Firenze
Chiesa fiorentina in cattedrale per l’assemblea diocesana
Dopo l'introduzione del vescovo Gambelli, i gruppi di lavoro

“Insieme corresponsabili” è il titolo dell’assemblea diocesana che si è aperta questo pomeriggio nella cattedrale di Firenze. Dopo l’introduzione dell’arcivescovo Gherardo Gambelli e la relazione di padre Valerio Mauro, i circa mille partecipanti si sono divisi in 80 gruppi di lavoro per riflettere su ministeri e servizi svolti da ogni persona, presbitero o laico, nella missione di evangelizzazione. Tra gli iscritti l’età media è di 60 anni: il più giovane ha 16 anni, il più anziano oltre 90. Il vescovo ha invitato ad adottare uno stile missionario, fatto di vicinanza e tenerezza.



























La teologa Serena Noceti ha illustrato lo strumento che verrà diffuso nelle parrocchie per una “mappatura” dei servizi pastorali e dei ministeri presenti nelle parrocchie. I dati raccolti serviranno ad avere una fotografia di quante persone sono impegnate nei vari ambiti (divisi per genere e fascia d’età) e per avviare una riflessione su come promuovere la ministerialitá.
L’assemblea si è conclusa con la Messa, durante la quale l’arcivescovo ha consegnato il mandato a catechisti e operatori pastorali. A tutti è stato consegnato anche un libretto con il discorso alla Chiesa italiana che Papa Francesco pronunciò proprio nella cattedrale di Firenze dieci anni fa.
“Sarebbe bello mettere alla porta delle nostre case una bandiera della pace”, l’invito del vescovo.
“La vera ricchezza consiste nelle relazioni e la vera libertà consiste nel servizio” ha affermato. La parola “ministro”, con cui nella Chiesa si indica chiunque svolga un servizio, significa proprio “servitore”: “Lo stile sinodale con cui esercitiamo i ministeri possa essere una forma di profezia sociale e illuminare il mondo, per edificare ponti di pace e di amicizia sugli abissi scavati dalle sciagurate guerre e dalle vergognose ingiustizie del nostro tempo”.
“Aiutaci Signore – la conclusione – a sentire che Tu stesso oggi ci chiami tutti a essere insieme corresponsabili della nostra Chiesa di Firenze, “una Chiesa lieta col volto di mamma che comprende, accompagna, accarezza”.
qui di seguito il testo integrale dell’omelia.
Nel testo del Vangelo che abbiamo ascoltato ci son tre luoghi che vengono descritti e che siamo invitati a contemplare: la porta della casa dell’uomo ricco, il grande abisso fissato tra gli inferi e il seno di Abramo, la casa dei cinque fratelli. Gesù sta parlando ai farisei che erano attaccati al denaro e si facevano beffe di lui e, raccontando loro questa parabola, vuole aiutarli a capire che Dio conosce i loro cuori: “ciò che fra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole”. La cecità dell’uomo ricco, vestito di porpora e di lino finissimo, che non sa vedere il povero gettato davanti alla sua porta è quella stessa dei farisei, nei quali anche noi siamo chiamati a riconoscerci. Nell’Africa francofona si ripete spesso il proverbio che dice: “Ventre affamé n’a pas d’oreilles” (uno stomaco vuoto non ha orecchie). Ma potremmo aggiungere anche che “Cœur vide n’a pas d’yeux”, cioè un cuore vuoto non ha occhi. L’uomo ricco non vede con gli occhi perché non sente con il cuore. Guarda gli altri dall’alto al basso e, poiché Lazzaro è gettato per terra, davanti alla sua porta, non lo vede, non riconosce la sua dignità di uomo. Come possiamo intuire anche dal seguito della storia, per il ricco, Lazzaro, è solo uno strumento a suo servizio per soddisfare le sue esigenze: “Manda Lazzaro a intingere la punta del dito e bagnarmi la lingua”. “Manda Lazzaro a casa di mio padre”. Ognuno di noi oggi potrebbe interrogarsi: “Chi è la persona che sta davanti alla porta di casa mia? La conosco? E soprattutto la riconosco?”. Sarebbe bello allora mettere alla porta delle nostre case una bandiera della pace, per ricordarci, in quel luogo che mette in comunicazione l’interno con l’esterno, che solo chi ama il fratello che vede può dire davvero di amare Dio che non si vede.Il secondo luogo evocato è il grande abisso fissato fra gli inferi e il seno di Abramo. Anche in questo caso, lo scopo della parabola è di farci capire che l’inferno per il ricco era già cominciato prima e che il giudizio non fa che “portare a galla” la verità, riconoscendo il fallimento di un’esistenza chiusa nel narcisismo autoreferenziale. È interessante osservare che il secondo verbo di movimento con cui si esprime l’azione impossibile di “attraversare” (diabainein) l’abisso, sia utilizzato da Luca negli Atti degli Apostoli, in un celebre episodio, durante il secondo viaggio missionario di Paolo, Timoteo e Sila. A Troade, nella parte asiatica più vicina al continente europeo, Paolo nella notte vede in un sogno un Macedone che lo supplica: “Vieni (attraversa) in Macedonia e aiutaci”. L’attenzione ai ministeri, istituiti e non, è un modo con cui cerchiamo di rispondere all’attesa di tante persone che manifestano, spesso in forma implicita, la sete di Dio, la ricerca del senso ultimo della vita. La vera ricchezza consiste nelle relazioni e la vera libertà consiste nel servizio. La parola ministro significa proprio “servitore”. Lo stile sinodale con cui esercitiamo i ministeri possa essere una forma di profezia sociale e illuminare il mondo, per edificare ponti di pace e di amicizia sugli abissi scavati dalle sciagurate guerre e dalle vergognose ingiustizie del nostro tempo. Il terzo luogo è la casa dei cinque fratelli. Essi rappresentano la nostra comunità cristiana, chiamata a convertirsi a riconoscere Gesù risorto, ad essere persuasa della verità della vita eterna. Talvolta anche noi subiamo la tentazione di pensare come il ricco che certi metodi terroristici possano aiutare la missione della Chiesa: “Se qualcuno dai morti andrà da loro, si convertiranno”. Per disobbedire a questa logica abbiamo bisogno di metterci in ascolto della Scrittura: Mosè e i profeti che ci aiutano a conoscere intimamente Gesù e a adottare il suo stile nel nostro modo di essere suoi discepoli. L’ascolto della Parola di Dio ci permette di accogliere il dono dello Spirito Santo che riversa nei nostri cuori l’amore di Dio. In questo modo la speranza si radica in noi, cresciamo nella capacità di riconoscere i segni dei tempi e ci sentiamo identificati con la missione come qualcosa che ci rende completi e fecondi. Durante il Medioevo, un pellegrino aveva fatto voto di raggiungere un lontano santuario. Dopo alcuni giorni di cammino, si trovò a passare per una stradina che si inerpicava per il fianco desolato di una collina brulla e bruciata dal sole. Sul sentiero spalancavano la bocca grigia tante cave di pietra. Qua e là degli uomini, seduti per terra, scalpellavano grossi frammenti di roccia per ricavare degli squadrati blocchi di pietra da costruzione. Il pellegrino si avvicinò al primo degli uomini. “Che cosa fai?”, chiese il pellegrino. “Non lo vedi?” rispose l’uomo, sgarbato, senza neanche sollevare il capo. “Mi sto ammazzando di fatica”. Il pellegrino non disse nulla e riprese il cammino. S’imbatté presto in un secondo spaccapietre. Era altrettanto stanco, ferito, impolverato. “Che cosa fai?”, chiese anche a lui, il pellegrino. “Non lo vedi? Lavoro da mattino a sera per mantenere mia moglie e i miei bambini”, rispose l’uomo. In silenzio, il pellegrino riprese a camminare. Giunse quasi in cima alla collina. Là c’era un terzo spaccapietre. Era mortalmente affaticato, come gli altri. “Che cosa fai?”, chiese il pellegrino. “Non lo vedi?”, rispose l’uomo, sorridendo con fierezza. “Sto costruendo una cattedrale”. E con il braccio indicò la valle dove si stava innalzando una grande costruzione, ricca di colonne, di archi e di ardite guglie di pietra grigia, puntate verso il cielo.Aiutaci Signore a sentire che Tu stesso oggi ci chiami tutti a essere insieme corresponsabili della nostra Chiesa di Firenze, “una Chiesa lieta col volto di mamma che comprende, accompagna, accarezza”.