Fiesole
Un anno senza mons. Luciano Giovannetti: il ricordo nella Cattedrale di Fiesole
Sabato 28 giugno il vescovo Stefano Manetti ha presieduto una Messa offrendo nell’omelia una profonda riflessione sul significato della fede e del dolore, intrecciando la memoria del presule con le ferite ancora aperte del presente

A un anno esatto dalla morte di Mons. Luciano Giovannetti, vescovo emerito di Fiesole, la Chiesa fiesolana ha voluto ricordarlo con una celebrazione intensa e partecipata. Sabato 28 giugno, nella Cattedrale di San Romolo, il vescovo Stefano Manetti ha presieduto una Messa in suffragio, offrendo nell’omelia una profonda riflessione sul significato della fede e del dolore, intrecciando la memoria del presule con le ferite ancora aperte del presente.
La parola chiave dell’omelia è stata una domanda: “Perché?”. Una parola carica di smarrimento, di inquietudine, ma anche di ricerca di senso. È la stessa domanda che Maria rivolge a Gesù adolescente nel Vangelo del giorno: “Figlio, perché ci hai fatto questo?”, e che oggi, ha detto il vescovo Manetti, risuona drammaticamente attuale di fronte agli orrori delle guerre, dal Medio Oriente fino alla commemorazione imminente dell’eccidio nazifascista del 29 giugno 1944 a Civitella in Val di Chiana, paese natale di Mons. Giovannetti.
“Sono passati 81 anni, ma la domanda resta: ‘Perché?’. Perché la guerra? Perché la morte di innocenti? Perché il silenzio o l’impotenza delle istituzioni?” – ha detto Manetti – “Anche il vescovo Luciano portava nel cuore questa domanda, formata il giorno dell’eccidio, che lo segnò per sempre. Ma da bambino vide anche un gesto di amore radicale, quello del suo parroco, don Alcide, che offrì la propria vita al posto dei suoi parrocchiani. Fu lì che Luciano intuì cosa significa occuparsi delle ‘cose del Padre’, come rispose Gesù alla Madre”.
Il vescovo ha sottolineato come la fede vera non fugga la domanda ma la attraversi, come fece Maria, che custodiva e meditava nel cuore le parole che non comprendeva. E ha richiamato il monito del Santo Padre e l’invito del Patriarca Pizzaballa: oggi non è solo in crisi la fede, ma la ragione stessa. Di fronte a un’umanità che “uccide l’amore”, come nella guerra, solo l’apertura sincera al dolore dell’altro può aprire varchi di speranza.
“Se non troviamo risposte alla guerra, sappiamo almeno cosa fare: pregare. Non una preghiera generica, ma una fede profonda, che coinvolge tutto l’essere e chiama in causa il Redentore” – ha concluso Manetti – “Gesù è il Redentore di cui l’umanità ha bisogno, e la nostra preghiera, se autentica, può ‘costringere’ Dio a intervenire”.
Alla celebrazione erano presenti numerosi rappresentanti della Fondazione Giovanni Paolo II, da lui fondata, e dei Cavalieri del Santo Sepolcro, segno di un legame profondo con la Terra Santa e le popolazioni martoriate del Medio Oriente.