Italia

Carpi, la prima chiesa prefabbricata

Suonano le campane mentre una lieve brezza porta all’olfatto l’odore del legno. Non esita a definirla un “miracolo” il vescovo di Carpi, mons. Francesco Cavina. È la nuova chiesa parrocchiale di Novi di Modena, tutta in legno, dedicata alla Beata Vergine Maria Stella dell’evangelizzazione e al beato Giovanni Paolo II, realizzata per iniziativa di Telepace e inaugurata questa mattina. “Vivo compiacimento” è stato espresso da Benedetto XVI “per il generoso ed efficace impegno e per la significativa realizzazione dell’importante luogo di culto”, insieme a “una benedizione apostolica speciale” estesa “alla cara popolazione duramente provata dal recente sisma”, in un messaggio a firma del sostituto alla Segreteria di Stato vaticana, mons. Angelo Becciu. Poco prima, a Carpi, mons. Cavina aveva celebrato la solennità dell’assunzione di Maria nella pieve di Santa Maria in Castello, detta “la Sagra”, la chiesa più antica della città, riaperta appena tre giorni fa.

Il ritorno alle radici. “Finalmente il bilancio di sole tre chiese rimaste, fatto all’indomani del terremoto, è superato”, osserva mons. Cavina al Sir, al termine della messa nella nuova chiesa di Novi. Poco prima, davanti ai fedeli che stipavano l’edificio (in grado di ospitare 250 persone) mentre altri seguivano la celebrazione dal piazzale antistante, il presule aveva espresso la sua “gioia per quello che stiamo vivendo oggi”, ammettendo: “Erano mesi che non provavo una gioia così profonda e vera come in questo momento”. Da una parte vi è, appunto, la riapertura della chiesa della Sagra, che “rappresenta il ritorno alle radici della fede”. Eretta nel 752, “è la nostra chiesa madre e il fatto che abbia resistito (era chiusa principalmente in via precauzionale, ndr) è un bel richiamo a quella verità che il terremoto può distruggere le chiese, ma non la Chiesa”. La Sagra, aggiunge il vescovo, è segno anche di come la città di Carpi abbia come fondamento la fede cristiana, ed è “impossibile pensare alla ricostruzione se non poniamo alla base un umanesimo integrale, di una fede che si fa cultura”.

Segno di speranza e rinascita. Altro motivo di gioia, la nuova chiesa di Novi, “un bel segno di speranza e di rinascita” per il parroco don Ivano Zanoni, che ha messo in rilievo come sia stata innalzata a tempo di record, in appena due settimane – “il 2 agosto avevamo solo la platea di cemento” – e grazie al contributo di tanti, dagli oltre 1.500 benefattori che hanno dato a Telepace i fondi necessari alle aziende che hanno prestato la loro opera o donato materiali, da San Damiano d’Asti (luogo di provenienza degli arredi liturgici) a Reggio Calabria (dove è stata confezionata la casula indossata dal vescovo durante la celebrazione). “Tocca a noi ripartire per ricostruire ciò che il terremoto ha distrutto”, ha detto il direttore dell’emittente cattolica, don Guido Todeschini, ricordando la “catena di solidarietà” che ha reso possibile l’opera, con offerte giunte da tutto il mondo, “frutto di rinunce e sacrifici”. “Ripartire – ha esortato – da qui, da questo piccolo tempio dal quale s’irradia la luce di quel Dio che è padre e ha cura di tutti i suoi figli”.

Una grande responsabilità. “Che bello sentire suonare di nuovo le campane”, commentava stamattina una donna mentre dal piccolo campanile che si erge dietro alla struttura si diffondeva il tradizionale richiamo alla preghiera e alla liturgia. “Finalmente abbiamo di nuovo un luogo di culto dove poter celebrare”, rileva il vescovo, riconoscendo che “adesso abbiamo capito – e forse è l’insegnamento del terremoto – che una comunità senza la propria chiesa, il luogo di culto e le sue strutture è una comunità povera, che rischia di sgretolarsi”. Un pericolo che Novi, ora, ha scongiurato, ma “questa è anche una grande responsabilità, da qui – ha precisato mons. Cavina ai fedeli – deve partire la nuova evangelizzazione. A questa parrocchia dovremo guardare tutti” e “la vostra fede, carità e speranza dovranno illuminare quanti ancora si trovano nella prova”.

La gente vuole le chiese. Si riparte da una chiesa, dunque. “È ciò che la gente ha chiesto”, riferisce il presule al Sir. “È un richiamo a ciò che la popolazione desidera: prima ancora delle strutture comunitarie vuole le chiese per sentire il suono delle campane, per poter incontrare il Signore e averlo presente nel tabernacolo”. Certo, ora l’attesa “è che cominci davvero la ricostruzione. Di parole ne abbiamo avute a sufficienza. Adesso serve che tutte le promesse fatte si concretizzino e i soldi stanziati arrivino il prima possibile per una ricostruzione che è sì morale, ma pure materiale”. In questa direzione la chiesa di Novi, nata in due sole settimane, è un segno di speranza per i fedeli, ma non solo: se ci sono la volontà e l’impegno comuni, ricostruire è possibile. Qui, in questo spicchio d’Emilia, non c’è più il silenzio irreale del terremoto, è tornato il suono delle campane. Lo si ode fin dalle campagne: sì, ora è possibile guardare avanti.

Caritas toscane in Emilia in visita alle parrocchie colpite dal terremoto