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CEI, MONS. BETORI: LA NOTA SULLA FAMIGLIA ESPRESSIONE DI UNA COLLEGIALITÀ REALE E SOSTANZIALE

L’iter della “Nota a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio e di iniziative legislative in materia di unione di fatto” è frutto di “una forma di collegialità reale e sostanziale” che si è verificata tra i vescovi italiani, i quali nel votarla si sono espressi tutti a favore del documento (salvo un astenuto). A dichiararlo ai giornalisti è stato oggi mons. Giuseppe Betori, segretario generale della Cei, illustrando il comunicato finale del Consiglio episcopale permanente (Cep). “C’è una collegialità formale – ha precisato Betori, rispondendo alle domande della stampa – e una collegialità più di fondo, per cui il presidente della Cei non fa altro che far sintesi di un sentire diffuso tra i vescovi”. Nel caso dei pronunciamenti recenti in tema di famiglia, “gli interventi dei vescovi andavano tutti nella stessa direzione”, ha fatto notare Betori, “e così non è stato difficile arrivare alla stesura della Nota, largamente condivisa dai vescovi”. “Molta continuità”, dunque, nell’assise episcopale: “L’idea che il Consiglio permanente non parlasse era in realtà una mitologia”, le parole del segretario della Cei, che ha ricordato come sia proprio il Cep il “titolare di questo tipo di Note”, e non l’assemblea generale.

Un documento “non modificato nella sostanza”, “dalla formulazione un pò diversa” rispetto alla stesura iniziale, ma senza “cambiamenti rilevanti dal punto di vista dei contenuti”. Così Betori ha definito la Nota dei vescovi sulla famiglia, il cui fine – ha ricordato – è quello di “dire le ragioni sociali e culturali per cui la famiglia fondata sul matrimonio va difesa, e le ragioni per cui occorre non dare approvazione a tutte quelle soluzioni legislative che possono mettere in dubbio questa unicità, con riferimento ad espressioni del magistero della Chiesa”. Interrogato in merito agli eventuali diritti civili delle coppie gay, Betori ha risposto: “Va oltre le nostre competenze, non vorremmo entrare nell’attribuzione dei diritti. Abbiamo sempre detto che per salvaguardare l’unicità della famiglia fondata sul matrimonio, bisogna dare eventuali risposte a bisogni o necessità delle persone, non delle coppie”. “Non spetta a noi dare indicazioni legislative”, ha aggiunto: “Possiamo giudicare le proposte, che quando tendono a dare una soggettualità alle coppie che mettono in pericolo l’unicità del matrimonio, vanno rigettate. Occorre utilizzare strumenti di natura privata, non arrivare ad una legge organica”.

Il “Family day”, in programma a Roma il 12 maggio, “è un’espressione autonoma dell’associazionismo laicale cattolico, ma i vescovi la condividono e la sostengono nelle forme più appropriate”. Interpellato dai giornalisti, mons. Betori ha ribadito che in piazza San Giovanni “non è prevista alcuna partecipazione dei vescovi”, anche se questi ultimi sono “contenti” che “questa volta i vescovi non siano i soli a parlare, cosa di cui vengono spesso rimproverati”. Se la Cei ha già dato “indicazioni” ai presidenti delle Conferenze episcopali regionali dicendo loro che “si tratta di un’espressione del laicato”, il fatto che i vescovi non scenderanno in piazza non significa però – ha precisato il segretario generale della Cei – che “possono impedire ai parroci, ad esempio, di accompagnare i loro fedeli laici”.

Il dibattito nell’opinione pubblica, in Italia, spesso “prende come riferimento solo il titolo di un’agenzia”, quasi mai si va a leggere “la fonte reale, cioè l’intero testo”, con il risultato di creare “indebite pressioni”. A denunciare un malvezzo tipico del panorama mediatico italiano è stato oggi mons. Giuseppe Betori, segretario generale della Cei. Rispondendo ai giornalisti sulle recenti affermazioni del presidente della Cei, mons. Angelo Bagnasco, da Genova in merito alla famiglia – travisate da alcuni media – Betori ha osservato: “Il lavoro del giornalista è quello di sintetizzare, un lavoro che poi deve tradursi in un titolo che richiami l’attenzione. Questo è valso anche in questo caso. Ciò che dispiace è che il dibatto prenda come riferimento solo il titolo di un’agenzia: ciò crea indebite pressioni sull’intera esposizione”. Al contrario, la denuncia di Betori, quasi nessuno “va a leggersi la fonte reale, cioè l’intero testo che è stato pronunciato”. Nel testo in questione, il presidente della Cei – ha puntualizzato il segretario generale – intendeva ribadire che “ogni riferimento etico ha bisogno di un fondamento antropologico”, non può essere “il frutto di una maggioranza”.

Sir

Cei, Nota su famiglia e iniziative legislative su unioni di fatto