Italia

Il popolo che ama e cura gli anziani e i giovani costruisce il suo futuro

Una «sinfonia a due voci», di fronte a una platea «di popolo». È la prima istantanea della Settimana Sociale, scattata da Torino, «città emblematica per tutto il cammino storico-sociale dell’Italia», dirà subito il Papa nel messaggio inviato ai partecipanti. Milletrecento, in rappresentanza di tutto il variegato arcipelago cattolico: diocesi, associazioni, movimenti. Due gli applausi che hanno salutato il messaggio di Papa Francesco e la prolusione del cardinale Bagnasco. Un «popolo» che si ritrova nelle parole dei suoi pastori, e che da loro acquista slancio per navigare in mare aperto, senza complessi d’inferiorità ma anche senza arroganza. Nello stile della «testimonianza semplice e coraggiosa di tantissime famiglie che vivono l’esperienza del matrimonio e dell’essere genitori con gioia», scrive il Papa a suggello della sua missiva.

Papa Francesco al Teatro Regio parte dall’«aria di casa», dai Santi sociali del XIX e del XX secolo, una «schiera luminosa» che – a partire da Toniolo – costituisce un esempio «sempre valido per i cattolici laici di oggi» a cercare «vie efficaci» per raccogliere le sfide della società. E all’impegno del laicato cattolico, e in particolare dell’associazionismo, il cardinale Bagnasco farà riferimento poco dopo, sul finale della prolusione, con un vibrante invito a «sostenere» il mondo associativo ecclesiale.

Una sinfonia a due voci. Il Papa parla di speranza, futuro e memoria – le tre-parole-chiave della Settimana – e lo fa dicendo che «un popolo che non si prende cura degli anziani e dei bambini e dei giovani non ha futuro». Il cardinale Bagnasco gli fa eco dedicando un’ampia parte della prolusione – tutta centrata sulla «roccia della differenza» – alla necessità di non oscurare la differenza tra le generazioni, evitando quella che definisce la «segregazione generazionale», ristabilendo il dialogo tra due segmenti della società – i giovani e gli anziani – che «rischiano di essere scartati».

La «differenza» è anche un tema del discorso di Papa Francesco: la famiglia per il cristiano, ricorda, è quella del Libro della Genesi, che vede uomo e donna uniti nella differenza: è questo il presupposto di una società e di un’economia a misura d’uomo». Tenere, o non tenere conto, di questo, comporta conseguenze positive o negative, ammonisce il Papa. Ancora la sinfonia, adesso è il momento del crescendo: «Non possiamo ignorare la sofferenza di tante famiglie», il grido del Papa, che ne cita le cause: la mancanza di lavoro, il problema della casa, la mancanza di libertà di scelta sul piano educativo. L’accento forte entra anche nei meandri spesso più nascosti dei singoli vissuti familiari: i conflitti interni alle famiglie, i fallimenti matrimoniali, la violenza che – il Papa non ha paura di dirlo – «si annida anche all’interno delle nostre case».

Eppure, nonostante tutto, sono le famiglie «belle» e semplici, quelle citate all’inizio dal Papa nello scandire delle loro attività quotidiane, che costituiscono ancora oggi lo zoccolo duro del Paese. Perché «la famiglia ha tenuto duro», dice il cardinale Bagnasco in una parte della prolusione che ci riporta ai ricordi di quella «zona franca», di quell’«onda di calore» che per ciascuno di noi – non senza le difficoltà e le prove – è stata la famiglia. Che «non era un nucleo dai confini cangianti e dai tempi incerti, ma definito e permanente, su cui sapevamo di poter contare». Il «popolo di Torino» ci conta, continua a contarci. E non ha paura di navigare in mare aperto.