Italia

Carcere, Gheno (Cdo): “Meno burocrazia e più collaborazione per il lavoro ai detenuti”

Intervento del presidente CDO Opere Sociali, a margine dell’incontro promosso in occasione del Meeting di Rimini dal titolo: “Il valore del lavoro per chi sconta la pena”

“Il problema delle carceri italiane non è solo l’ambito lavorativo; ma è dal lavoro che può venire una via non solo di rieducazione, ma di riscatto. Un lavoro che deve essere vero e serio”. Lo dice Stefano Gheno, presidente CDO Opere Sociali, a margine dell’incontro promosso da CDO in occasione del Meeting di Rimini dal titolo: “Il valore del lavoro per chi sconta la pena”.

Un dato: su circa 200 istituti di pena presenti in Italia solo una ventina hanno le caratteristiche che consentono lo svolgimento di attività lavorative.

Per Gheno “se si vuole affrontare realmente il tema del lavoro all’interno delle carceri occorre una forte semplificazione burocratica. L’attuale situazione complica e rende difficile il coinvolgimento di realtà che, per vocazione o per interesse professionale, desiderano offrire opportunità di lavoro a persone ristrette”.

Nell’immediato sono tre gli aspetti fondamentali per Compagnia delle Opere e che indica Gheno: “Per prima cosa dobbiamo favorire una reale sussidiarietà partendo dall’esistente, utilizzando lo strumento dell’amministrazione condivisa che è capace di promuovere un un virtuoso partneriato tra terzo settore, imprese sociali e amministrazione penitenziaria”.

E ancora: “È un dato di fatto che nelle carceri si trovano spesso persone che dovrebbero essere in luoghi di cura. Ciò rappresenta un vulnus all’inclusione lavorativa perché si tratta di persone che non sono in grado di lavorare”.

Ne viene quindi per il presidente di CDO Opere Sociali “la necessità di avviare un serio processo di conoscenza delle persone ristrette, una sorta di mappatura perché i dati in possesso attualmente non sono sufficienti a garantire un buon matching tra domanda e offerta di lavoro”.

In ultimo, ma non per ordine di importanza “ci vuole lavoro vero, con un contenuto reale, spendibile sul mercato. Un lavoro che generi soddisfazione. È dimostrato quanto sia virtuoso iniziare un’attività lavorativa in carcere con una cooperativa e procedere con la stessa realtà produttiva anche al termine del periodo di detenzione”.

“Favorire questo tipo di percorso permette non solo l’abbassamento della recidiva, ma la continuità lavorativa della persona generando, nel proseguo, la possibilità di affacciarsi a nuove opportunità professionali in un normale cambio di posto di lavoro”.

Cosa serve? “Sarebbe utile promuovere la definizione di un contratto di lavoro a causa mista come è già per l’apprendistato, tenendo conto delle peculiarità del mondo carcerario. Così si potrà generare lavoro non solo vero, ma capace di funzionare e di dare soddisfazione alla persona ristretta”, conclude Gheno.