Firenze
San Lorenzo: Gambelli, “seguire, essere, servire”
Il testo dell'omelia proclamata oggi nella Basilica di San Lorenzo dall'arcivescovo di Firenze nella Solennità di San Lorenzo

Celebriamo la festa di San Lorenzo all’interno dell’anno giubilare e ci affidiamo alla sua fraterna intercessione perché ci aiuti ad accogliere il dono dello Spirito Santo che trasformi i nostri cuori, rendendoli sempre più pronti a rispondere alla chiamata universale alla santità, diventando pellegrini e testimoni di speranza nel mondo. Vorrei soffermarmi su tre verbi importanti che troviamo nel testo del Vangelo di oggi: seguire, essere, servire.Il primo verbo è “seguire”. Gesù sta parlando ai discepoli Filippo e Andrea, a proposito di una richiesta di alcuni Greci che avevano espresso il desiderio di vederlo a Gerusalemme durante la festa della Pasqua. Parlando della necessità di seguirlo per conoscerlo, Gesù riprende la medesima idea che aveva espresso all’inizio del suo ministero pubblico quando i due discepoli di Giovanni Battista gli si erano avvicinati e gli avevano chiesto: “Dove abiti?” e si erano sentiti rispondere: “Venite e vedrete”.
Seguire Gesù significa fidarsi di lui che ci invita a uscire dalle nostre sicurezze, dai nostri nidi, ma anche dalle nostre paure e rassegnazioni al male, per far spazio all’ascolto della sua Parola. Per San Lorenzo il cammino di sequela di Gesù si è concretizzato attraverso l’amicizia con un prete originario di Saragozza, docente di retorica, di nome Sisto, il futuro papa Sisto II. Dopo gli anni di studio trascorsi in Spagna, verso l’anno 244 si recarono ambedue a Roma e qui Lorenzo scoprì la chiamata di Dio osservando il coraggio dei ministri della Chiesa locale nel provvedere ai fedeli il sacramento dell’Eucaristia e nel rispondere ai bisogni dei poveri della città, spesso in contesti di feroce persecuzione. Sisto e altre figure della Chiesa di Roma sono stati per Lorenzo quello che Giovanni Battista è stato per i primi discepoli di Gesù, un dito puntato sul Signore, un invito a mettersi in cammino dietro a Lui, ben sapendo che non sarebbero rimasti delusi. Papa Leone nell’omelia della Messa celebrata all’inizio del suo pontificato, prendendo spunto dalla frase del martire Sant’Ignazio di Antiochia: «Allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo, quando il mondo non vedrà il mio corpo», ha detto: “Le sue parole richiamano in senso più generale un impegno irrinunciabile per chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità: sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato, spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo”.
Il secondo verbo è “essere”. “Se uno mi vuol servire mi segua e dove sono io, là sarà anche il mio servitore”. I discepoli, dopo essersi messi in cammino e aver iniziato a seguire Gesù, sono chiamati a essere con Lui, a rimanere nel suo amore, come il tralcio resta unito alla vite per portare frutto. Uno dei mali del nostro tempo è proprio questo senso di vuoto dei cuori che cercano pace in realtà incapaci di offrirla. “Un cuore vuoto si riempie di spazzatura”, diceva il filosofo Blaise Pascal e allora non possiamo stupirci del crescere di comportamenti violenti e antisociali, di cui sempre più siamo spettatori, anche qui vicino a noi. Atteggiamenti pericolosi, abuso di alcol, reati compiuti da adolescenti, ma anche trasgressioni e danneggiamenti, come le cupole delle chiese e i monumenti scambiati per una palestra di arrampicata, o un’opera d’arte deturpata per farsi una foto, sono segni di un malessere, di una mancanza del cuore sulla quale dovremmo interrogarci, per continuare ad ispirare il bene, per esortare ad aspirare a cose grandi e non accontentarsi di falsi surrogati, come ha indicato ai giovani a Roma Papa Leone. Anche in questo caso, la figura di San Lorenzo può essere per noi oggi fonte di ispirazione.
La sua attenzione ai poveri non era semplicemente il frutto di un sentimento filantropico, come possiamo vedere a partire dal suo modo di esprimersi davanti all’imperatore Valeriano, quando gli chiede di consegnargli i tesori della Chiesa. “Ecco questi sono i tesori della Chiesa, non vengono mai meno anzi crescono”, disse mostrando alcuni poveri da lui assistiti. Il verbo crescere è riferito non ai poveri, ma a quel tesoro del cuore che si espande per l’esperienza più profonda della salvezza come conseguenza e frutto del superamento dell’egoismo. Don Milani diceva in proposito: “Se i poveri saranno con te, anche Lui (Dio) sarà con te e se Lui sarà con te di cosa hai paura?”.
Il terzo verbo è servire: “Se uno serve me, il Padre lo onorerà”. È Gesù che per primo si è fatto servo, manifestandoci il suo amore fino alla fine per ognuno di noi. Accogliendo il suo amore, anche noi impariamo a credere che la vera libertà consiste nel servire. Come ci ricorda San Paolo, nel testo della Seconda lettera ai Corinzi che abbiamo ascoltato, la gioia è il segno del fatto che stiamo progredendo in questo cammino di trasformazione della nostra vita in Cristo: “Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia”. Come abbiamo potuto riflettere nell’ultima Assemblea pastorale diocesana, dovremmo interrogarci quando manca la gioia nelle nostre comunità, infatti come ha sottolineato nel suo intervento il teologo don Giuliano Zanchi: “Non esiste testimone più radioattivo più respingente più scostante più scoraggiante del testimone ombroso rancoroso risentito che ce l’ha sempre con qualcuno, che deve sempre trovare la colpa di qualcosa, che ha sempre delle linee di sicurezza da tracciare, e che ha sempre quella pulsione militante di chi deve difendere qualcosa contro qualcuno”.
C’era una volta un ristorante chiamato Silver Star (Stella d’argento). Il proprietario del ristorante non riusciva a far quadrare il suo budget, anche se faceva di tutto per attirare i clienti rendendo il ristorante confortevole, il servizio cordiale e i prezzi ragionevoli. Un giorno andò a consultare un uomo saggio. Dopo aver ascoltato il racconto delle sue disgrazie, il saggio disse: «È molto semplice. Devi cambiare il nome del tuo ristorante». «Impossibile», dice il proprietario, «si chiama la Stella d’argento da generazioni ed è molto conosciuto in tutto il paese». «No», rispose fermamente il saggio: «dovete chiamarlo Le Cinque Campane e disporre una fila di sei campane appese all’ingresso». «Sei campane? Ma è assurdo!». «Provate e vedrete», disse il saggio sorridendo. Il ristoratore fece la prova. Tutti i viaggiatori che passavano davanti al ristorante entravano per segnalare l’errore, ognuno pensando che nessun altro lo avesse notato. Una volta all’interno, i viaggiatori erano impressionati dalla cordialità del servizio e si fermavano per rinfrescarsi, assicurando al proprietario del ristorante il successo che aveva cercato così a lungo. È ben noto che poche cose rallegrano di più l’ego che correggere gli errori degli altri. Nel mondo assistiamo, purtroppo impotenti, a tentativi di imporre le proprie idee con la forza fino a giungere a operazioni militari che si configurano come delle intollerabili forme di pulizia etnica. Anche noi, talvolta, nel nostro piccolo ragioniamo in base a schemi simili: “O noi o loro”. Chiediamo allora oggi con più insistenza l’intercessione di San Lorenzo perché oltre alle campane delle nostre Chiese, risuonino le voci delle nostre coscienze e sappiamo essere così più coraggiosi testimoni della verità del Vangelo, ricordando che il male può essere vinto solo con il bene.
Donaci Signore, per intercessione di San Lorenzo, la grazia di un’anima che non conosca la noia, i brontolamenti, i sospiri e i lamenti, perché possiamo essere pellegrini di speranza nel nostro mondo, testimoni della fede, servitori della gioia dell’amore che tutto dona e perdona.