Il velo della Veronica: un episodio che non c’è nei Vangeli, ma che riguarda la fede
Una delle stazioni della via crucis è dedicata alla Veronica che asciuga il volto di Cristo. Un episodio non raccontato nei Vangeli. Come è nata questa tradizione? La risposta del biblista

Buongiorno, qualche giorno fa partecipando a una Via crucis, mi ha colpito la stazione dedicata alla Veronica che asciuga il volto di Gesù. Di questo episodio però mi sembra che non si parli nei vari racconti della Passione che si trovano nei Vangeli. Volevo sapere com’è nata questa tradizione, se è nata per motivi simbolici o se ha fondamenti storici. Forse un biblista mi sa rispondere.
Enza Pecchioli
Risponde don Filippo Belli, docente di Sacra Scrittura
La nostra lettrice attentamente segnala che la sesta stazione della Via crucis tradizionale menziona un episodio che, tuttavia, non figura nei vangeli canonici. L’episodio che viene evocato nella devozione narra di una donna di nome Veronica che asciuga il volto di Cristo sofferente con un panno. Tradizione vuole, inoltre che su quel panno si sia impressa l’immagine del volto di Cristo sofferente la sua passione.
Ma, appunto, nessuno dei vangeli canonici riporta tale episodio durante la passione di Gesù. Da dove nasce allora questa tradizione? E che significato può avere per noi oggi? In effetti, su questa vicenda si intrecciano diverse tradizioni.
La prima riguarda la donna con perdite di sangue (emorroissa) che nei vangeli si narra che da dietro tocca il mantello di Gesù e viene guarita all’istante (Mt 9,20-22). La donna, nei vangeli apocrifi di Nicodemo (II sec.) e negli Atti di Pilato (IV sec.) è chiamata Berenice, da cui Veronica in latino. Quindi il nome di Veronica è associato a tale donna che figura nei vangeli, ma non durante la passione. Ora, il nome Veronica è stato interpretato come «vera icona», ovvero immagine autentica di Gesù, da cui la venerazione di reliquie e immagini acherotipe (non dipinte da mano umana) raffiguranti il volto di Gesù.
La seconda tradizione, infatti, vuole che tale donna, dopo la sua guarigione abbia voluto ritrarre il volto di Gesù, e cercando un pittore, si sia imbattuta, invece, di nuovo con Gesù il quale asciugandosi il volto con il panno che la donna le porgeva, ha lasciato impressa la sua immagine.
Una terza tradizione vuole che Tiberio (imperatore romano dal 14 al 37 d.C.), avendo contratto la lebbra, abbia chiesto di cercare in Palestina quel guaritore eccezionale di cui tanto si sentiva parlare (Gesù). Purtroppo gli emissari arrivano tardi, Gesù è già stato crocifisso, ma riescono a trovare il panno della donna emorroissa e lo portano a Roma. Tiberio, solo guardando il panno, guarisce. Da allora quel velo rimane a Roma e viene in seguito consegnato al Papa. Quest’immagine sarebbe quella conservata nella Basilica di San Pietro, che ancora oggi viene venerata una volta l’anno durante la domenica di Passione (V di Quaresima), quantunque talmente sbiadita da essere irriconoscibile. Abbiamo testimonianze della sua presenza nella basilica fin dall’VIII secolo d. C. e oggetto nei secoli di grande culto e venerazione.
Solo in epoca più tarda, dal XV sec. in poi circa, nasce la tradizione che conosciamo nella devozione della Via crucis della donna chiamata Veronica che asciuga il volto di Gesù durante la sua salita al calvario.
Si sono, quindi, in questo modo unite le diverse tradizioni: quella della donna emorroissa che tocca il mantello di Gesù (stoffa), quella del nome di questa donna nei vangeli apocrifi (Veronica), quella dell’immagine sacra del volto di Gesù non realizzata da mano umana, ma da Gesù stesso, e infine, molto probabilmente si è voluto dare forma più definita all’episodio narrato dal vangelo di Luca dell’incontro con alcune donne durante la sua ascesa al Golgota che riporto: «Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: “Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili, i grembi che non hanno generato e i seni che non hanno allattato. Allora cominceranno a dire ai monti: “Cadete su di noi!”, e alle colline: “Copriteci!”. Perché, se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?”» (Lc 23,27-31).
Il limite tra leggenda e storia di tali tradizioni è sottile e difficile da identificare. Non arriveremo mai a certezze a riguardo, probabilmente.
Certo è che il mistero e la venerazione legata a questo genere di reliquie (vedi anche la sindone o il velo di Maloppello), o a certe tradizioni (la sesta stazione della Via crucis) devono far pensare. Come ebbe a dire san Giovanni Paolo II davanti alla Sindone di Torino e che può valere anche per tante altre tradizioni non contenute direttamente nei Vangeli: «La Sindone è provocazione all’intelligenza. Essa richiede innanzitutto l’impegno di ogni uomo, in particolare del ricercatore, per cogliere con umiltà il messaggio profondo inviato alla sua ragione e alla sua vita […] Per ogni persona pensosa essa è motivo di riflessioni profonde, che possono giungere a coinvolgere la vita» (24 maggio 1998).
Se non si tenta questo lavoro di approfondimento, di comprensione profonda che vari spunti evangelici e della tradizione ci offrono, si rischia di rimanere nel sensazionale, nella ricerca effimera di curiosità e amenità, mentre essi ci possono invece essere utili per nutrire il nostro cammino di fede.