Cultura & Società

Arezzo rende omaggio a Fanfani

«Amintore Fanfani e la sua terra» è il titolo del volume che questo sabato 16 febbraio, alle ore 10,30, viene presentato nel Salone della Prefettura ad Arezzo. L’iniziativa è promossa dal circolo «Verso l’Europa» di Olmo (Arezzo). Alla presentazione, presieduta da Giovanni Conso, presidente emerito della Corte costituzionale, intervengono Emanuele Bargellini, Padre generale dei monaci Camaldolesi; Franco Nobili, vice presidente della Fondazione «De Gasperi» e Francesco Malgeri dell’Università «La Sapienza» di Roma. Il volume (Calosci editore, pagine 244, 16,00 euro) è suddiviso in quattro parti dedicate rispettivamente a «Gli anni della formazione e del progetto»; «Testimonianze dalla sua terra»; «Tra arte e memoria» e ad «Immagini di storia». Apre il libro una biografia di Amintore Fanfani (a cura di Flavia Nardelli).

DI PAOLO NEPILa città di Arezzo e il territorio aretino devono molto ad Amintore Fanfani. Questo va detto naturalmente senza nessuno spirito campanilistico. Non c’è infatti, per quanto riguarda l’Italia, nessun aspetto della ricostruzione sociale postbellica in cui Fanfani non abbia lasciato l’impronta. Difficile dunque, se non impossibile, distinguere fra quello che Fanfani ha fatto per la sua terra, intendendo con questo anche la Regione Toscana, e quello che ha fatto per tutto il Paese. Il Piano Fanfani INA-casa, nel corso degli anni Cinquanta, riuscì a dare una casa a circa 350 mila famiglie di lavoratori. Ma anche gli aspetti legati allo sviluppo industriale, al progresso economico e al miglioramento delle condizioni del mondo del lavoro, al disegno di ammodernamento infrastrutturale, rimandano più o meno direttamente alla sua visione politica e alla sua azione di governo. La legge sulla montagna, che Fanfani contribuì ad elaborare pensando certamente al territorio toscano, rivela aspetti che anticipano le questioni ambientali che oggi sono sotto gli occhi di tutti. Il suo primo governo di centrosinistra, del 1962, fece approvare l’importantissima legge, dal profondo significato sociale, sulla scuola dell’obbligo. La riforma agraria favorì la piccola proprietà contadina, e, per quanto riguarda la Toscana, la bonifica della Maremma. Fanfani fu un sostenitore del controllo sociale dell’economia. Scrive in un importante saggio del 1946: «L’economia incontrollata non soltanto non reca l’abbondanza, salvo che a pochi, ma toglie la libertà a quasi tutti, meno che ai pochi che momentaneamente vincono la guerra». (Il neovolontarismo economico statunitense, p. 65). L’iniziativa del Circolo «Verso l’Europa», presieduto da Donato Palarchi, che con una pubblicazione ha voluto rendere omaggio alla memoria di un grande uomo politico, ha quindi innanzitutto il significato della gratitudine della sua terra. Una terra che Fanfani ha sempre amato, in cui ritornava spesso, che ha dipinto nei suoi quadri con un mano che si rivela sempre più quella di un vero pittore, non di un semplice dilettante che utilizza il suo tempo libero come un passatempo.Questo è il primo punto che voglio evidenziare. Si tratta di un aspetto che il volume di cui si parla documenta in modo inconfutabile. Le testimonianze degli amici e dei dirigenti locali della Democrazia Cristiana, che costituiscono la parte centrale del libro, sono lì a documentare questo rapporto. Si tratta a volte di persone che hanno avuto con Fanfani un rapporto occasionale, e che proprio da questo rapporto, per quanto accidentale, ebbero modo di apprezzare il suo modo di pensare e di agire.A questo primo aspetto si aggiunge – allargando un po’ gli orizzonti – un secondo intento. Quello di ripercorrere, attraverso la testimonianza di uno dei suoi grandi interpreti, alcune tappe del cattolicesimo politico italiano. Si tratta di momenti in cui Arezzo e il suo territorio si aprono agli eventi dell’Italia e del mondo, in quello che è stato non un «secolo breve», secondo il noto paradigma dello storico Hobsbawn, ma un secolo lunghissimo di grandi tragedie ma anche di grandi conquiste di pace. Qui siamo davanti, in una fase storica in cui sembra dominare l’incertezza, al dovere di assumersi delle responsabilità per non chiudere definitivamente una storia. Anche se la storia, come ben sanno gli storici e coloro che, anche senza essere specialisti, ne hanno innato il senso, non si conserva con lo spirito della catalogazione archivistica ma solo nella fedeltà creativa ad una ispirazione.La vicenda politica di Fanfani ci insegna inoltre – e siamo al terzo aspetto – che la politica, ancorché il suo carattere specifico sia l’efficacia delle decisioni, non può fondarsi sul puro pragmatismo, che è la versione debole dell’uso machiavellico del potere. L’agire è buono quando è conseguenza di un retto pensare. Agere sequitur esse: l’agire è una conseguenza dell’essere, diceva la saggezza degli antichi. Non si possono compiere cose giuste se non si è espressione personificata della virtù della giustizia. Di una giustizia pensata, interiorizzata, condivisa con altri. Fanfani, negli anni della politica-scandalo, non è stato neanche scalfito dal sospetto. Credo che questo non sia frutto del caso, ma di tutto un itinerario educativo che coinvolge la famiglia, la parrocchia, la Chiesa, l’Università Cattolica di Milano in cui si laureò nel 1930 e in cui per più di vent’anni insegnò Storia dell’economia.Fanfani fu anche eletto nel 1965 presidente dell’Assemblea dell’Onu, dove fu apprezzato per il ruolo svolto, nel corso degli anni Sessanta, per lo sviluppo della pace improntata al progresso della giustizia tra i popoli. Una vita alla ribaltaDI FLAVIA NARDELLIAmintore Fanfani nasce a Pieve S. Stefano, in provincia di Arezzo, il 6 febbraio 1908. Frequenta Economia e commercio all’Università Cattolica di Milano. Si laurea nel 1930. Fino al 1982 insegna Storia dell’economia.Dopo l’8 settembre 1943 è costretto a riparare in Svizzera per sfuggire ai nazisti. Rientrato in Italia, è chiamato nel 1945 da De Gasperi a dirigere, insieme a Dossetti, il settore Stampa e propaganda della Dc. Il 2 giugno ’46 è eletto alla Costituente, dove fa parte della Commissione dei 75 che prepara il testo della nuova Costituzione. Dal ’48 al ’68 sarà sempre eletto deputato nel Collegio di Siena–Arezzo–Grosseto.Nel maggio 1947 De Gasperi forma il suo quarto governo, il primo senza comunisti e socialisti; Fanfani diventa ministro del Lavoro. Conserva l’incarico anche nel successivo governo De Gasperi. Come ministro del Lavoro fa approvare il cosiddetto «Piano Fanfani Ina–casa», che in dieci anni riuscirà a dare una casa a circa 350 mila famiglie di lavoratori.Dopo il ritiro di Dossetti, leader indiscusso della corrente dc «Cronache sociali», Fanfani, che nel gennaio 1950 si era dimesso dal governo, ne eredita la guida. Nell’estate ’51 è nominato ministro dell’Agricoltura nel quinto governo De Gasperi. Nel 1953 è, invece, ministro degli Interni nel sesto ed ultimo governo De Gasperi, che non ottiene la fiducia. Fanfani, comunque, viene riconfermato al Viminale anche dal nuovo Presidente del Consiglio Pella.Nel 1954, dopo la crisi del governo Pella voluta dalla stessa Dc, Fanfani forma il suo primo gabinetto, che alla Camera, però, ottiene solo i voti della Dc e del Pri, non sufficienti per la fiducia. Sempre nel 1954, alla guida della corrente «Iniziativa Democratica», conquista la segreteria della Dc. La vittoria di Fanfani si rivela una svolta per il partito, che viene presto dotato di un’organizzazione efficiente e capillare. Dopo il successo elettorale democristiano del 1958, Fanfani è chiamato a formare il suo secondo governo. In questo nuovo ministero Fanfani è anche ministro degli Esteri, conseguendo così un triplo incarico (Presidente del Consiglio, ministro degli Esteri, segretario della Dc). Nel gennaio ’59 si dimette da tutte le cariche occupate.Nel 1960 Fanfani forma il suo terzo ministero, con il voto dei partiti centristi e con l’astensione di monarchici e socialisti. Inizia così una nuova fase della politica, che condurrà al centro–sinistra. Nel ’62 forma il suo quarto governo. La nuova formula politica di centro–sinistra non piace a parte dell’elettorato del partito. La Dc perde circa il 4% nelle elezioni politiche del ’63 e Fanfani è costretto a dimettersi dalla guida del governo.Nel ’64 è ministro degli Esteri nel secondo governo presieduto da Moro, carica che occupa fino al dicembre 1965. Due mesi prima l’Onu lo ha eletto Presidente. Nel 1966 è di nuovo ministro degli Esteri nel quarto governo Moro.Nelle elezioni politiche del ’68 si presenta sia alla Camera sia al Senato. Eletto in entrambe le Assemblee opta per il Senato, di cui diventa Presidente. Nel 1971 viene candidato dalla Dc alla Presidenza della Repubblica, ma si ritira quando gli vengono a mancare molti dei voti preventivati. Nel ’72 il Presidente della Repubblica Leone lo nomina Senatore a vita.Nel ’73 è di nuovo Segretario politico della Dc. Siamo negli anni della battaglia antidivorzista, appoggiata con grande forza da Fanfani, ma che vede il partito sostanzialmente isolato. La sconfitta referendaria colpisce in pieno Fanfani, che nel ’75 si dimette da segretario per far posto a Zaccagnini. Nel 1976, dopo le elezioni politiche, Fanfani è ancora riconfermato Presidente del Senato, così come nel 1979. Nell’82 viene nuovamente nominato Presidente del Consiglio e forma il suo quinto governo, un monocolore Dc, che termina nell’83. Nel 1985 viene rieletto Presidente del Senato e nel 1987 è ancora chiamato alla guida del Governo, un ministero «istituzionale» che non ottiene la fiducia delle Camere. La Dc, infatti, decisa ad andare alle elezioni anticipate, si astiene nel voto alla Camera. Dopo le elezioni del 1987, Fanfani viene nominato ministro dell’Interno nel governo Goria. Dall’88 all’89, sotto la presidenza di De Mita, è ministro del Bilancio e della Programmazione economica. Dopo quest’ultima esperienza di governo, Fanfani, ancorché anziano, continua a far sentire la propria voce. Nell’XI Legislatura (’92-’94) è presidente della Terza Commissione permanente del Senato, «Affari Esteri ed Immigrazione». Muore il 20 novembre 1999.