruirla.
Il fisico teorico che ha rivoluzionato la nostra visione di spazio, tempo e gravità, aveva capito la malvagità dell’uomo.
Uno degli aneddoti che ci sono rimasti su Einstein, è quello – chissà se vero – secondo cui quando espatriò negli Stati Uniti, alla richiesta di dichiarare la sua razza d’appartenenza avrebbe risposto «umana».
Gli viene attribuita anche una frase rimasta famosa: «Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, ma riguardo l’universo ho ancora dubbi».
E a proposito di attualità del pensiero, sull’eterno dilemma dello Stato ebraico, Einstein era scettico rispetto alla soluzione di uno Stato nazione, preferendo la soluzione «binazionale», ovvero la creazione di uno Stato unico, ma con il riconoscimento di cittadinanza e pari diritti per tutti gli abitanti, a prescindere da etnia o religione. Nel 1952 gli fu offerto il ruolo di secondo Capo di Stato del nuovo Stato di Israele. Ma rifiutò, era già troppo vecchio.
Sono passati settant’anni dalla morte, che avvenne il 18 aprile del 1955, a 76 anni, eppure intorno a lui continua a fiorire una letteratura che va oltre la sua fama. E anche oltre il rispetto che meriterebbe, se penso alla pubblicità caricaturale che capita di vedere alla televisione.
Quando si dice che la genialità non sta nelle cose complicate, ma nelle più semplici: a chi gli chiedeva come si riconosceva una persona intelligente, Einstein rispondeva: «Il vero segno dell’intelligenza non è la conoscenza, ma l’immaginazione. Se volete che vostro figlio sia intelligente, raccontategli delle fiabe, se volete che sia molto intelligente, raccontategliene di più».
Non fu un filosofo in senso stretto. Era un fisico e tale rimase. Però ebbe un «atteggiamento filosofico». Un suo libro, una raccolta di saggi, si intitola: «Come io vedo il mondo».
Nella sua visione era contemplato anche il rapporto fra la scienza e la religione: «La scienza non elimina Dio. La fisica deve proporsi non solo di sapere com’è la natura, ma anche di sapere perché la natura è così e non in un’altra maniera, con l’intento di arrivare a capire se Dio avesse davanti a sé altre scelte quando creò il mondo».
Si può aggiungere un particolare curioso, dopo la sua morte. Il cervello fu conservato dal patologo che fece l’autopsia, in casa sua, immerso in formalina, per quarant’anni. Quando si seppe, venne diviso in 240 parti, da consegnare ad altrettanti ricercatori. Un sistema, un po’ macabro, per salvarne la memoria. In attesa che nasca un altro Einstein.