Europa

A Kiev accolti i 110 italiani del Giubileo

Intervista al nunzio: “La pace è una sfida per tutti, la guerra non si vince con i paradigmi politici”

“Ripongo grande fiducia nei corpi civili. Perché la guerra non si risolve con mezzi politici né tanto meno con i mezzi militari. Ci vuole un’idea. E voi uomini e donne che venite dall’Italia non siete una realtà tra tante. Siete una forza di umanità”. Con queste parole mons. Visvaldas Kulbokas, nunzio apostolico a Kiev ha accolto i 110 attivisti italiani in piazza Maidan cuore della città. Una iniziativa di pace promossa dal Mean – Movimento Europeo di Azione Non Violenta e a cui hanno aderito movimenti ecclesiali e associazioni, sindaci e amministratorilocali. “Non vedo nel mondo delle forze politiche capaci a fermare la guerra”, ha detto il nunzio rivolgendosi a loro. “I politici restano nei loro paradigmi. La pace è una sfida che si pone a tutti noi. E questo vale per tutte le guerre”. A Kiev sono stati distrutti in questi tre anni 3.000 edifici molti dei quali sono stati già ricostruiti. Si parla di 4.000 morti civili solo in questa città. Stime verosimili visti gli attacchi quotidiani che prendono di mira città con missili e droni. “Se lasciamo la questione della guerra e della pace ai politici – argomenta il nunzio – facciamo fatica a trovare proposte concrete. Per questo fin dall’inizio ho sostenuto questa vostra iniziativa perché è un modo di fare pellegrinaggio umano e di prendere nelle nostre mani le redini della storia. Non vedo altre forze che oggi lo possono fare. Dobbiamo trovare dentro di noi le risposte a questa guerra è ad altre guerre”. Rivolgendosi quindi al numeroso gruppo italiano che si è fermato come primo atto di questo Giubileo della Speranza in Ucraina per rendere omaggio ai caduti in piazza Maidan, il nunzio ha detto: “Siamo in un posto simbolico preghiamo non soltanto per gli ucraini caduti ma anche per i soldati russi che hanno perso la vita e per tutte le vittime di tutte le guerre. E

nell’anno del Giubileo ci uniamo per chi crede in preghiera e per chi non crede in silenzio con un cuore che ringrazia chi ha donato la vita, che soffre con chi ha sofferto e che abbraccia.

È un atto di misericordia”. Con altri giornalisti presenti in piazza Maidan, il Sir lo ho intervistato.

Quando Papa Francesco ha proclamato l’Anno del Giubileo, l’anno della speranza, lei ha parlato di un significato particolare della speranza. In che senso?
Quando Papa Francesco ha proclamato l’anno del Giubileo, l’anno della speranza, ha sottolineato anche un particolare: la speranza certamente per noi è Dio, ma anche noi siamo portatori di speranza gli uni per gli altri. Quando pensiamo agli altri, quando siamo vicini agli altri, quando facciamo le opere di misericordia, siamo portatori di speranza. Io sono nunzio in Ucraina e qui do il benvenuto a chi è venuto dall’Italia e da altri Paesi per celebrare proprio questo aspetto: la vicinanza ed essere portatori di speranza, soprattutto quando c’è poca speranza dal punto di vista umano.

Il nuovo pontefice Leone XIV è particolarmente vicino al popolo ucraino…
Non soltanto vicino, ma anche in questo mese di ottobre il Papa ha sottolineato che lo dedichiamo a una preghiera insistente per la pace. Questo non significa soltanto un invito per i credenti: significa

pensare e lavorare per la pace come appello rivolto a tutti.

Lei ha ringraziato chi è venuto a portare sostegno. Che significato ha questo per l’Ucraina?
Sono grato a chi è venuto perché è una speranza che condividiamo gli uni con gli altri. Non ci rassegniamo dove c’è poca speranza: riflettiamo insieme su che cosa si possa fare. Certo, è un momento drammatico, anche dal punto di vista dei negoziati diplomatici. Questo conflitto si sta addirittura allargando a tutta l’Europa.

Qual è, in questo contesto, il ruolo della diplomazia della Santa Sede per arrivare a una pace giusta?
La guerra è ormai così diffusa e feroce che non è più neanche una questione della Santa Sede o non Santa Sede. Qui bisogna lavorare tutti insieme. Io rappresento il Santo Padre e la Santa Sede: per noi è una sfida grande capire come fare la nostra parte spirituale e morale. Ma qui dobbiamo essere uniti tutti, compresa la società civile, con una diplomazia dal basso.

Qual è la voce della società civile davanti ai grandi leader politici?
Se in Europa oggi abbiamo guerre come questa contro l’Ucraina, significa che la politica che abbiamo anche a livello internazionale non è in grado di risolverle. È una domanda molto grande, un interrogativo che ci poniamo: che cosa possiamo fare? Noi come singoli, come gruppi, come corpi civili. Non significa che troveremo subito una risposta, ma dobbiamo darci da fare nel cercarla.

Si parla anche di una possibile visita di Papa Leone XIV a Kiev. Che cosa può significare?
Un aspetto molto importante è che anche oggi, dare il benvenuto a chi è venuto qui, non è soltanto una presenza fisica: è sentire l’atmosfera, è sentire il cuore. Stamattina, parlando con una religiosa, le ho chiesto: “Avete dormito bene?”. Mi ha risposto: “No, stavo dormendo ma nella mia testa avevo l’impressione che i missili e i droni volassero da un lato all’altro”. P

rcepire fisicamente che cosa è la guerra serve a far sì che la guerra non sia soltanto una parola teorica.

Quando la si percepisce anche con l’emozione, la domanda ce la poniamo in un modo diverso. Già questo è molto importante: avere un’empatia ancora più radicata con chi soffre.