Cultura & Società

Un mondo di carta per fare memoria

di Valeria Novembri

Si apriranno il 28 febbraio le celebrazioni del 150° anniversario dell’Archivio di Stato di Siena, istituito dal granduca Leopoldo II nel 1858. La cornice prestigiosa e solenne del Palazzo Piccolomini, che si affaccia sulla Piazza del Campo, ha ospitato fin dal 1862 il pubblico dei tenaci indagatori di documenti e materiali d’archivio. Si tratta di una vera e propria reggia: attualmente tra uffici, sale aperte al pubblico, laboratori e, soprattutto, depositi, l’Archivio occupa ben 108 stanze del Palazzo.

Il 2008 rappresenta dunque l’occasione per disvelare a un pubblico ancora di più vasto le ricchezze dell’Istituto senese, attraverso una serie di presentazioni, mostre e convegni volti a mettere in luce sia la storia dell’Archivio sia il suo ricchissimo patrimonio, anche artistico.

Custodisce infatti documenti che vanno dal 736 agli anni ’50 del XX secolo, senza conoscere intervalli, o quasi: le grandi raccolte di documenti, che cominciano nella Siena comunale, continuano nella maggior parte dei casi per cinque secoli.

Archivisti, storici dell’arte, docenti e studiosi saranno dunque chiamati a ripensare il percorso affrontato fino ad oggi e ad indicare le prospettive dell’archivistica moderna, nel suo rapporto con le nuove tecnologie, la conservazione e la tutela dei beni librari. Grazie soprattutto alle mostre anche il pubblico dei non addetti ai lavori potrà conoscere e ammirare i tesori dell’Archivio di Stato di Siena, e in particolare la collezione di quelle 105 Biccherne – le copertine in legno dei libri dei conti – cui l’Archivio ha deciso di dedicare una mostra permanente, a ingresso gratuito. Realizzate dal 1258 al XVIII secolo, divennero pian piano veri e proprio quadri: la loro collocazione all’interno dell’Archivio vuol porre l’accento sulla loro origine come semplici registri contabili, da conservare appunto negli archivi. E documenti d’archivio antichissimi e preziosi sono poi esposti nelle sale della mostra documentaria: scelti tra gli altri o perché ornati da splendide miniature, oppure per le loro testimonianze su grandi stanti senese, Caterina e Bernardino, o sulla più celebre tradizione senese, il Palio.

Da qui a dicembre, dunque, Siena si interroga sul futuro senza dimenticare il passato, ma anzi con la consapevolezza che conservare e fare memoria, grazie agli archivi, è il modo migliore per guardare avanti.

Il programma delle manifestazioni senesi

Giovedì 28 febbraio (ore 10,30-17)Sala convegni dell’Archivio di Stato, Palazzo Piccolomini, Siena: I Centocinquant’anni dell’Archivio di Stato di Siena: direttori e ordinamenti. Interventi di G. Catoni, C. Zarrilli, P. Turrini, M.R. de Gramatica, P. Nardi, A. Romiti.Giovedì 10 aprile (ore 16)Sala convegni dell’Archivio di Stato, Presentazione del volume: ARCHIVIO DI STATO DI SIENA, Le pergamene delle confraternite nell’Archivio di Stato di Siena (1241-1785). Regesti a cura di Maria Assunta Ceppari Ridolfi, Siena-Roma 2007. Marco Ciampolini illustra la mostra dedicata alle pergamene miniate delle confraternite.Giovedì 22 maggio (ore 9,30 -17,30)Sala convegni dell’Archivio di Stato, La Geografia in Archivio: percorsi di ricerca nelle fonti cartografiche dell’Archivio di Stato di Siena. Con la partecipazione di A. Guarducci, C. Greppi, M. Quaini, L. Rombai, L. Rossi. Lunedì 15-mercoledì 17 settembre (9,30-19,30)Sala convegni dell’Archivio di Stato, Convegno nazionale di studi su La documentazione degli organi giudiziari nell’Italia tardo-medievale e moderna.Giovedì 30 ottobre (ore 16)Sala convegni dell’Archivio di Stato, Presentazione del volume: Guida sintetica del Museo delle Biccherne e della Mostra documentaria, (Viterbo 2008).Giovedì 20 novembre (ore 15,30)Sala convegni dell’Archivio di Stato, Il Caleffo dell’Assunta. Interventi dei funzionari dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, di P. Cammarosano, G. Chironi, A. Giorgi.Giovedì 11 dicembre (ore 15,30) Sala convegni dell’Archivio di Stato, L’Archivio di Stato di Siena verso il futuro. Con interventi di D. Grana, M.A. Ceppari, F. Valacchi.Giovedì 18 Dicembre (ore 17)Concerto di chiusura a cura dell’Accademia Musicale Chigiana. E i primi archivisti furono i popoli mesopotamiciGli Archivi, regolarmente tenuti e conservati, sono un tesoro per le Nazioni e non vi è governo, Municipio né privato… che non ponga a disposizione qualunque somma in questo rapporto, imperocché negli Archivi si conosce il passato, si ha la storia del fatto dell’Uomo, la Scuola fondata sull’esperienza per il viver futuro». Così si esprimeva un addetto ai lavori a metà Ottocento, ribadendo la necessità degli archivi per la conoscenza della storia e per la buona amministrazione degli stati. Ma a quando risale l’esigenza, tipicamente umana, di catalogare, ordinare e conservare i documenti, di dar forma e disciplina alla memoria, privata o collettiva, che è alla base della creazione di un archivio? Pare che si tratti di una necessità antica quasi quanto la scrittura. Risalgono infatti a quasi 4000 anni fa i primi archivi, allestiti dai popoli dell’area mesopotamica con la raccolta di documenti e ricevute tributarie incisi in alfabeto cuneiforme su cilindri e tavolette d’argilla. Assiri e Babilonesi erano celebri per i loro archivi: ben lo sapevano gli Ebrei, che se ne avvalsero per sollecitare il re Dario a ricostruire il Tempio di Gerusalemme distrutto da Nabuccodonosor. Il suo predecessore Ciro ne aveva accordata la riedificazione: era sufficiente controllare negli archivi del re, a Babilonia, per verificare. Detto fatto: il ritrovato editto di Ciro dette l’avvio ai lavori di ricostruzione.

In seguito «archivio» diverranno le stesse Scritture ebraiche: i cristiani dei primi secoli scorrevano freneticamente i libri dell’Antico Testamento, quale deposito prezioso di leggi e promesse concesse da Dio al suo popolo, alla ricerca di passi profetici che annunciassero la venuta di Cristo.

La sacralità dei documenti ufficiali, tramite i quali ogni civiltà consegna la propria immagine alla storia, era d’altronde elemento comune ai popoli antichi: i Romani depositavano annali, decreti del Senato, leggi, atti pubblici e diplomi nei templi, sotto la custodia di sacerdoti e pontefici. Solo in un secondo momento, nel I sec. a.C., fu creato un edificio apposito, il Tabularium, adibito alla conservazione degli atti pubblici e privati, prototipo degli odierni Archivi di Stato. I suoi resti imponenti, sui cui si innalza il Palazzo Senatorio, sono ancora oggi visibili sul Campidoglio, dal lato che si affaccia sul Foro.

La razionalizzazione e la centralizzazione nell’amministrazione dello Stato avevano i loro vantaggi, consentivano un maggior controllo del territorio: non a caso Pietro Leopoldo di Lorena , nel suo slancio riformista, volle raccogliere nel nuovo Archivio Diplomatico tutte le carte degli uffici centrali e periferici del Granducato. Era il primo passo verso la creazione dell’Archivio di Stato, che sorse a Firenze nel 1852 e che dopo l’Unità d’Italia ogni capoluogo di provincia avrebbe dovuto ospitare. In realtà, ancora oggi, delle 103 sezioni previste in Italia sono stati attivate soltanto 99. Le province toscane sono tutte sede di Archivio di Stato e proprio in questi giorni Siena festeggia il 150° anniversario della sua istituzione.

Vere miniere per storici e studiosi, gli Archivi di Stato racchiudono tesori e curiosità insospettabili: proprio l’Archivio di Stato di Siena ad esempio conserva, oltre a documenti estremamente rari come il testamento di Boccaccio, una raccolta di unità di misura dal XVI al XIX secolo e le celebri Biccherne, una collezione di 105 tavolette di legno dipinte usate come copertine dei registri dei conti della Biccherna, l’ufficio delle finanze del Comune di Siena, e di altre magistrature senesi. Una straordinaria testimonianza del fatto che persino i libri contabili, al pari degli archivi, possono svelare tesori d’arte e di storia.

V. N.

Gli archivi parrochhiali: dagli «stati d’anime»tanti squarci di vita quotidiana

di Rossella Tarchi

Nell’ambito degli archivi ecclesiastici un ruolo non secondario è svolto da quelli parrocchiali. Sono i luoghi della memoria della vita della Chiesa, quella fatta dalla gente comune, dalle popolazioni cittadine e rurali di una determinata area geografica. Negli archivi parrocchiali troviamo spesso l’unica testimonianza della storia delle famiglie, anche di quelle più povere e sfortunate. È nell’ambito della Chiesa che si impone, dal Concilio di Trento in poi, di tenere con regolarità e sistematicità i registri dei battesimi (solo nelle pievi), matrimoni, morti e degli «stati d’anime» ovvero quell’elenco degli abitanti di una parrocchia che il parroco era tenuto annualmente a compilare e ad aggiornare, spesso indicando anche le professioni dei capofamiglia. Il vescovo, durante le sue visite pastorali, era particolarmente attento che i registri parrocchiali fossero aggiornati e tenuti secondo le prescrizioni dettate nei sinodi.

Anche le autorità civili avevano provveduto a compilare dei censimenti della popolazione, ma questo avveniva con minore regolarità ed era finalizzato a obiettivi di natura fiscale e militare, raramente conoscitiva. A Firenze, ad esempio, nel 1427, il Comune stabilì di riformare il proprio sistema di raccolta tributi: ogni capofamiglia avrebbe dovuto presentare una dichiarazione in cui elencava proprietà immobiliari, debiti, crediti e componenti il nucleo familiare. A questo sistema di tassazione venne dato il nome di Catasto e le informazioni raccolte venivano utilizzate dagli impiegati del Comune per calcolare le tasse dovute. Ma i registri parrocchiali anagrafici, oltre che più capillari (anche le chiese più sperdute li tenevano) e aggiornati, sono anche molto più ricchi di informazioni. Da quelle pagine si viene a conoscenza dei nomi, delle età, dei mestieri, di come erano composti i nuclei familiari, della moralità delle singole persone. E se il parroco che faceva le registrazioni era particolarmente attento e preciso ecco che si aprono veri squarci sulla vita quotidiana. Si viene a conoscenza, ad esempio, delle cause di morte violente, da quelle avvenute per annegamento, a quelle per una brutta caduta da cavallo, a quelle per omicidio, e – ancora – di morti per malattie strane, scatenate magari da una semplice puntura di insetto, o di quelle di bambini nati e morti per malformazioni. Un dato che oggi può sorprendere è quello dell’altissima mortalità infantile: la tragedia della morte di un figlio toccava la gran parte delle famiglie purtroppo anche in maniera ripetuta e ravvicinata nel tempo, così come assai frequente era la morte per parto della mamma. Una «quotidianità» con la morte che oggi ci spaventa e facciamo fatica a comprendere.

Come i libri anagrafici anche altre tipologie di libri parrocchiali sono fonti privilegiate per lo studio del nostro passato. Un libro di notevole rilevanza storica è quello dei «Ricordi», o «Chronicon» dove il parroco riportava con costanza e fedeltà fatti personali, resoconti di carattere economico, inventari di beni, fenomeni atmosferici e naturali straordinari o terribili, dalle saette ai terremoti, dalle grandinate dai chicci grandi come un uovo, alle alluvioni. In alcuni casi – molto dipendeva dalla sensibilità del parroco – sono vere e proprie narrazioni che offrono uno spaccato di vita di straordinaria ricchezza. E ancora i documenti più prettamente economici che ci parlano di terreni, di locazioni, delle spese sostenute per l’ampliamento e le ristrutturazioni architettoniche, di commissioni di opere d’arte; o di documenti di rilevanza sociale che gettano luce sulla formazione di compagnie laicali, di scuole di catechismo, di aggregazioni giovanili, di lasciti, di benefici.

Questo patrimonio, seppur in parte perduto a causa delle vicissitudini storiche come alluvioni e guerre, ma anche per l’incuria e poca considerazione da parte di qualche parroco, è oggi un patrimonio più che mai da conservare e custodire con attenzione. Con lo spopolamento delle campagne e la conseguente soppressione di tante parrocchie rurali, tanti piccoli archivi sono stati dispersi. In altri casi, fortunatamente, sono stati trasferiti alle parrocchie più vicine. Sarebbe auspicabile che, nell’impossibilità di unificare in un solo archivio – magari zonale – il materiale prodotto nei secoli dalle varie chiese, quantomeno ogni parrocchia predisponesse un locale idoneo alla conservazione e tutela di un patrimonio unico che parla delle nostre radici.