Cultura & Società

A spasso nella Firenze di Pratolini

Morta la madre nel 1918, con il padre in guerra, il piccolo Vasco vive coi nonni. Il fratello Dante, la cui nascita è stata fatale alla mamma, viene messo a balia verso il Viale dei Colli: in Cronaca familiare quelle passeggiate si trasformano in un quadro. Vasco narra al fratello, morto giovane: «Ti venivamo a trovare sul colle, quasi tutti i giorni. Si saliva Costa de’ Magnoli, Costa Scarpuccia, era estate, luglio; ogni volta, finita l’ascesa, io volevo trattenermi a guardare San Giorgio e il Drago, scolpiti sulla Porta; la nonna mi tirava per mano. Gli ulivi erano bianchi sotto il sole, emergevano con tutti i rami dai muretti in cui è incassata la via San Leonardo. Al di là, i campi arati, perfetti, in leggera pendenza; un gran frinire di cicale, e farfalle smarrite nella luce. Non incontravamo mai nessuno, raramente dai campi proveniva una voce. I cancelli delle ville erano sempre chiusi. Camminavo apposta battendo i tacchi perché l’eco fosse più forte».

Anche il nonno scompare e con la nonna Vasco va ad abitare in camera ammobiliata all’ultimo piano del n.2 di via del Corno. Sarà il palcoscenico di Cronache di poveri amanti. Il padre si risposa. In quarta elementare, per mezza giornata, il bambino fa il garzone di bottega. Da ragazzo, si adatta a fare tutti i mestieri: grazie a questo apprendistato nei suoi romanzi descrive con cognizione di causa il lavoro del fornaio, del venditore ambulante, del muratore, del bacalaro (l’addetto ai cavalli dei vetturini), del tipografo. Legge di tutto, è autodidatta. Incontra Ottone Rosai. Poi lascia la famiglia, si dà alla scrittura, finisce in sanatorio, ad Arco di Trento e a Sondalo. Al ritorno inizia la sua vera attività di scrittore. Negli anni 1935-1938 con Bilenchi e Vittorini è redattore de «Il Bargello», periodico politico; si iscrive all’Università; fonda con Gatto nel 1938 la rivista «Campo di Marte». Nel 1939 va a Roma, ha un impiego ministeriale e nel 1941 si sposa. Nel 1943 è già attivo politicamente: con il nome di Rodolfo Casati partecipa alla Resistenza. Si trasferisce prima a Milano come giornalista; poi il 1945 lo trova a Napoli a insegnare all’Istituto d’Arte. Tornato a Roma scriverà con successo e farà sceneggiature per film importanti.

Firenze, dunque, protagonista di vicende corali. Basta leggere l’inizio de Il quartiere, ambientato in Santa Croce nel 1935 per cogliere questo carattere tipicamente pratoliniano. «Noi eravamo contenti del nostro Quartiere. Posto al limite del centro della città, il Quartiere si estendeva fino alle prime case della periferia, là dove cominciava la via Aretina, con i suoi orti e la sua strada ferrata, le prime case borghesi, e i villini. Via Pietrapiana era la strada che tagliava diritto il Quartiere, come sezionandolo fra Santa Croce e l’Arno sulla destra, i Giardini e l’Annunziata sulla sinistra. Ma su questo versante era già un luogo signorile, isolato nel silenzio, gravitante verso san Marco e l’Università, disertato dalla gente popolana che lasciava i figli scavallare sulle proprie strade dai nomi d’angeli, di santi e di mestieri, nomi antichi di famiglie “grasse” del Trecento».

È soprattutto Piazza Santa Croce a diventare uno stupendo, incredibile stadio: in questo nulla di nuovo, perché vi si era svolta la celebre partita di calcio fiorentino durante l’assedio del 1529-30. «Il campo di gioco occupava metà della piazza dalla parte opposta del monumento al Poeta, al limite delle panchine prospicienti il sagrato della chiesa. La “porta” estrema era segnata da uno dei quattro lampioni che inquadrano la cancellata del monumento e da un tombino; l’altra, prossima alle panchine, all’incontro, veniva delimitata da due strisce sulla ghiaia». Così recita la prima pagina di Diario sentimentale e subito dopo si accenna alle madri scarmigliate, ai padri senza arte né parte, in una miseria tinta di decoro.

L’altro polo della Firenze di Pratolini è Sanfrediano. «Il rione di Sanfrediano è “di là d’Arno”, è quel grosso mucchio di case tra la riva sinistra del fiume, la Chiesa del Carmine e le pendici di Bellosguardo; dall’alto, simili a contrafforti, lo circondano Palazzo Pitti e i bastioni medicei; l’Arno vi scorre nel suo letto più disteso, vi trova la curva dolce, ampia e meravigliosa che lambisce le Cascine»… «Le case sono antiche per le loro pietre, e più per il loro squallore; formano, l’una a ridosso dell’altra, un immenso isolato, qua e là interrotto dall’apertura delle strade, con gli improvvisi, incredibili respiri del lungofiume e delle piazze, vaste e ariose, queste, come campi d’arme, come recessi armoniosamente estesi. Ci pensa l’allegro, rissoso clamore della sua gente ad animarli; dal rivendugliolo e stracciaiolo, all’operaio delle non lontane officine, all’impiegato d’ordine, al l’artigiano marmista, orefice, pellettiere, le cui donne hanno anch’esse, nella più parte, un mestiere: Sanfrediano è la piccola repubblica delle lavoranti a domicilio: sono trecciaiole, pantalonaie, stiratrici, impagliatrici che, dalla loro fatica, sottratta alle cure della casa, ricavano ciò che esse chiamano il minimo superfluo di cui necessita una famiglia, quasi sempre numerosa, alla quale il lavoro dell’uomo apporta, quando c’è, il solo pane e companatico». Così nelle prime pagine de Le ragazze di Sanfrediano.

Con Metello, il quadro si allarga alle prime lotte sociali in Italia, agli scioperi dei muratori, alle repressioni, al sorgere dei Sindacati. Le vicende del giovane Salani, nato in San Niccolò, figlio del renaiolo Caco, si inseriscono nella Firenze degli anni 1875-1902, che si espande fuori dalla cerchia  delle abbattute mura. Entrano in gioco altri spazi, come i fondacci del Madonnone, il quartiere dei lavandai, al confine con la borgata di Rovezzano, o il Romito, oltre il ponte sul Mugnone. Le pagine del romanzo ci testimoniano gli scontri di piazza, le discussioni nelle bettole come quella di via del Leone, la giostra di Porta Romana, i fuochi visti dal Ponte alla Carraia.

Anche le Cascine appaiono luogo di rilievo, sede di uno dei giochi preferiti dai fiorentini di un tempo: il tamburello. È in Un eroe del nostro tempo che la vedova Virginia, la repubblichina, e il giovane amante Sandrino, frutto di un fascismo sconfitto ma non scomparso, vanno allo Sferisterio.

«Ella sedeva in una specie di box, con le paratie all’altezza dei gomiti: aveva la rete davanti a sé, al di là della quale s’innalzava un muro altissimo che si perdeva allo sguardo, più alto della volta della sala. Tra la rete e il muro v’era la pista di gioco – e quegli uomini vestiti di bianco, coi calzoncini da minuetto e le fusciacche azzurre e rosse che si rimandavano la palla sul tamburello, correndo, volteggiando, imprecando. L’aria era affocata, pesante, densa di fumo nella sala e stranamente limpida al di là della rete, come rarefatta dalle vampe dei riflettori. Ad ogni palla che si ingabbiava contro la rete, che spirava sul cordino, che si volatilizzava al di sopra del muro, ad ogni colpo sonoro dei tamburelli, facevano eco le urla degli spettatori, i loro incitamenti, le loro bestemmie e gli evviva».

Le Cascine sono anche il luogo della vendetta delle già citate Ragazze di Sanfrediano contro il bel Bob, che viene scoperto con la complicità di Tosca in una delle sue imprese da farfallone e va incontro ad una disfatta che lo ridimensiona. Ecco la descrizione di quella notte: «Erano le nove della sera, il silenzio tutt’attorno, animato dal lieve fruscio del fogliame, e lontanissima la voce della città, che si spengeva sul brontolio del fiume, un’eco appena, alle loro spalle, accresceva la suggestione… Ora, davanti a loro, c’era il breve spiazzo al di là del quale stava il Prato Grande recinto dall’Albereta». È al Tempietto che le ragazze infuriate circondano Bob e ne scoprono una pochezza fisica che lo rende oggetto di scherno: il rientro in carrozza in Sanfrediano segna la fine del rubacuori, emulo di Robert Taylor, destinato a tornare Aldo e a cedere lo scettro ad un altro Casanova, Fernando, detto Tirone. Il tutto nel nome del mitico Gobbo, «Un sanfredianino figlio di sanfredianini, che nel 1919 aveva messo sotto sopra l’intero rione con le sue gesta di rubacuori, e mobilitato al gran completo la Polizia per le sue gesta di scassinatore». Era stato difeso dalle donne che lo trovavano bello.

Gina, Tosca, Mafalda sono le creature più riuscite di Pratolini. Hanno mani bianche e occhi come lumi spalancati sul cuore; capaci a sedici anni di portar l’acqua ai partigiani per strada, spavalde e sfrontate, sincere e malandrine, sempre pronte a dire con fierezza: «Sono una ragazza di Sanfrediano. Non te lo dimenticare mai».

Testimone prezioso di una Firenze che fu, Pratolini (morto nel ’91) ancora oggi si legge volentieri perché è riuscito a cogliere l’anima popolare, fiera, rissosa, ironica, della città.

Tante iniziative per un centenario

Convegni, incontri, film e mostre dedicati a Vasco Pratolini (1913-1991): Firenze ricorda il grande scrittore a 100 anni dalla nascita (il 19 ottobre) anche con una targa in via del Corno dove visse. Per tutti gli eventi un unico filo rosso: riscoprire o scoprire, magari per i più giovani, la figura e le opere dell’autore che con la sua poetica ha saputo incarnare e tramandare lo spirito della città. Tra le varie iniziative, il Gabinetto Vieusseux e il Dipartimento di lingue, letterature e studi interculturali dell’Università di Firenze promuovono una serie di eventi riuniti nel programma «Per Vasco Pratolini», in corso a Firenze fino al 19 ottobre.

Le celebrazioni si sono aperte mercoledì 16 ottobre con la presentazione del documentario «Firenze di Pratolini» realizzato da Cecilia Mangini. Giovedì 17 ottobre, alle ore 12, per iniziativa del Gabinetto Vieusseux viene inaugurata, nei locali dell’Archivio contemporaneo «A. Bonsanti» (via Maggio, 42), la mostra documentaria «La biblioteca di Vasco Pratolini», a cura di Laura Desideri e Erica Vecchio. La mostra resta aperta fino al 15 gennaio 2014. Orario: 9-13 (lunedì, martedì, venerdì) e 9-17 (mercoledì e giovedì). Info: www.vieusseux.it

Dal 17 al 19 ottobre si svolge anche un convegno internazionale di studi sullo scrittore organizzato dall’Università di Firenze. Info: www.convegnopratolini.com

email: convegnopratolini@gmail.com