Cultura & Società

Norina e i suoi 74 figli

di Antonella MontiE’ un pomeriggio assolato, a Nomadelfia è una domenica come tante altre, con ospiti in arrivo e partenza. Francesco, il mio contatto per l’intervista, è reduce da una serata nel modenese dove è stato presentato il film (uscito nel 2005) su Norina, un film che piace e che pochi conoscono perché fino ad oggi è stato proiettato solo a Ferrara, Grosseto, Carpi e Mirandola: «doveva venire anche Norina ma ieri sera non si sentiva troppo bene», racconta Francesco mentre mi accompagna nella casa dove lei vive attualmente.

Finalmente incontro Norina, arriva da un corridoio appoggiandosi a due stampelle, è piccola, tonda e accogliente come una nonna delle foto antiche e porta i lunghi capelli bianchi raccolti esattamente come nelle foto della sua gioventù. Ha già compiuto ottantaquattro anni e se le gambe l’hanno tradita la mente ancora no e lo ricorda anche ai giovani studenti che verranno a trovarla nello stesso pomeriggio dopo di me.

Norina è una donna pratica, se non lo fosse stata non avrebbe potuto fare tutto quello che ha fatto e le belle parole non la confondono più di tanto. Prima di sedersi per la nostra intervista conclude delle cose già in atto poi apre una porta e controlla alcuni giovani della famiglia che stanno seguendo una partita di calcio in tv e finalmente si siede sorridendo: «Io del calcio non capisco proprio nulla – dice – degli sport mi incuriosiscono solo le corse in Formula uno perché per me è davvero straordinario vedere come quasi sempre riescano a non farsi male anche in caso di incidenti». È ironica e serena e ormai abituata a dialogare con la gente; solo gli occhi dietro spesse lenti da vista tradiscono i suoi stati d’animo e si velano di pianto o brillano d’allegria secondo i tanti ricordi che affiorano alla sua mente.

Una vita, quella di Norina, con tante disgrazie, ma lei preferisce dire dolori, che però riesce a fugare quasi subito passando rapidamente agli scherzi da ragazzina, all’amore per la sua numerosa famiglia, a quei venti centesimi che il babbo le dava come paghetta e che mise da parte fino a fare una lira che per poco non perdeva a scuola. «E chi poteva pensare quando ero piccola che sarei diventata mamma di settantaquattro figli senza averne partorito nessuno!». Mamma di vocazione della prima ora a Nomadelfia, una vita vissuta al seguito di don Zeno nell’ex campo di concentramento di Fossoli prima e poi in Maremma, con le altre mamme di vocazione, fino alle prime famiglie di sposi che hanno accolto come figli loro i fanciulli abbandonati.

A fine 2002 è uscita l’autobiografia di Norina, duecento pagine scritte con disarmante candore che descrivono un mondo di grandi tragedie umane, di fatica nei campi, di miseria e orfani: eppure, quella piccola donna del modenese credeva nel mondo migliore pensato da don Zeno, un mondo che, all’epoca, pareva irrealizzabile ma che mamme come Norina, Irene, Maria Teresa, Zaira, Luisa e tante altre hanno reso possibile con la legge dell’amore.

Norina è del 1923, seconda di tredici fratelli in una famiglia contadina piena di valori cristiani: «sono stata fidanzata – racconta – ma don Zeno, all’epoca, credeva che fosse difficile per chi aveva già figli suoi trattare con lo stesso amore figli adottati e per questo preferiva che restassimo ragazze». Viene da chiederle come abbia potuto occuparsi di tanti bambini fin dalla più giovane età: «Certo non ho fatto corsi come si fa oggi per ogni cosa, io venivo da una famiglia numerosa e la pratica l’avevo già fatta sul campo, con i miei fratelli».

Norina lo sa che le mamme di oggi, pur lavorando fuori, si lamentano di non farcela a mantenere i loro figli, per questo ci ricorda che «si vive in un’era consumistica fatta di firme, belle case e ogni comodità ma non sono queste le cose necessarie per allevare dei bambini, basta l’amore».

«Io ho vissuto sedici anni alla Verna – racconta ancora – ero già mamma di vocazione ed eravamo così poveri che i miei figli non avevano neppure l’armadio per i loro poveri abitini così, ognuno di loro appoggiava la valigetta di cartone su una sedia e quando lavavo e stiravo i loro vestiti li riponevano lì, ognuno nella sua valigia e quello era il loro armadio. In montagna erano felici anche senza l’armadio, c’era l’aria buona e una sorgente d’acqua davvero speciale. Quando poteva mio fratello saliva su da me ad aiutarmi, era geniale e lo convinsi a scavare una piscina per i bambini. Poi, la foderammo con il naylon e lui si inventò un sistema per cambiare l’acqua senza troppo lavoro. Non racconto la felicità dei bambini… ricordo che dopo il bagno li mettevo tutti in fila, dopo aver insaponato la testa con lo sciampo li sciacquavo con la pompa: che risate, eravamo davvero contenti con poco!».

Nel suo libro Norina racconta tutta la sua vita e in fondo – sottolinea – «c’è il nome di tutti i miei figli che ho amato con la stessa intensità. Non c’erano scarpe allora e anche la domenica andavamo in ciabatte. Ricordo che tra i miei ragazzi c’era Tonino (è mancato l’anno scorso), a lui piaceva giocare a calcio ed era bravo, nel 1954 era capo cannoniere, e una domenica non andò a giocare. Io sapevo che era una partita importante così gli chiesi il perché e lui riuscì a dirmi che si vergognava ogni volta di arrivare al campo in ciabatte. Non dissi niente e andai di nascosto a vendere l’unico anello che avevo, ricavandone duemilacinquecento lire, giusto il prezzo di un paio di scarpe e un paio di calze. Tornata a casa, nascosi il pacchettino in fondo al letto di Tonino e non vi racconto la sua gioia».

A 21 anni Norina lasciò la famiglia per entrare nell’Opera Piccoli Apostoli fondata da don Zeno stesso.«Don Zeno era il mio parroco, era nella nostra parrocchia fin dal 1931. Sinceramente non avevo mai pensato di diventare “mamma di vocazione”, la mia amica più intima Irene lo era già da due anni e quando la domenica andavo a trovarla mi dispiaceva vederla così indaffarata, poi chiesi a Gesù di indicarmi bene cosa dovevo fare della mia vita e abbandonai l’idea del matrimonio. Quando mi fu chiaro cosa volevo fare, rivolsi a Gesù due suppliche: primo di non far andare in disperazione i miei genitori alla notizia della mia dipartita dalla famiglia, secondo di starmi vicino perché ero spaventata dall’idea di educare, proprio io che avevo fatto solo la quinta elementare! E il Signore, pur con i suoi tempi, – si ricordi, bisogna avere fede, Lui non ti aiuta come ti aspetti faccia, lo fa per altre vie – è arrivato e mi ha sempre aiutato».

Del libro «Norina-Mamma a Nomadelfia» lo stesso Remo Rinaldi, che ha curato la presentazione, ha detto fra l’altro: «A lettura ultimata mi sono chiesto: chi è Norina? È una ragazza che una mattina del 1944 abbandona casa e campi della sua famiglia e si fa madre di un gruppo di ragazzi di don Zeno, è una delle mamme di Nomadelfia. Norina non è una mamma, è il tipo di mamma che Nomadelfia offre. Nel senso che tutte le mamme di Nomadelfia, pur con la loro personalità, sono Norina. E allora, questo libro Norina lo ha scritto a nome e per conto di tutte le mamme di Nomadelfia. Donne prese di mira da Dio, in un angolo praticamente sconosciuto di terra benedetta e tormentata come quella modenese sul quale, Egli, aveva posato lo sguardo. Donne e madri di vocazione che non hanno resistito a Dio – “braccate da Dio” direbbe don Zeno – che le ha lanciate in un’avventura d’amore, per i figli dell’abbandono, totalmente gratuito, a volte incompreso, o addirittura travisato da una società cieca, assestata nel proprio egoismo o più semplicemente superficiale».

Fra i tanti messaggi giunti a Nomadelfia e alla sua straordinaria mamma per congratularsi del lavoro autobiografico, si legge: «Questa Norina è un’istituzione, tutte le sere leggo il libro» (un pediatra di Grosseto). «Nel leggere le sue “imprese” mi sono commossa, chi lo legge rafforza la propria fede» (Maria Prandi-Mirandola). «È la risposta ai tanti mali della famiglia di oggi, verso quelli che rifiutano i figli o peggio li gettano nella spazzatura» (Vando Rossi-Milano) e infine «Queste mani devono essere baciate per i tanti culetti lavati» (una mamma di Cremona).