Opera La Pira
Opera La Pira: dal campo internazionale appello alla pace
Al villaggio la Vela giovani da Albania, Egitto, Iraq, Israele, Kenia, Libano, Palestina, Pakistan, Russia, Ucraina e Siria. Il messaggio finale

Si è concluso con la sottoscrizione del documento finale l’International camp presso il Villaggio La Vela di Castiglione della Pescaia dell’Opera per la gioventù Giorgio la Pira, dove centocinquanta giovani, tra cui cristiani cattolici ed ortodossi, musulmani ed ebrei, provenienti dai paesi del Mediterraneo, dal Medio Oriente e dall’Est Europa hanno riflettuto, aiutati da esperti e testimoni sul tema A place to stand. A square to participate, to debate and to grow together, nell’ambito di un’articolata esperienza di vita comunitaria.
Mercoledì 13 agosto i giovani hanno partecipato all’udienza generale di Papa Leone XIV, al termine della quale hanno potuto salutare il Pontefice.
A conclusione dell’esperienza i giovani hanno piantato al villaggio un olivo in ricordo di Awdah Hataleen, giovane attivista palestinese presente negli anni scorsi all’International Camp, assassinato il 29 luglio scorso.
L’iniziativa è stata promossa dall’Opera insieme al Consiglio dei giovani del Mediterraneo, progetto della Conferenza Episcopale Italiana, opera segno del Convegno dei vescovi di Firenze Mediterraneo frontiera di pace ed affidata alla Rete Mare Nostrum, costituita dalla Fondazione Giorgio La Pira, dalla Fondazione «Giovanni Paolo II», dall’Opera per la Gioventù Giorgio La Pira e dal Centro Internazionale Studenti Giorgio La Pira – Fondazione.
Di seguito il documento finale redatto ed approvato da tutte le delegazioni presenti.
A place to stand. A square to participate, to debate and to grow together
Villaggio La Vela, Castiglione della Pescaia | 10 – 20 Agosto 2025
“.. nessun popolo e nessuna persona può dire: – non mi riguarda e non mi interessa! Non ti riguarda e non ti interessa? Ma come, si tratta del destino della tua esistenza e del tuo inevitabile cammino lungo l’intero corso della tua vita: come fai a dire ‘non mi interessa’? E’ questa la cosa fondamentale che deve interessare la tua meditazione, la tua preghiera (se sei credente) e la tua azione! Credente o non credente, giovane o anziano, volente o nolente: il fatto esiste: sei imbarcato e la navigazione alla quale, volente o nolente, tu partecipi, interessa l’intero corso della tua vita! Sei sulla barca ed un colpo di remo lo dai inevitabilmente, anche tu! Sei sulla barca, e se la barca affonda, affondi anche tu; e se la barca giunge in porto, giungi in porto anche tu”
(Lettera a Pio XII, G.La Pira, Beatissimo Padre, 226).
Quest’anno il Campo Internazionale organizzato dall’Opera La Pira con il Consiglio dei Giovani del Mediterraneo presso il villaggio La Vela a Castiglione della Pescaia dal 10 al 20 Agosto 2025, ha visto tra i suoi ospiti, insieme ai partecipanti italiani, delegazioni dall’Albania, Egitto, Iraq, Israele, Kenia, Libano, Palestina, Pakistan, Russia, Ucraina e Siria. I giovani hanno cercato di rispondere a una domanda: perché partecipiamo? Perché, di fronte a avversità e sofferenza, anche quando il mondo ci urla che stiamo combattendo una battaglia persa, scegliamo comunque di impegnarci? E, ulteriormente, cos’è la partecipazione?
Alcuni di noi vivono vicini, alcuni vengono da lontano; c’è chi si conosce da tutta la vita, mentre altri, se non fosse per questo campo internazionale, non ne avrebbero avuto l’opportunità. Alcuni vengono da nazioni toccate dagli orrori della guerra, e hanno condiviso le loro esperienze e le loro speranze con compagni provenienti da differenti vissuti. Cristiani di varie tradizioni, Musulmani, Ebrei, Alawiti, atei e agnostici hanno trascorso dieci giorni di vita insieme scambiandosi prospettive di vita e opinioni. Questo campo è stato concepito come un terreno neutro, una piazza metaforica riempita con i volti, le voci, le storie e i sogni dei giovani provenienti da tutto il mondo. Un luogo dove le differenze non vengono abolite, piuttosto riconosciute e considerate l’un con l’altro.
Ciò non vuol dire che il campo sia una fuga dalla realtà: in un ambiente protetto e pacifico, i giovani partecipanti hanno avuto occasione di discutere sulle idee di pace e giustizia e di condividere le loro ansie senza esserne sopraffatti. Il campo non è solo un posto dove condividere le proprie opinioni ma è anche dove abbiamo creato idee nuove che porteremo con noi nel quotidiano e che useremo per cambiare il mondo.
L’uomo è per natura un animale sociale: la sua identità si forma e si coltiva nelle relazioni con gli altri, nelle reti di significati e di scambi che costituiscono la vita comunitaria. L’individuo non è mai isolato: il pensiero, le emozioni e la libertà trovano senso nel dialogo con l’altro, in un tappeto relazionale che lo definisce e al tempo stesso lo sostiene. In questo contesto, l’identità emerge come risultato di abitudini, esperienze e contesti pregressi, che influenzano le modalità di azione, percezione e pensiero, e possono rendere complessa una comunicazione autentica. Tuttavia, proprio queste differenze costituiscono la premessa per incontri significativi, capaci di valorizzare le diversità che ciascuno porta con sé. Da questa pluralità di esperienze nasce la partecipazione individuale alla vita collettiva: ciascun individuo contribuisce alla società secondo motivazioni personali, radicate in esperienze, aspirazioni e valori. È da tali diversità che scaturisce la ricchezza del tessuto sociale, poiché l’apporto unico di ciascuno genera un sistema dinamico e plurale, in cui la partecipazione attiva realizza una società capace di accogliere, valorizzare e trasformare le singole realtà in un progetto comune.
Questa dinamica di partecipazione e i contributi individuali trovano un parallelo nella narrazione biblica della chiamata di Mosè al roveto ardente: così come ciascun individuo, con le proprie inclinazioni e talenti, contribuisce verso un bene comune, Mosè viene scelto per farsi strumento di una missione più grande. In entrambi i casi emerge l’idea che la forza di un progetto condiviso risieda nell’incontro tra una vocazione personale e una responsabilità verso gli altri, sia che si tratti della società nella sua pluralità sia della comunità di fede guidata dalla Parola. La chiamata di Mosè, al quale Dio affida la Parola per guidare e liberare il suo popolo, rappresenta un momento fondativo nella storia della fede. Per mezzo di quell’atto si manifesta non solo la potenza liberatrice della Parola divina, ma anche la responsabilità dell’uomo di farsene tramite. Analogamente, nel contesto odierno, il dialogo interreligioso prende forma come un’opportunità feconda e imprescindibile, non soltanto in termini di confronto tra tradizioni differenti, ma anche come spazio teologico in cui è possibile riconoscere la strada comune dell’umanità tutta. Esso costituisce, infatti, un ambito privilegiato per riscoprire la radice spirituale condivisa, approfondire le categorie del rispetto e dell’ascolto reciproco e sviluppare la consapevolezza che la ricerca di Dio, della Divino e della Natura non è mai esclusivamente individuale, bensì relazionale e comunitaria. Riconnettendoci a Dio, al Divino o la Natura, attraverso questa dinamica di apertura e mutuo riconoscimento, possiamo favorire una rinnovata comunione tra i popoli, superare le divisioni e contribuire alla costruzione di un tessuto sociale e culturale più inclusivo e autenticamente dialogico. In tal senso, le esperienze concrete di dialogo e solidarietà interreligiosa ci offrono un’occasione privilegiata per mettere in pratica questi principi: abbiamo la possibilità di riflettere insieme, conoscere i testi sacri delle altre religioni abramitiche e accompagnare i nostri fratelli nella preghiera, ciascuno secondo il proprio credo. In queste esperienze il Signore ci invita a non temere nel compiere la nostra parte per costruire un mondo di giustizia e di pace, sempre rimanendo radicati in Dio.
La complementarietà delle relazioni si manifesta nel modo in cui le persone si sostengono e si completano a vicenda all’interno di una comunità, creando un tessuto sociale fondato sulla collaborazione e sul mutuo supporto. Ogni individuo, con le proprie competenze, esperienze e visioni, contribuisce a un processo collettivo di crescita e trasformazione: guardare un luogo attraverso gli occhi di chi vi agisce come possibile attore di cambiamento significa percepirlo non solo come spazio fisico, ma come terreno vivo di opportunità e responsabilità condivise. In questo senso, la partecipazione attiva non è un gesto isolato, ma un atto che rafforza la rete relazionale, trasforma la percezione del contesto e favorisce l’emergere di cittadini consapevoli, capaci di intrecciare le proprie azioni con quelle degli altri per costruire un futuro comune.
In questa prospettiva, la motivazione a impegnarsi e a tentare cambiamenti concreti nasce da una forma di attesa speranzosa: così come in francese si distingue tra espoir ed espérance, anche l’azione collettiva trae forza sia dalla speranza concreta di risultati immediati, sia dalla fiducia più profonda e duratura nel processo di trasformazione condivisa. In francese, espoir e espérance indicano una forma di attesa positiva, ma con sfumature diverse: espoir è un sentimento più concreto e immediato, legato a desideri o risultati specifici, mentre espérance ha un carattere più profondo e duraturo, una fiducia sostenuta che trascende le circostanze contingenti. L’espoir si manifesta nella vita quotidiana come motivazione pratica: è la spinta che ci porta a tentare un cambiamento concreto, offrendo una forma di energia immediata che rende tangibile il desiderio di un esito positivo.
Proprio questa combinazione di espoir ed espérance ha guidato la nostra esperienza al campo internazionale: come giovani, abbiamo sperimentato un nuovo modo di vivere le relazioni e constatato che è possibile convivere nella pace, facendo tesoro della diversità di ciascuno. Il nostro espoir ci spinge a immaginare e agire per un mondo dove le persone possano incontrarsi senza barriere fisiche o ideali, mentre la nostra espérance ci sostiene nella fiducia che la costruzione di comunità inclusive e dialoganti, dove non esistano confini, checkpoint e discriminazioni, possa diventare realtà.
Desideriamo che le istituzioni religiose e politiche contribuiscano a costruire ponti e abbattere muri, affinché tutti godano delle stesse opportunità, senza distinzione di nazionalità, classe sociale, etnia o fede, e ci impegniamo a creare spazi di dialogo e accoglienza per le fragilità altrui nelle nostre comunità. Forse il vero motivo per cui siamo qui è proprio questo: avere a cuore il benessere del prossimo e del mondo intero, “we care”. E allora sì, è proprio nel mondo che porteremo il seme di speranza che abbiamo coltivato in questo campo.