Dossier

Costituzione e libertà religiosa, aspetti contrastanti

A CURA DI DANIELE ROCCHILo scorso 28 agosto, i delegati sciiti e curdi, nonostante l’opposizione sunnita, hanno presentato all’assemblea nazionale irachena la versione definitiva della bozza della nuova costituzione del Paese. Una carta, che nelle intenzioni dei suoi estensori, dovrebbe favorire la rinascita politica e sociale dell’Iraq e la sua democratizzazione. Il testo sarà sottoposto a referendum popolare per l’approvazione da tenersi entro il 15 ottobre.

La Carta non ha suscitato particolare soddisfazione nella minoranza cristiana, che teme l’introduzione della sharia come fonte del diritto. Ne abbiamo parlato con SILVIO FERRARI, docente di diritto ecclesiastico e canonico all’università di Milano ed esperto di diritto islamico.

Cosa pensa della nuova Costituzione irachena?

«La nuova costituzione irachena si ispira a due principi diversi ed è tutto da dimostrare che essi possano venire armonizzati. L’art.2 mostra chiaramente questa contrapposizione: esso afferma che non potrà essere approvata alcuna legge che sia contraria alle norme islamiche ed ai principi della democrazia». Cosa succede, allora, se norme islamiche e principi della democrazia dicono cose diverse?

«La democrazia vuole che i cittadini abbiano uguali diritti e doveri mentre, per fare un solo esempio, il diritto islamico confina i non musulmani in una posizione di inferiorità. Detto questo, va riconosciuto che la nuova costituzione irachena presenta alcuni elementi positivi ed innovativi».

Quali sono?

«In particolare essa esclude qualsiasi coercizione in materia religiosa (art.35) e assicura non soltanto la libertà di professare e praticare la propria religione ma anche l’autonomia delle comunità religiose nel governo dei propri affari (art.40). Questi diritti sono riconosciuti con una forza e chiarezza che non sempre ricorre nelle costituzioni degli altri Paesi musulmani».

Viene, dunque, riconosciuta la libertà e l’uguaglianza religiosa dei cittadini?

«Ciò non significa che siano riconosciute pienamente, nei termini che sono consueti nei Paesi occidentali. Ci muoviamo infatti nel quadro di uno Stato in cui “l’Islam è la religione ufficiale (…) e una fonte fondamentale del diritto” (art.2). Coerentemente con questa premessa, la libertà di religione trova un limite nell’affermazione che “la costituzione garantisce l’identità musulmana della maggioranza del popolo iracheno” (art.2). Si tratta di un modello abbastanza ricorrente nei Paesi islamici, dove la libertà religiosa è garantita finché non pone in pericolo la religione musulmana».

E cosa può rappresentare questo pericolo?

«Il punto dove questo pericolo si fa concreto e limita la libertà religiosa non è uguale in tutti i Paesi: in alcuni i non musulmani possono praticare la propria religione soltanto in privato; in altri possono avere le proprie chiese ma non, per esempio, proprie scuole (ma in Iraq gli art.31 e 34 della nuova costituzione riconoscono il diritto di aprire ospedali e scuole private); in altri ancora vi è maggiore tolleranza per le iniziative sociali dei non musulmani. La tradizione dell’Iraq era abbastanza liberale, ma non è detto che sia mantenuta in futuro».

Le chiese cristiane presenti in Iraq temono l’introduzione della Sharia. E’ una paura giustificata?

«La norma che ha suscitato maggiore allarme è il riferimento all’Islam come fonte fondamentale del diritto: essa ha fatto pensare che anche i non musulmani potessero essere soggetti alla sharia. In senso indiretto ciò è vero: l’intera legislazione dovrebbe infatti ispirarsi ai principi della sharia. Ma ciò non significa che in materia di statuto personale e diritto di famiglia i cristiani saranno soggetti al diritto musulmano: l’art.39 della costituzione stabilisce infatti che “gli iracheni sono liberi di aderire allo statuto personale corrispondente alla loro religione, confessione, convenzione e scelta e ciò sarà disciplinato dalla legge”. Anche in materia penale l’applicazione della sharia sembra preclusa dalle norme costituzionali che tutelano l’integrità e la dignità della persona».