Italia

Betlemme, la solidarietà della Toscana

dall’inviatoANDREA FAGIOLI

La strisciata di sangue è ancora evidente. I francescani hanno ripulito dappertutto (e c’è da immaginarsi in quali condizioni fossero gli ambienti dopo un bivacco di oltre 200 persone per 39 giorni), ma lì, sul tetto del convento, non ci sono ancora arrivati. Lì restano i segni più drammatici della battaglia che si è combattuta a Betlemme dentro e intorno alla Basilica della Natività, alla chiesa di Santa Caterina, al convento francescano e all’ostello di Casa Nova. Padre Ibrahim Faltas, che ci conduce nella visita ai luoghi dell’assedio, spiega dov’erano sistemati e come vivevano i palestinesi rifugiati. Ci mostra innanzitutto la porta da dove sono entrati: quella che introduce nel chiostro e quindi nella chiesa parrocchiale di Santa Caterina. I vetri sono stati cambiati, ma nella parte metallica sono rimasti i fori dei proiettili. Si sale nella sala parrocchiale completamente distrutta e poi all’interno di Casa Nova, segnata dalle raffiche. Un proiettile è ancora conficcato in un forno della cucina. Si risale verso il convento e attraverso la chiesa di Santa Caterina (colpita in più punti) si entra nella Basilica della Natività. Tutto è stato rimesso a posto, ma nei giorni dell’assedio ogni angolo era stato occupato.

Padre Ibrahim ci tiene a dire che i frati sono sempre stati nel mezzo, nel senso letterale per come sono andati i fatti, ma anche perché si sono sempre adoperati per la pacificazione. «La custodia dei luoghi santi passa avanti agli israeliani ed ai palestinesi. Abbiamo aiutato tutti e due – dice il frate francescano –: non eravamo da una parte contro l’altra, eravamo mediatori di pace». Ammette di avere avuto un ruolo fondamentale quando dice «che non potevano far uscire un morto o un ferito senza di lui», ma per modestia nega di aver fatto qualcosa di straordinario che non fosse il suo dovere.

Dalle strutture del convento e della Basilica non si può uscire, ma la delegazione toscana ed in particolare il piccolo gruppo di Pratovecchio, guidato dal sindaco Angiolo Rossi, quasi si commuove nell’intravedere una parte delle strutture del «St. Francis Millennium Center», il grande complesso nel cuore di Betlemme in avanzata fase di costruzione grazie al sostegno di tante realtà italiane: dalla Conferenza episcopale italiana alle diocesi della nostra regione, ai comuni toscani di Montevarchi e dello stesso Pratovecchio gemellati con la città palestinese. Il «St. Francis Millennium Center» sorge nei pressi della Natività. Il progetto è imperniato intorno alla «Millennium Hall», destinata ad incontri fino a 5 mila persone, mentre il dislivello con la soprastante Piazza Millennium sarà raccordato con un edificio a gradoni detinato a Centro di spiritualità farncescana. Un’altra parte della struttura sarà invece destinata al «Museo della vita e del lavoro ai tempi di Gesù». Ed è proprio quest’ultima ad aver riportato i danni maggiori, anche se non è stato possibile verificarli per l’impossibilità di entrare sulla piazza ancora assediata dai carri armati israeliani. La speranza è quella di poter riprendere al più presto i lavori, anche perché sarebbe l’unico cantiere aperto a Betlemme.

Intanto, in Toscana, domenica 16 giugno a Pratovecchio, nel corso della Festa della famiglia, sarà ufficializzata la proposta di candidare i frati e le suore di Betlemme al premio Nobel per la pace, mentre padre Ibrahim riceverà un riconoscimento a San Miniato dove martedì 17 sarà presentato un volume sul francescano archeologo padre Bellarmino Bagatti. Inoltre l’Unicoop Firenze, che nel Natale scorso ha acquisto dagli artigiani di Betlemme presepi per 60 milioni di lire, sta ora trattando per acquistarne dieci volte di più per il Natale prossimo (oltre 300 mila euro). Infine, il vescovo Cetoloni invita a riprendere i pellegrinaggi: «Si può e si deve – dice –, magari a Gerusalemme e in Galilea, in attesa che migliori la situazione a Betlemme».

Quattro strutture una accanto all’altraPer capire cos’è successo durante l’assedio alla Natività di Betlemme, bisogna sapere che attigua alla Basilica al cui interno è conservata la Grotta c’è la chiesa parrocchiale di Santa Caterina, affidata ai francescani, il cui convento è a sua volta attiguo alla chiesa. Inoltre, attiguo al convento c’è l’ostello francescano di Casa Nova. Si tratta quindi di quattro strutture una accanto all’altra e tutte collegate fra di loro attraverso passaggi interni. Non a caso, il 2 aprile scorso, i palestinesi sono entrati forzando la porta che dà sul chiostro della chiesa di Santa Caterina e da lì sono passati all’interno della Basilica, che tra l’altro è gestita dai greco-ortodossi. Solo in un secondo momento, quando gli israeliani hanno sfondato la porta del convento ortodosso, i palestinesi si sono rifugiati anche nel convento dei francescani. In quella circostanza i frati si sono trovati tra due fuochi e la loro mediazione ha evitato una carneficina.

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