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Conflitto israelo-palestinese: Elzir (imam Firenze), “il problema è l’occupazione”
La tavola rotonda “Uno sguardo su Israele e Palestina”, all’interno della 61ª sessione di formazione del Sae in corso a Camaldoli

“Il 7 ottobre io, come palestinese, ma anche come imam e come uno dei responsabili dell’Unione delle Comunità islamiche in Italia ho detto: ‘Condanniamo l’uccisione di qualunque civile israeliano, ebreo’”. Lo ha ricordato – alla tavola rotonda “Uno sguardo su Israele e Palestina”, all’interno della 61ª sessione di formazione del Sae in corso a Camaldoli – Izzedin Elzir, originario di Hebron, dal 2011 imam di Firenze e fondatore della Scuola fiorentina di alta formazione per il dialogo interreligioso e interculturale, ha ripercorso la storia della Palestina dal 1948, smentendo che fosse una terra senza popolo, come si disse quando fu proclamato lo Stato di Israele. Nella sua narrazione ha rievocato diversi conflitti e le due Intifada, fino a giungere a oggi.
Elzir ritiene che il problema non sia la difficoltà di dialogo: “Il problema è l’occupazione, è una questione di diritto, di vita e di morte. Se il mio amico sta facendo una cosa sbagliata devo parlare con lui dicendo la verità. Ho incontrato una commissione rabbinica con cinque rabbini di area allargata. Sanno che in questa guerra noi moriamo ma anche loro perdono. Per noi non è una questione di religione. Siamo contro gli occupanti, non contro i religiosi. Diventa guerra di religione se vogliono distruggere le moschee. La mia proposta come palestinese e italiano, religioso e laico, è che dobbiamo aiutare la Comunità ebraica italiana a condannare gli atti criminali, come la comunità cristiana ci ha aiutati a condannare i terroristi musulmani. I cristiani possono chiedere alla Comunità ebraica di non essere ostaggio del governo di Netanyahu. Come persone riunite qui possiamo fare pressione sul governo italiano affinché smetta di mandargli le armi”.
Nel dibattito che ha concluso la serata si è creato un dialogo che ha intrecciato voci e visioni. “Sono un rabbino ortodosso di una comunità italiana attivo da vent’anni per creare una scuola di dialogo interreligioso dove con l’amico Izzedin lavoriamo insieme – ha detto Joseph Levi –. In quanto fondatore e vicepresidente della Scuola mi chiedo e continuo a chiedere quali azioni dobbiamo e possiamo fare per avvicinare le persone, per creare possibilità di dialogo a livello locale, nazionale, e fra nazioni che sono in conflitto. Fare dialogo, come disse il card. Carlo Maria Martini, vuol dire essere capaci di ascoltare il dolore dell’uno e dell’altro. Questa sera abbiamo sentito la narrazione del dolore della parte palestinese, ma non abbiamo sentito il dolore della parte ebraica. Anna ha raccontato il suo dolore rispetto alla direzione attuale dello Stato di Israele, che posso anche condividere, ma è una piccola parte della storia del popolo ebraico. Continuiamo a concentrarci su quali azioni propositive di pacificazione possiamo fare, con quali metodi, con quali mezzi, non creando due gruppi in opposizione, come fanno i giornali e i partiti. Noi dobbiamo tenere un’altra posizione”.
Per il teologo Adnane Mokrani oggi la priorità assoluta è “fermare questo massacro. La nostra solidarietà con le vittime è la solidarietà con noi stessi. Il problema non è solo il suicidio di Israele, ma è il suicidio del mondo. C’è un problema di sopravvivenza dell’umanità che viene dimenticato. Bisogna reinventare il dialogo interreligioso, soprattutto il dialogo ebraico-islamico. Oggi dobbiamo parlare della bellezza dell’ebraismo, dei suoi valori come valori dell’umanità. Quando vedo la mia speranza nel mio fratello, e io sono la sua speranza, possiamo fare qualcosa insieme come esseri umani”.