Il film: “La valle dei sorrisi”, cosa si ottiene quando si rinuncia al dolore

Dopo il passaggio fuori concorso a Venezia, arriva nelle sale l'opera seconda di Paolo Strippoli, «La valle dei sorrisi», film di genere che incornicia un dramma tutto contemporaneo

Il barese Paolo Strippoli aveva già avuto modo di farsi notare dal grande pubblico col divertente «A Classic Horror Story», esclusiva Netflix co-diretta assieme a Roberto De Feo, e di farsi apprezzare dalla critica con la sua prima opera da solista, il bel «Piove». Se questo era tutto immerso in un ambiente urbano cupo e claustrofobico, con «La valle dei sorrisi», presentato fuori concorso a Venezia, Strippoli si sposta tra gli sterminati paesaggi e i piccoli borghi delle Alpi friulane, senza però rinunciare a quel cuore di tenebra tripartito, individuale-familiare-societario, che lo contraddistingue.

L’ambientazione è Remis, villaggio alpino di poche centinaia d’anime recentemente protagonista di un disastro ferroviario. Qui arriva Sergio Rossetti, ex campione di judo trasferitosi per accettare un posto da supplente nel liceo locale. Sergio, tormentato da un dolore indicibile, si accorge subito come a Remis tutti siano stranamente felici e sorridenti: sarà la barista Michela a metterlo a parte del segreto della comunità.

Quale sia questo segreto il pubblico lo scopre insieme al protagonista, un arruffato Michele Riondino: si tratta di Matteo, un adolescente inquieto, tormentato, interpretato dall’ottimo esordiente Giulio Feltri. Chiunque abbraccia Matteo, infatti, si trova miracolosamente liberato da ogni dolore, e proprio di miracoli si parla a Remis, che ha istituito un vero e proprio culto del ragazzo, a metà tra neopaganesimo e devozione popolare.

«La valle dei sorrisi» colpisce innanzitutto per un taglio, finalmente, originale: se da un lato ci si rifà in buona misura al folk horror di «Midsommar» (ma soprattutto del capostipite «The Wicker Man») con un pizzico di «Omen – Il presagio», dall’altro si riesce a ritagliare un’identità specifica per l’horror italiano, ottimamente calato in dinamiche proprie del paese che non scimmiottano modelli d’oltreoceano e sanno anzi imporsi con una personalità e un peso specifici.

Soprattutto, però, Strippoli usa il linguaggio del cinema di genere per incorniciare un dramma che guarda alla contemporaneità: incarnati in Matteo si ritrovano facilmente tutti i piccoli grandi “idoli” usati oggi per mettere a tacere il dolore, ormai un ospite scomodo, privato di ogni significato, peso di cui liberarsi piuttosto che maestro da accogliere, accettare, ascoltare. Dagli psicofarmaci allo scrolling compulsivo, tutti i piccoli grandi antidolorifici, manifestazioni culturali di un’era che nega qualsiasi cosa turbi il mito di gioventù, bellezza e felicità per sempre, si riflettono nell’ambigua figura di un “santo”, un angelo oppure un diavolo (“Matteo toglie il dolore, ma così annienta Dio, perché Dio lo si trova soprattutto nel dolore”, dice uno dei personaggi), che come loro toglie un peso, ma pretende qualcosa in cambio: tutto. Ciò che toglie il dolore, dice Strippoli, finisce col controllarti, col prendere una parte essenziale della tua identità, ed ecco che la patologica dipendenza di Remis da Matteo diventa anche canale per una possessione di massa, una perdita collettiva del sé.

Non per niente è proprio il dolore a riscoprirsi strumento salvifico, sia nella sua dimensione individuale come fardello da portare e affrontare che in quello collettivo di tragedia che fa parte del DNA comunitario, con la sfera familiare ponte tra le due e in qualche modo sintesi di entrambe.

Con «La valle dei sorrisi» Strippoli firma un ottimo film di genere, più maturo e stilisticamente più pulito di «Piove» anche se non altrettanto incisivo e impattante, una parabola umanissima su un mal du siecle che definisce la società del benessere.

LA VALLE DEI SORRISI di Paolo Strippoli. Con Michele Riondino, Giulio Feltri, Paolo Pierobon, Romana Maggiora Vergano. Italia, Slovenia, 2025. Horror.