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Essere cattolici in Grecia, con umiltà

Nei giorni scorsi una delegazione del comune di Arezzo, guidata dall’assessore al turismo Michele Colangelo, su invito del comune di Corfù, ha incontrato il sindaco della città Yannis Trepeklis per mettere a punto alcuni accordi atti a per favorire uno scambio promozionale turistico tra i due territori. La firma ufficiale per l’accordo tra i due comuni avverrà il prossimo 21 maggio. Nell’occasione, la delegazione ha incontrato a Corfù anche l’arcivescovo mons. Yannis Spiteris, già incontrato ad Arezzo nello scorso novembre.

di Elisabetta Giudrinetti

In queste ore così drammatiche per il futuro della Grecia, acquista una particolare rilevanza la voce di mons. Yannis Spiteris, vescovo cattolico di Corfù, Zante e Cefalonia nonché amministratore apostolico del Vicariato di Salonicco, incontrato a Corfù alla vigilia del voto parlamentare di domenica 12 febbraio sul nuovo piano di austerità richiesto dall’Ue e dal Fmi per ottenere la nuova tranche di aiuti da 130 miliardi di euro con l’obiettivo di salvare il Paese dal default.

«Non rinunciamo mai a far sentire la nostra voce di cattolici – spiega il presule – soprattutto in queste ore così difficili e, apparentemente, senza speranza per il popolo greco». «Una voce che, purtroppo, non può essere forte come vorrebbe, a causa della nostra presenza minoritaria come cattolici e che non ci fa avere gli stessi diritti della maggioranza ortodossa. Il governo greco non riconosce la nostra chiesa, così ufficialmente non esistiamo. E sebbene io sia nato a Corfù, sono trattato come uno straniero o, meglio, come un cittadino di seconda classe».

E le parole sono dette con un tono dolce ma venato da una punta di tristezza nella voce.

Una tristezza che parte dalla consapevolezza di quanto sia difficile essere minoranza cattolica in un paese a maggioranza ortodossa (97%). «Ho passato metà della mia vita in Italia – racconta mons. Spiteris nel suo ufficio a Corfù – insegnando in varie università pontificie e, quando sei a Roma e vivi a Roma, non ti rendi conto di quanto sia difficile essere cattolico in un paese che non lo è. Si dà tutto per scontato. Ma non lo è affatto».

Cappuccino, teologo raffinatissimo, specializzato in teologia orientale, autore di numerosissime pubblicazioni, per molti anni responsabile dell’ecumenismo nella Conferenza episcopale greca e nell’ordine dei cappuccini, docente apprezzato in numerose pontificie università, amico personale di Benedetto XVI («queste sono cose private…»), Yannis Spiteris è arcivescovo di Corfù, Zante e Cefalonia e vicario apostolico di Tessalonica (Salonicco) dal 2003.

E nell’antica arcidiocesi di rito latino di Corfù risiede la comunità cattolica più numerosa dell’arcipelago delle isole Ionie (circa 4.000 fedeli), che si riunisce attorno al Duomo settecentesco, dedicato a San Basilio e a Sant’Ambrogio, ma esistono anche altre chiese cattoliche di grande interesse storico, veri gioielli che però necessitano di costose ristrutturazioni. «Purtroppo – sottolinea mons. Spiteris – le nostre difficoltà economiche sono enormi, perfino per il fabbisogno quotidiano, in quanto la Chiesa cattolica, non rivestendo per la legge greca alcuna figura giuridica, non usufruisce dei finanziamenti e degli aiuti governativi assegnati a quella ortodossa».

Eccellenza, cosa dice ai giovani che incontra?

«I ragazzi, i giovani in genere, ancora non si sono resi conto di cosa stia realmente accadendo nel nostro Paese. Anche se qualcuno comincia ad essere piuttosto disorientato. A Corfù comunque, come nelle altre sei isole Ionie, la situazione non è così drammatica come ad Atene o in altre zone della Grecia, anche se stiamo assistendo ad un fenomeno assolutamente sconosciuto in queste isole: la micro delinquenza. Un fenomeno nuovo per queste isole in cui, ancora, la gente lascia alla porta le chiavi di casa…».

Come è la Grecia di oggi?

«È una Grecia che vive l’incertezza assoluta. Gli scontri in piazza di queste ore sono fatti da persone che non hanno più niente da perdere. E sta crescendo in maniera esponenziale il numero dei suicidi. Il popolo si sente tradito dalla classe politica, pensava di aver raggiunto un benessere economico e non era vero. Abbiamo una spaventosa crisi di valori, determinata anche dalla presa di coscienza di forme di corruzione diffuse».

Le isole Ionie sono un arcipelago meno infelice rispetto al resto della Grecia?

«Per certi aspetti sì, anche se non completamente. Queste isole vivono di turismo e, quindi, sentono meno la crisi generale, ma non per questo non la vivono».

Le isole Ionie e l’Italia sono ancora molto unite fra loro?

«Assolutamente, sia culturalmente che storicamente. A Corfù la presenza della Repubblica veneta che l’ha difesa per ben quattro secoli dall’invasione dell’Impero ottomano è  evidente nella sua architettura, nel suo dialetto, nella sua cucina. Ed anche eventi molto drammatici accaduti l’8 settembre 1943 a Corfù e a Cefalonia, con lo sterminio della Divisione Acqui da parte dei nazisti, hanno molto unito i nostri popoli».

A Corfù, la Chiesa cattolica fa iniziative comuni con la Chiesa ortodossa?

«Gestiamo il negozio per i poveri e, vicino al porto, una mensa sullo stile della nostra Caritas. Tuttavia, l’evento più importante – che rappresenta un’esperienza unica, diversa dal resto della Grecia – è legato ai festeggiamenti dedicati alla Pasqua. Una grande festa assieme, la più grande della Cristianità, che combina armonicamente la fede greco-ortodossa, la comunità cattolica, la presenza di San Spiridione (il santo patrono dell’isola che, nel 1630, grazie al suo intervento salvò Corfù dalla peste, nda), l’influenza veneta ma anche l’umorismo corfiota, la musica delle bande e l’atmosfera primaverile che regala un suggestivo contorno al tutto. La sera del Sabato Santo, prima della celebrazione ortodossa, si celebra la messa della Resurrezione nel Duomo cattolico, che termina attorno alle 23 per consentire ai fedeli di partecipare alla funzione pasquale ortodossa».

Che rapporto ha la Chiesa cattolica di Corfù-Cefalonia-Zante con il potere civile?

«Nell’insieme, direi, buono. Personalmente, partecipo ad ogni manifestazione civile a cui vengo invitato, perché ritengo opportuno dare testimonianza anche con la presenza. Devo, comunque dire, per dare il senso della nostra presenza cattolica in questo territorio che, ad esempio, quando partecipo ad una manifestazione pubblica a Corfù, il posto del vescovo cattolico è in quarta fila, dopo le autorità militari, sotto la denominazione dogmi stranieri: noi cattolici siamo dei dogmi stranieri! Per cui, rimanere umile in un angolo, senza sbattere la porta e andarsene a casa, solo per offrire la presenza della Chiesa cattolica, non è molto piacevole… Devo, però, dire che – a poco a poco – la gente ha apprezzato ed apprezza la presenza del vescovo cattolico. Questo fa molto piacere, ma impone anche molta prudenza».

Quale è la sua esperienza personale del ministero episcopale in questa diocesi così particolare, in cui i territori sono divisi dal mare?

«Spesso dico che un parroco in Italia ha più soddisfazione a fare il parroco, che un vescovo in Grecia a fare il vescovo. Specialmente in questa realtà delle isole Ionie in cui i cattolici sono una piccola minoranza, e nella Grecia del Nord, sino ai confini con l’Albania, la Turchia e la Bulgaria. I cattolici sono pochissimi (circa 50.000 in tutta la Grecia, nda) anche se il loro numero sta aumentando per via dell’emigrazione. Abbiamo pochissimi sacerdoti per l’intera diocesi, così dobbiamo organizzarci come meglio possiamo. Fare la spesa, organizzare il catechismo, occuparsi di un muro a riparare… piccoli esempi per spiegare come la mia esperienza di vescovo sia molto francescana e che come vescovo in Grecia ho imparato davvero ad essere un francescano umile. Avevo molte più gratificazioni quando ero professore a Roma, anziché ora che sono arcivescovo! Ai miei fedeli dico sempre che siamo una minoranza in Grecia, ma siamo una maggioranza nel mondo. Noi cattolici in Grecia non siamo neppure riconosciuti come Chiesa dallo Stato. Stiamo cercando di ottenere questo riconoscimento ma ancora siamo molto lontani al punto che ci chiediamo se ci stanno prendendo sul serio. Davvero in Grecia non occorrono molti sforzi per mettere in pratica la minorità e l’umiltà!».

Nelle sue ricerche ha messo più volte in evidenza l’importanza del dialogo, non soltanto ecumenico, ma anche interreligioso e interculturale. Chiedo al frate cappuccino e non al vescovo: quale dono particolare ha il francescanesimo nel dialogo intrinseco alla missione della Chiesa?

«Dopo un’esperienza di tanti anni, credo di poter dire che noi francescani abbiamo un privilegio, quello di presentarci ai nostri fratelli da minores, ovvero da fratelli che non vanno a conquistare con la forza del numero, della ricchezza, del potere, ma vanno come fratelli accanto agli altri, per servire. Devo dire che gli Ortodossi hanno paura della Chiesa cattolica. Non hanno ancora capito che la Chiesa cattolica è sincera nel porgere una mano di riconciliazione e ritengono (anche oltre il vero) che una Chiesa forte, potente e bene organizzata non sia sincera, ma voglia conquistare ed annettersi le altre Chiese. Il francescano invece risulta più gradito e credibile, in quanto ha con sé san Francesco d’Assisi, che è il santo più conosciuto ed amato dagli ortodossi, e perché pone in essere un comportamento di minorità. Per tanti anni, allorché mi incontravo con gli Ortodossi e questi sapevano che ero un francescano, mi aprivano tutte le porte. A motivo della nostra minorità, gli Ortodossi non hanno paura di noi. La minorità è una forza umile, serena e pacificatrice, che può aiutare molto il dialogo ecumenico».

C’è speranza per il dialogo ecumenico tra cattolici ed ortodossi?

«Direi proprio di sì. Esistono nel mondo ortodosso personalità veramente illuminate e disposte al dialogo, contrarie ad alcune forme di nazionalismo tanto in voga oggi in alcuni paesi ortodossi e che tanto male hanno procurato a questi paesi e alla Chiesa stessa. I viaggi compiuti da Giovanni Paolo II in vari paesi ortodossi come la Romania, l’Ucraina, l’Armenia, la Grecia stessa hanno lasciato un segno ed un ricordo positivo indelebile nell’animo della maggior parte dei fedeli ortodossi. Ed è importante ricordare che la Chiesa non è fatta solo dalla gerarchia o dai monaci, ma soprattutto dai semplici fedeli, i quali bramano e desiderano l’unità delle Chiese. Sono coscienti che il pericolo non è rappresentato dal cattolicesimo, ma dal diffondersi delle sette fondamentaliste di varia provenienza. Anche le visite di patriarchi e primati delle varie Chiese ortodosse all’attuale pontefice hanno lasciato una grande impressione positiva nell’opinione pubblica dei paesi di provenienza. Infine, non si può dimenticare che molte delle Chiese ortodosse stanno vivendo un momento di riassestamento dopo più di cinquanta anni di comunismo o dopo la disastrosa crisi dei Balcani. Stanno cercando la loro identità e, come succede spesso, hanno bisogno di opporsi dialetticamente a qualcuno per ritrovarla, anche perché esse non hanno avuto un loro concilio Vaticano II, come la Chiesa cattolica che, in virtù di questo grande evento, ha cambiato radicalmente il suo atteggiamento nei confronti degli ortodossi».

Come vede le Chiese ortodosse di oggi?

«Manifestano tutte una grande ripresa di vita spirituale e la teologia si esprime in forme nuove ed originali. Se questo rinnovamento spirituale è autentico, presto o tardi il mondo ortodosso supererà questa dialettica che in alcuni casi lo oppone alla Chiesa cattolica, riconoscendo che le intenzioni della Santa Sede sono sincere. È necessario che anche in quell’ambito avvenga una purificazione della memoria storica e al tempo stesso si comprenda che l’epoca del dominio veneziano o delle crociate è passato e quindi non c’è più il pericolo di essere fagocitati o umiliati. Quello che la Chiesa cattolica chiede agli ortodossi non è più la sottomissione, come poteva accadere fin quasi alla vigilia del Concilio Vaticano II. È necessaria una reciproca conoscenza e un superamento dei pregiudizi per affrontare assieme, in un clima di collaborazione, le sfide del terzo millennio. È necessario che diventi convinzione di tutti che una chiesa divisa rappresenta un grave peccato contro lo Spirito Santo».