Cultura & Società

I misteri di Terra Santa in scena a San Miniato

di Andrea FagioliLa «Festa del teatro», alla vigilia dei sessant’anni, ritrova gran parte dello spirito autentico e persino la naturale cornice medievale della Piazza del Duomo che l’anno scorso, con Il dilemma del prigioniero, aveva perso dietro le grandi scenografie che stringevano lo spettatore da tre lati come fosse al chiuso. Per l’edizione 2005, la cinquantanovesima della serie, la facciata della Cattedrale e quella del vescovado sono tornate «a contenere» una pedana girevole sovrastata da tre grandi porte, simbolo delle grandi religioni monoteiste: segni forti e riconoscibili per le famiglie abramitiche di cristiani, ebrei e musulmani. Ed è proprio nella città a loro più cara, la città santa di Gerusalemme, che Franco Scaglia ambienta il suo romanzo Il custode dell’acqua adattato da Sergio Pierattini e Marzia G. Lea Pacella e andato in scena dal 22 al 27 luglio nell’ambito della rassegna sanminiatese dedicata al teatro dello spirito.Gerusalemme, «la città dei misteri», come la definisce il francescano archeologo padre Matteo, protagonista del romanzo e della riduzione teatrale, oppure, come spiega il confratello padre Vidigal, la «città che si muove sempre nella direzione segnata dai battiti del cuore e il suo cuore ha tre colori: il cristiano, l’ebreo, il musulmano. E la sua ragione ha tre facce: la cristiana, l’ebrea e la musulmana. Molto spesso cuore e ragione non coincidono e perciò la storia di Gerusalemme è più ricca di sfortuna che fortuna».

Gerusalemme andrebbe restituita a Dio: «Sottratta alla politica e alle armi e restituita a Dio – sostiene un altro dei personaggi del dramma, il Custode di Terra Santa –. I Cugini del Muro vogliono una Gerusalemme capitale dello stato ebraico, come oggi. Gli Amici della Roccia vogliono Gerusalemme est come loro capitale. Il mio progetto è lavorare all’ipotesi di Gerusalemme Vecchia città della pace, il cui equilibrio sia garantito dalle varie religioni. Gerusalemme, la città della pace…».

Parte da questo progetto del Custode di Terra Santa l’idea di affidare a padre Matteo, scopritore dei mosaici del Monte Nebo, il tentativo di trasformare Gerusalemme in città della pace. Ma ben presto, nella finzione scenica e in quella del romanzo, padre Matteo si trova coinvolto in una complessa vicenda che vede protagonisti i servizi segreti, un ricchissimo uomo d’affari e quattro giovani che sognano di combinare un doppio matrimonio misto: l’ebrea Hanan con l’israeliano di religione cattolica Shlomo e l’italiana ebrea Giulia con il cristiano melchita palestinese Pascal.

Ma l’uccisione dapprima di Pascal, poi di Hanan e Shlomo a un posto di blocco e nel frattempo la morte misteriosa di padre Luca, anche lui archeologo, rivelano a Matteo che sono in gioco interessi non solo religiosi. «Mi trovavo senza volerlo – ammette in uno dei monologhi – al centro di una trama che non controllavo». Almeno fino a quando non entra in possesso della mappa gelosamente custodita da padre Luca, conosciuta dal padre Custode e nascosta dal frate cuoco, nella quale non è contenuta, come si pensava, l’ubicazione dell’Arca dell’Alleanza, bensì l’elenco dettagliato delle fonti d’acqua in Cisgiordania. «Fonti antichissime che se esistessero ancora – spiega padre Matteo – darebbero a chi le possiede forza e sicurezza. Nelle mani dei nostri Cugini del Muro renderebbero stabile il loro dominio sulla regione. In quelle degli Amici della Roccia garantirebbero la loro totale indipendenza dagli israeliani. Se il ventesimo secolo è stato il secolo del petrolio, il ventunesimo sarà quello dell’acqua. Chi la possiede diventa il suo custode e regola pace, guerra e ricchezza».

Da esperto e da appassionato della Terra Santa in cui ha ambientato altri romanzi e dove si è recato come giornalista, Franco Scaglia, per Il custode dell’acqua, si è ispirato alla figura reale dell’archeologo francescano padre Michele Piccirillo. Così, nel dramma, storia e finzione si intrecciano in modo da ritrarre la Terra Santa come un teatro del mondo e dell’animo umano con le sue inquietudini e il continuo conflitto tra bene e male. «Le religioni – dice padre Matteo – possono portare la discordia se la fede non è abbastanza profonda e non si accompagna al rispetto e alla tolleranza dell’altro. Io prego sempre che la conoscenza dei luoghi santi, la scoperta di nuovi tesori archeologici possa condurre gli uomini a conoscersi meglio e a conoscere sul serio il volto di Dio, che è un volto di compassione, di misericordia e di amore».

Il lavoro presentato quest’anno a San Miniato rimette al centro l’uomo con la sua dimensione anche spirituale, «l’essere umano – spiega il regista Maurizio Panici – con le sue responsabilità e la sua possibilità di favorire cambiamenti positivi e negativi, di operare consapevolmente per il Bene».

Passibile di qualche sfoltimento soprattutto nella prima parte, Il custode dell’acqua si è avvalso, oltre che della regia del rammentato Panici alla sua seconda esperienza consecutiva alla «Festa del teatro», dell’ottima interpretazione di tutti gli otto attori (Maurizio Donadoni, Renato Campese, Silvia Budri, Francesco Biscione, Carlo Simoni, Sergio Basile, Fabio Bussotti e Sandro Querci). Non è facile, infatti, che accanto al bravo Donadoni, che ha saputo ben miscelare il frate e l’archeologo, e al veterano Simoni (un nome, una garanzia) anche i cosiddetti (in questo caso ingiustamente) comprimari siano stati tutti all’altezza della situazione.

Padre Piccirillo, presente all’anteprima per la stampa, ha seguito con grande partecipazione tutto lo spettacolo, molto spesso in punta di sedia e senza battere ciglio.

«Oltre il muro», storie e dialoghitra israeliani e palestinesiFinalmente qualcuno «ha avuto il coraggio di superare i luoghi comuni e guardare in faccia la realtà». Parola del cardinale Carlo Maria Martini a proposito del libro di Giorgio Bernardelli Oltre il muro (edizioni L’Ancora del Mediterraneo, pp. 144, euro 12). Bernardelli, che è giornalista di «Avvenire», propone dodici storie di israeliani e palestinesi che hanno scelto la via dell’incontro nonostante il muro (non solo fisico) che corre sempre più altro tra loro e che ormai circonda tutti i territori della Cisgiordania. Un secolo si è chiuso con la caduta del muro di Berlino e il successivo si è aperto con la costruzione del muro di Gerusalemme, un gigantesco simbolo per separare, spezzare, chiudere, tagliare la comunicazione. Eppure, anche in questa terra lacerata c’è qualcuno che cerca di aprire varchi e brecce. Le donne e gli uomini incontrati da Bernardelli nel corso dei suoi viaggi in Terra Santa provano insieme a costruire un futuro diverso a partire dal dialogo. È «un atteggiamento – spiega il cardinale Martini, che da tempo vive a Gerusalemme – che non esito a definire evangelico, anche se nato al di fuori della tradizione cristiana».