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Migranti, impossibile aiutare a casa loro chi fugge da morte e guerra

Anche chi per tenere alla larga i migranti dice «dobbiamo aiutarli a casa loro» dovrebbe sapere che l’emigrazione è anche il modo migliore con cui si possono aiutare i paesi poveri ad essere meno poveri. Nel 2013 il totale degli aiuti internazionali che è giunto all’Africa è stato di 130 miliardi di dollari. Il totale delle rimesse degli emigrati africani verso i loro paesi di origine è stato invece più di tre volte maggiore con 400 miliardi di dollari.

Tuttavia la maggioranza di chi fugge oggi dal proprio paese non lo fa perché è rincorso come fino ad ieri dalla fame, ma dalla guerra, come dimostra il fatto che in tutto l’anno scorso la fetta più grossa di coloro che hanno richiesto asilo in Europa sono stati i 123mila siriani. In sostanza questa è gente che, qualsiasi pacco noi possiamo cercare di spedirgli per posta purché se ne stia lontana, non si darà pace finché non avrà pace. La fame è semmai un effetto collaterale della guerra persino in un paese come l’Eritrea in cui la guerra non c’è, ma è come se ci fosse perché un dittatore pazzo può sottoporre la propria popolazione al servizio militare per tutta la vita. Se ora si fugge dal luogo dove si è nati non solo nel tentativo disperato di cercare una vita migliore, ma addirittura per non essere uccisi o essere resi schiavi, i giuristi figli della grande tradizione liberale dell’Europa e tutte le convenzioni internazionali ci dicono che la qualità della migrazione di oggi renderebbe obbligatoria la concessione del diritto d’asilo a gran parte degli emigranti, diritto che per l’emigrazione di ieri era tutt’altro che scontato. L’Onu ha già fatto sapere chiaramente il suo parere a questo proposito. Secondo i suoi calcoli il settanta per cento di coloro che arrivano in Europa su un barcone o su un camion avrebbe diritto al diritto d’asilo.

Tuttavia questa Europa che fin dal medioevo ha aperto le porte delle sue chiese e dei suoi conventi a chi in un modo o nell’altro era in pericolo di vita, è oggi molto più selettiva nell’aprire le sbarre delle proprie frontiere. L’anno scorso su 672 mila emigrati che hanno fatto domanda di asilo solo 162 mila, cioè meno di uno su quattro, l’hanno ottenuto. Anche i paesi più importanti e più ricchi hanno detto tanti «no» rispetto ai non molti «sì.» La Germania ha concesso asilo al 27 per cento dei richiedenti. La Francia al 22 per cento. Solo la Svezia è stata all’altezza della percentuale suggerita dall’Onu con il suo 72 per cento

I paesi europei spendono non solo per accogliere, ma anche per respingere i migranti. La Grecia che con il suo confine con la Turchia rappresenta per chi emigra l’unica alternativa via terra alla roulette russa dell’attraversata del Mediterraneo, ricaccia i migranti che riescono a traversare il fiume Evros che è un po’ la porta di servizio per l’ingresso nel Vecchio Continente. Schiera inoltre ben milleottocento poliziotti al confine e ha fatto costruire a poca distanza dal Bosforo un muro lungo dieci chilometri e mezzo punteggiato dagli occhi di telecamere per serrare l’ingresso orientale dell’Europa.

La Francia, quella che una volta concedeva asilo politico anche ai terroristi italiani pluriomicidi (ricordate Cesare Battisti?), fa presidiare dai suoi poliziotti la stazione di Mentone da cui l’anno scorso quasi ottomila migranti giunti da Ventimiglia sono stati rispediti in Italia. La Gran Bretagna, quella che oggi praticamente dice «vi diamo le nostre sterline purché vi teniate i vostri migranti», nel settembre scorso ha firmato un accordo con la Francia in cui concedeva al paese dirimpettaio quindici milioni di euro in tre anni se si impegnava a bloccare a Calais i migranti che si buttano davanti ai camion pur di ottenere un passaggio clandestino attraverso il tunnel della Manica. E la Francia ha già onorato i suoi impegni prima di assumerli arrestando a Calais durante tutto l’anno scorso settemilacinquecento emigranti che cercavano di passare in Inghilterra.

E anche dopo l’ultima tragedia degli ottocentocinquanta morti in mare il 18 aprile scorso intorno alle undici di un sabato sera, quando la gente che tiene i piedi in terra si diverte, l’Europa non ha fatto grandi progressi in fatto di accoglienza e di solidarietà. Da quando il sistema di controllo del Mediterraneo è stato attribuito a Frontex con un bilancio di appena tre milioni di euro al mese e con l’interdizione di operare in alto mare i morti nel canale di Sicilia sono schizzati a quota 1.750. Nel periodo in cui ha operato l’organizzazione italiana di Mare Nostrum i morti sono stati 54.

Nonostante il fallimento di questa politica recente fatta più di respingimento che di accoglienza nemmeno all’ultimo vertice di Bruxelles si è deciso granché. Si è continuato a parlare molto confusamente e genericamente di esibizioni di muscoli emotive come il blocco navale e il bombardamento dei barconi a terra. Ma in concreto non si è riusciti a convincere i ventotto paesi europei ad accogliere nemmeno una media di 5 mila migranti ciascuno. Si è deciso di continuare a puntare ancora per il controllo del mare su Frontex, l’organizzazione che ha sede a Varsavia (paese notoriamente mediterraneo!). Ma Frontex non può agire nemmeno ora in acque internazionali, come invece agiva Mare Nostrum e in teoria dovrebbe lasciare annegare chi affoga in acque profonde a più di quaranta miglia dalla Sicilia. In compenso è stato aumentata la spesa mensile di Frontex da tre a nove milione il mese. Qualcuno ha esultato per questa moltiplicazione per tre. Ma, come notava sabato scorso Le Monde, questa spesa rappresenta un millesimo delle spese della Unione Europea. Per proteggere le proprie mucche di pelle bianca l’Unione spende duecento volte di più.