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Ucraina: “Kharkiv resiste, la libertà non è negoziabile”

Sergii Chernov racconta la vita quotidiana nella città a 25 chilometri dal fronte, colpita ogni giorno da missili e droni

Kharkiv (foto Sir)

Kharkiv vive da quasi quattro anni al ritmo imposto dalla guerra. Dalle 23 alle 5 scatta il coprifuoco. Si ferma tutto. Scende il buio della notte e il silenzio è rotto dal rumore degli allarmi. La città si trova a circa 25 chilometri dalla linea dei combattimenti ed è costantemente esposta agli attacchi. Razzi, bombe tele guidate, droni Shahed, missili.

“La popolazione ha imparato a sopravvivere in questa situazione, anche se in realtà non ci si può mai abituare alla guerra”, dice Sergii Chernov, politico ucraino di Kharkiv, che in questi giorni sta accompagnando il gruppo degli attivisti italiani del Mean giunti in città per il Giubileo della Speranza. Hanno deciso di attraversare la Porta Santa nelle cattedrali di questa città che si trova a 120 chilometri da Vovchansk, 70 da Kupyansk e solo 25 da Lyptsi. Sono i punti più caldi dell’intero fronte. Non si può dare margine al rischio. Se scatta l’allarme l’indicazione è di andare nei rifugi e la geolocalizzazione va assolutamente tolta da tutti i pc e smartphone.

Prima dell’inizio dell’invasione questa città – sede di prestigiose università, centro di arte, musica e cultura, polo sportivo ai massimi livelli – contava circa 1,5 milioni di abitanti. Oggi ne restano circa un milione. A questi si aggiungono circa 1.300 sfollati, persone che hanno perso tutto, anche la propria casa. Molti sono stati ospitati in strutture universitarie rimaste svuotate in seguito all’esodo degli studenti o in spazi preparati appositamente.

La vita qui è difficile. Impossibile per i ragazzi e le ragazze andare a scuola. Complicato immaginare un futuro. Sono circa 600 le imprese che a causa della guerra hanno dovuto chiudere. Le conseguenze della crisi si fanno sentire e le file davanti alla Caritas della città e alla cattedrale greco cattolica si allungano. “Nonostante tutto – racconta Chernov – le persone non si arrendono. Continuano a prendersi cura della città, della famiglia, del posto di lavoro. Si pagano le tasse anche in queste condizioni. Si proteggono i bambini, le persone malate, chi ha disabilità o non può muoversi. È un dovere morale oltre che civile”. Il presidente Volodymyr Zelensky ha conferito a Kharkiv il titolo di “Città degli Eroi” e ieri, nella giornata dedicata ai difensori dell’Ucraina, ha attribuito lo stesso titolo anche alla città di Kupyansk.

La parola chiave per comprendere questa città è “resistenza”. “Dopo quasi quattro anni di guerra – confida Chernov – è naturale provare stanchezza, sia fisica che mentale. Ma i cittadini di Kharkiv fanno di tutto per mantenere un’atmosfera positiva. La depressione non aiuta nessuno, non serve”. Non si cede neanche di fronte al timore concreto che la città possa cadere nelle mani dei russi. Su questo punto Chernov è tassativo: “Se nei primi giorni di guerra non sono riusciti a prenderla, adesso è impossibile”.

Anche da questo angolo di Ucraina, si seguono le notizie sui negoziati per la pace, la definizione dei territori, il ritorno dei prigionieri. I margini per un accordo sembrano lontani. Ma la speranza è che la pace arrivi, “ma arrivi – aggiunge subito Chernov – senza rinunciare alla dignità e alla libertà conquistate”. E spiega: “Ogni guerra, prima o poi, termina con la pace. La vera domanda è quando e a quale prezzo. Il costo più alto è quello delle vite umane e dei destini personali. Solo dopo viene il territorio. La priorità assoluta è salvaguardare l’Ucraina come Stato sovrano, libero e democratico”. Nelle zone occupate dal 2014 l’influenza ideologica si è radicata. “Sarà più difficile. Ma alla fine le persone scelgono dove si vive meglio: un’Ucraina ricostruita, moderna e aperta attirerà chi oggi ne è lontano”.

Ci sono intere città da ricostruire e ferite profonde da sanare. Visto da Kharkiv, fa paura il futuro del Paese? “Fa paura pensare al peso che ci attende, ma è un passaggio inevitabile”.

La gente non si dà alcuna alternativa. La paura vera è la prospettiva di finire sotto l’occupazione russa. Per farsi capire “bene”, Chernov racconta che nei Paesi dell’ex Unione Sovietica, ancora oggi le persone con disabilità sono viste come individui “con possibilità limitate”. È questo che fa più paura. La mancanza di libertà e democrazia, la tutela dei diritti per tutti. Ed è per questo che il Paese resiste. Per continuare a essere protagonista del suo futuro.