Cultura & Società

Francuccio e Michele Gesualdi: «A don Milani bisogna avvicinarsi con rispetto e correttezza»

«Quest’anno, in cui ricorre il cinquantesimo dalla sua morte, sentiamo il bisogno di esprimere quello che a nostro avviso è il modo giusto di avvicinarsi a don Lorenzo Milani rispettando il suo spirito». Inizia così la nota congiunta di due dei «ragazzi» del priore di Barbiana, i fratelli Francuccio e Michele Gesualdi. Quest’ultimo, tra l’altro, è socio fondatore e presidente della Fondazione nata per promuovere la conoscenza e la divulgazione dell’insegnamento e dell’opera di don Lorenzo Milani. Nessuna volontà di buttarsi nelle polemiche di questi giorni, rinfocolate dal libro di Walter Siti («Bruciare tutto») che ha per protagonista un prete pedofilo e che l’autore dedica proprio al Priore di Barbiana. Una dedica completamente fuori luogo e che lo stesso Siti, in un’intervista, ha in parte ritrattato: «Se ho sbagliato l’interpretazione, la dedica è fuori bersaglio».

«Crediamo che di fronte ad una persona  che come lui ha lasciato un segno nella storia – scrivono i due fratelli ­-, l’unico atteggiamento corretto è capire cosa ha ancora di importante da dirci, per assumerci le nostre responsabilità. Ossia per chiederci come applicare nel nostro tempo la sua proposta intramontabile. Don Lorenzo ha speso la sua vita per ridare dignità ai contadini e agli operai, che a causa della propria inferiorità culturale, erano umiliati, oppressi e saccheggiati da imprenditori, proprietari terrieri e ogni sorta di profittatori».

«La sua dedizione per quelli che Papa Bergoglio definisce “scartati” è stata totale – proseguono Francuccio e Michele – . Non desiderando nient’altro che il bene dei suoi allievi, anche il suo amore è stato totale. Fino a fargli dimenticare se stesso. Benché cresciuto in ambiente borghese immerso nella cultura,  don Lorenzo non coltivava interessi personali, non faceva letture per il proprio piacere, non studiava per la propria erudizione. Viveva solo per noi: leggeva con noi, scriveva con noi, accoglieva i visitatori con noi. Con un solo obiettivo: elevarci culturalmente per vederci crescere liberi. Si interrogava continuamente chiedendosi come potesse rispondere al problema particolare che presentava ciascuno di noi. In particolare i più indietro. Voleva così intensamente il nostro bene, da essere stato costretto a riconoscerlo in punto di morte:  “Ho voluto più bene a voi che a Dio”».

«Avendo un rispetto sacrale del tempo, delle persone e del pensiero, detestava la superficialità, i giudizi avventati, il parlare e lo scrivere fine a stesso, perseguito al solo scopo di mettere in mostra la propria persona o di servire il proprio tornaconto. Ci insegnava a usare il sapere per la nostra dignità personale, per esercitare la sovranità insieme agli altri, per fare trionfare il bene comune. Concepiva le idee e le esperienze come processi collettivi di ricerca della verità  non riconducibili a nessuna  persona specifica. Per questo detestava ogni forma di personalismo, sia sotto forma di culto della personalità che di denigrazione. Convinto che le idee  e le esperienze sono sempre il risultato di cammini collettivi, di incontri fra persone, culture, storie, il suo desiderio era scomparire come persona. La verità non è proprietà privata di nessuno, né richiede meriti particolari per essere perseguita».

«Di fronte  ad uomo di questa levatura, – concludono i due fratelli Gesualdi – che ha dato prova di essere autentico uomo di Dio illuminato dal Vangelo, l’unico atteggiamento possibile è quello del rispetto e della ricerca scrupolosa.  Ogni etichetta a lui lontanissima, attribuita leggendo frasi sparse, avulse dal loro contesto, è un’offesa, prima ancora che a lui, alla correttezza intellettuale».