Dossier

Economia di comunione, speranza per il futuro

di Andrea FagioliConfetture sciroppate, olio e vino, aceto balsamico, rubinetti e ricambi per auto, arredamenti e tendaggi, servizi telematici e impianti di riscaldamento: c’era un po’ di tutto a rappresentare le aziende che a Loppiano (la cittadella internazionale dei Focolari sulle colline che dominano la valle dell’Arno a monte di Firenze) hanno dato vita alla «Prima expo delle aziende italiane di economia di comunione». Si sono ritrovate in 58, nel fine settimana scorso al Terraio del Gen Rosso, ma il numero complessivo delle realtà imprenditoriali che in Italia aderiscono al progetto di Chiara Lubich supera le 250 unità.Accanto all’esposizione, due giorni di convegno per approfondire e rilanciare l’iniziativa che intende abbinare lo sviluppo dell’impresa con l’attenzione alle persone in difficoltà (a partire dai poveri e dai disoccupati) e alla «cultura del dare».

Accolta da un lunghissimo applauso e «protetta» dai suoi fedelissimi, è stata Chiara Lubich stessa ad aprire i lavori del convegno presso il Salone San Benedetto, che rappresenta una delle principali strutture, oltre il College, nell’ampio territorio di Loppiano dove sta per sorgere anche una grande chiesa dedicata a Maria Theotokos.

Ma che cos’è che caratterizza l’Economia di comunione? «Gli aspetti sono tanti – risponde la fondatrice dei Focolari –, ma uno li supera tutti: il fatto che essa non è tanto opera umana, ma di Dio, che la concretizza attraverso circostanze e strumenti. Nel caso dell’Economia di comunione la prima circostanza, offertaci da Dio, è conosciuta.Avevamo visitato più volte la città di San Paolo in Brasile – racconta Chiara Lubich –, ma, un giorno del 1991, l’abbiamo vista in quel suo paradosso, che ci ha fortemente impressionato e scandalizzato: una selva di grattacieli, regno dei ricchi, con, attorno, corona di spine, un’infinità di favelas, regno dei poveri. Una circostanza, un paradosso, attraverso il quale Dio chiamava anche noi a fare qualcosa. Per quanto riguarda gli strumenti che il Signore suscita, nel caso dell’Economia di comunione, sareste soprattutto voi – ha spiegato la Lubich rivolta ai 700 imprenditori che gremivano la sala –. Ma solo ad un patto: che non voi agiate, non voi vi dedichiate, ma che lasciate Gesù operare in voi. Solo Egli, infatti, è capace di fare un’opera che possa dirsi “di Dio”».

È di attualità l’Economia di comunione? È intonata con il nostro tempo? «Si può rispondere – dice l’ideatrice del progetto – dando un’occhiata a ciò che emerge oggi nel mondo. In questo villaggio globale, che è il nostro pianeta, dopo l’11 settembre 2001, si è scoperto, fra altri guai, un grande, enorme pericolo: il terrorismo. Non è una guerra come le altre, perché esse – ne abbiamo tutt’oggi circa 40 sul pianeta – sono in genere frutto dell’odio, del malcontento, delle rivalità, di interessi personali o collettivi. Il terrorismo invece, come ha affermato Giovanni Paolo II, è frutto anche di forze del Male con la M maiuscola. Ora, forze di questo tipo non si combattono con soli espedienti umani, diplomatici, politici e militari. Necessitano forze del Bene con la B grande e il Bene con la B maiuscola è – lo sappiamo – Dio, e ciò che Lo concerne. Si combatte, dunque, con forze spirituali, come la preghiera. Ma, ci sembra di dover dire che essa non basta. Noi sappiamo che molte sono le cause del terrorismo, ma una, la più profonda, è l’insopportabile sofferenza di fronte a un mondo mezzo povero e mezzo ricco, che ha generato e genera risentimenti covati negli animi da tempo, violenza e vendetta».

Per combattere il terrorismo ci vuole pertanto «più parità, più uguaglianza, più solidarietà e più comunione di beni. Ma i beni non si muovono da soli, non camminano da sé. Soltanto se si lavora ad un’opera di fraternità, di fratellanza universale, riusciremo a convincerci e a convincere ad iniziare a mettere in comune anche i beni. Noi vogliamo – dice Chiara Lubich – l’amore a base di ogni nostra attività. Come pure dell’Economia di comunione. Perché in essa le finalità stesse dell’utile sono ispirate dall’amore, sono amore concreto. Come la parte dell’utile che serve all’azienda stessa perché viva e possa dare ancora. Come quella con cui si aiutano i bisognosi finché trovano una fonte per il proprio sostentamento. Come quella destinata a strutture per formare uomini nuovi, gente che sappia dare, come il Vangelo insegna. Economia di comunione, che è se stessa se l’amore è onnipresente. Economia di comunione dove ci si sforza di amare i dipendenti, i clienti, i fornitori, i concorrenti; dove anche lo Stato si ama, perché si osserva la legalità; e anche la natura si ama, perché ci si impegna a salvaguardarla. Dove ci si deve amare anche fra responsabili delle diverse aziende, per sostenerci, incoraggiarci e supplire a ciò che manca a qualcuno».

Vera Araujo, sociologa brasiliana, del Centro studi del Movimento dei Focolari, è poi intervenuta sulla nascente realtà dei poli imprenditoriali legati all’Economia di comunione. Ha ribadito che lo scopo dei poli è «dare visibilità al progetto Economia di comunione, radunando in uno stesso luogo più aziende che vi aderiscono in modo che si veda il progetto, cioè le aziende materialmente, ma soprattutto si veda il senso della famiglia, l’amore, l’unità, la comunione. Il polo diventa così un punto di riferimento ideale e materiale insieme».

Presente al convegno, tra gli altri, l’economista Stefano Zamagni, che nel suo intervento ha voluto sottolineare come ormai l’Economia di comunione sia una realizzazione concreta, non utopica, supportata anche da un’avviata riflessione teorica, autentica base di una nuova teoria economica. Un passo fondamentale da compiere, quello dell’approfondimento teorico, secondo Zamagni, per dare diffusione al progetto non solo nel mondo del lavoro ma anche negli ambienti accademici.

Nell’Economia di comunione sta dunque, a giudizio del Movimento dei Focolari ma non solo, la speranza per il futuro. «Una luce in mezzo alle tenebre, per quanto piccola sia, si vede anche da lontano – dice Chiara Lubich –. Che il Signore pertanto continui a benedire il nostro Movimento, l’Economia di comunione e tutti noi, perché col Suo aiuto si può sognare l’impossibile».

Un progetto nato tra la miseria del BrasileIl progetto «Economia di comunione» è nato nel 1991, in Brasile, da una intuizione di Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, per la quale «a differenza dell’economia consumistica, basata sulla cultura dell’avere, l’economia di comunione è l’economia del dare». Oggi il progetto è attuato nei cinque continenti da 778 aziende (255 solo in Italia). Gli imprenditori che liberamente vi aderiscono, oltre ad incrementare lo sviluppo della propria azienda, decidono di mettere in comunione una parte dei profitti per aiutare le persone in difficoltà e diffondere la «cultura del dare», che modifica i comportamenti economici coniugando efficienza e solidarietà. Il progetto ha avuto una eco immediata e grande è stato l’interesse sul piano teaorico: sono circa un centinaio le tesi discusse in varie università; numerosi i congressi promossi da atenei e organizzazioni nazionali e internazionali in vari Paesi del mondo.

Per dare visibilità al progetto, sta nascendo il polo imprenditoriale «Lionello Bonfanti», nei pressi della cittadella del Movimento dei Focolari, a Loppiano (Incisa Valdarno). Il polo Bonfanti (dal nome di colui che per 15 anni a Loppiano è stato il corresponsbaile dei rapporti con le istituzioni) ospiterà nuove attività produttive e sarà un punto di convergenza per le aziende che a livello italiano già aderiscono al progetto e che in parte, una sessantina, hanno appena dato vita il 17 e 18 maggio alla «Prima expo aziende italiane di economia di comunione».

Il sito del Movimento Focolari

Un sito sull’economia di comunione