Italia

Mafie: Libera, diffusa e radicata per 70% italiani. Il 30% ne ha esperienza diretta. Maglia nera al sud

Il 74,9% degli italiani ritiene le mafie un «fenomeno globale», con «uno scatto di consapevolezza rispetto alla gravità della presenza mafiosa», ma solo il 38% dichiara che «la mafia dove abita è un fenomeno preoccupante e la sua presenza è socialmente pericolosa», mentre «il 52% si divide tra coloro che la ritengono marginale e coloro che la ritengono preoccupante ma non socialmente pericolosa». Solo per l’8,5% è diffusa in tutta Italia. È quanto emerge da «Liberaidee. Rapporto sulla percezione e la presenza delle mafie e della corruzione in Italia», presentato oggi a Roma dall’associazione Libera.

«C’è ancora difficoltà ad assumere le mafie come questione nazionale», il commento dei curatori dell’indagine. Una resistenza «preoccupante perché proviene dalle regioni che determinano l’andamento dell’economia nazionale». Questo dovrebbe indurre a riflettere su un aspetto più generale che ha favorito il radicamento della criminalità mafiosa nel Nord: «dal punto di vista economico le mafie non esistono», o meglio «sono accettate come operatori del mercato soprattutto in contesti in cui possono movimentare flussi finanziari e garantire controllo della manodopera a prezzi competitivi».

Liberaidee nasce con l’intento di porsi in ascolto del territorio nazionale e internazionale, attraverso una ricerca sociale qualitativa e quantitativa costruita insieme alla rete territoriale e posta nelle mani dei volontari dell’associazione con l’obiettivo di «trasformare l’ascolto e dunque i risultati della ricerca, in azione», spiegano i promotori. La ricerca quantitativa ha raccolto 10.343 questionari con una ripartizione territoriale che vede al primo posto le regioni del Sud (35,4%), seguite da Nord-Ovest (31,1%), Nord-Est (20,9%) e Centro (12,6%). L’analisi qualitativa, concentrata invece su un campione del mondo del lavoro, ha raccolto oltre 100 interviste da responsabili o rappresentanti delle principali associazioni nazionali di categoria tra cui Confindustria, Confesercenti, Confartigianato, Coldiretti, Confcooperative. Sono tuttora in corso interviste sul campione estero dell’indagine.

Secondo l’indagine, l’assenza di violenza omicida ha consentito alle mafie «di nascondersi dietro la circolazione del denaro». Tra le attività principali delle mafie, gli intervistati indicano traffico di stupefacenti (59%), turbativa di appalti (27,9%) lavoro irregolare (24,5%), estorsione (23%), corruzione dei funzionari pubblici (21,5%), riciclaggio di denaro (20,6%) sfruttamento della prostituzione (20,0%). Nella loro opinione la mafia toglie soprattutto libertà (37,8%), giustizia(30,9%), sicurezza (30%) e fiducia nelle istituzioni(23,4%).

Quanto ai beni confiscati, circa i due terzi del campione sa che vengono dati in uso per fini istituzionali o sociali; di questi, poco meno della metà è in possesso di informazioni precise. Nella grande maggioranza dei casi – oltre otto su dieci – i beni confiscati sono percepiti come risorsa per il territorio, capace di portare benefici all’intera comunità locale. Secondo i rispondenti, dovrebbero essere destinati in misura prioritaria a cooperative orientate all’inserimento lavorativo dei giovani (31%), alla realizzazione di luoghi pubblici di aggregazione e di educazione alla cittadinanza (23,5%) e a progetti di volontariato e di promozione sociale (18%). «Se molto lavoro è stato fatto dall’entrata in vigore della legge 109/96 – affermano i curatori dell’indagine -, è evidente che c’è ancora un pezzo di strada da fare sia con gli studenti, sia con gli adulti, per far sì che tutti i cittadini conoscano la portata del bene confiscato come risorsa economica e simbolica del proprio territorio».

Per il 33,4% degli italiani, la memoria delle vittime di mafia ha soprattutto funzione «di esempio per le nuove generazioni (33,4%) e di promozione dell’impegno civile antimafia (22,9%)». I più giovani evidenziano in misura superiore alla media «il ruolo di conforto ed espressione di solidarietà alle famiglie delle vittime (22,3% vs 13,4% della media)» e «i rispondenti del Sud esprimono maggiore attenzione al riscatto del Meridione e alla necessità di offrire modelli positivi ai giovani». Secondo l’associazione, queste risposte «interrogano l’azione di Libera e il suo costante lavoro per la costruzione di una memoria collettiva antimafia che parta dalla storia dei singoli e approdi alla conoscenza della Storia e alla difesa della Carta costituzionale». Importanti «il ruolo di esempio (testimoniale da parte dei familiari) e di solidarietà alle famiglie».

Per quanto riguarda le fonti d’informazione sui fenomeni mafiosi, l’indagine rivela che il 20,5% del campione ritiene il giornalismo d’inchiesta il mezzo più adeguato, seguito da televisione (18,3%), cinema (16,3%) lezioni nelle aule scolastiche e universitarie (14,9%). Solo il 6,4% usa internet (in particolare gli under 25), percentuale che scende al 4,3% riferendosi ai social network. «Importante – secondo i curatori dell’indagine – riuscire ad intercettare e usare tutti questi strumenti per riuscire ad arrivare a quanta più audience possibile».

Secondo l’indagine oltre il 70% degli intervistati ritiene la corruzione «molto o abbastanza diffusa» a livello regionale. Forti le differenze territoriali: quasi il 90% al sud ha una visione pessimistica. Circa il 30% del campione ha incontrato in prima persona o tramite conoscenti richieste indebite di tangenti o altri favori; percentuale che tocca il 40% al Sud, dove è quasi doppia rispetto al Nord-est. «La corruzione – affermano i curatori dell’indagine – si conferma dunque come un fenomeno profondamente radicato» ed è «la sfera politica il principale bersaglio selettivo della sfiducia»: per la metà dei cittadini «membri del governo, del Parlamento e dei partiti», mentre il settore degli appalti – con oltre il 40% – si conferma «area sensibile» al rischio corruzione da cui non sono immuni imprenditoria (oltre il 30%) e finanza (15%). Solo il 12% indirizza il proprio malcontento sugli impiegati pubblici in generali.

Secondo Libera, molti degli strumenti di prevenzione e contrasto sono «spuntati»: chi denuncia «ha paura delle conseguenze» (80%) o ritiene corrotti gli interlocutori cui dovrebbe presentare la denuncia (36%), mentre il 23% ritiene la corruzione «un fatto normale». Le azioni ritenute più efficaci sono atti individuali come denunciare (51%), rifiutarsi di pagare (27%), votare per gli onesti (20%), mentre minor peso hanno l’iscriversi in associazioni, il partecipare a manifestazioni o firmare petizioni (tutte intorno al 15%). Libera si interroga «su ciò che come associazione sia importante fare (ex. il servizio LineaLibera)» ma anche le istituzioni dovrebbero porsi domande «sul proprio ruolo difensivo per chi ha un vissuto e non si sente tutelato rispetto al percorso di denuncia».

Oltre la metà degli italiani ritiene che nella propria regione vi sia la presenza di organizzazioni criminali di origine straniera con caratteristiche similari alle mafie tradizionali italiane, ma il 45,2% afferma di non essere in grado di identificare esattamente l’origine di questi gruppi mafiosi. Tra coloro che rispondono in modo puntuale alla domanda, invece, prevale l’indicazione di mafie di origine cinese (16,8%), albanese (11,7%), balcanica (11,4%) e nigeriana (9.0%). Interessante il caso del Nord est, territorio economicamente importante in cui «la penetrazione delle mafie e della corruzione è stata capace di rendersi invisibile e ancora abissata». Per 4 cittadini su 10 la mafia è infatti «invisibile» e costituisce «un fenomeno marginale»; il 44,6% definisce la corruzione «poco diffusa» o «assente». Ed è proprio nel Nord est, a Padova, che Libera ha scelto di celebrare il prossimo 21 marzo la XXIV Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie.

La ricerca, annuncia un comunicato, «vedrà come modalità di diffusione un grande viaggio nazionale e internazionale, Idee in Viaggio, che porterà in tutte le Regioni e Province i dati raccolti in centinaia di tappe: nelle piazze, nelle sedi delle istituzioni, nelle scuole, nei luoghi di lavoro, per dare vita a un nuovo dibattito pubblico su mafie e corruzione». Intanto il 22 ottobre inizierà «Idee in viaggio», percorso di oltre 200 tappe in Italia e in Europa nel quale i coordinamenti locali di Libera animeranno un dibattito a partire dai dati dell’indagine con l’obiettivo di riscrivere l’agenda dell’associazionismo in tema di mafie e corruzione, con una funzione di advocacy rispetto alle istituzioni competenti. Il viaggio inizia il 22 ottobre: prima tappa la Toscana.