Italia

Rosario Livatino: card. Bassetti, “beato un popolo, un Paese che ha uomini e donne così”

“Davvero beato un popolo, un paese che ha uomini e donne così. Beate le istituzioni che sono presidiate da figure simili. Beati quei malcapitati, quei poveri, quei soggetti meno fortunati che ricorrono a una giustizia amministrata da persone simili”. È l’omaggio del card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, al giudice Rosario Livatino, assassinato 30 anni fa per mano mafiosa e ora diventato servo di Dio. Nell’omelia della messa celebrata oggi a Roma, presso la Chiesa del Sacro Cuore del Suffragio, il cardinale ha sottolineato la “coerenza, fedeltà, dedizione” che “nel caso del magistrato al Tribunale di Agrigento fu realizzata fino al sacrificio della vita”, nonché “la dedizione al servizio che si è assunto, ovvero senza impancarsi a superuomini, senza ostentare una saldezza che non si possiede, senza inutili asprezze; in definitiva con semplicità e umanità”. “Chi ha studiato i diari di Rosario Livatino – giudice, ma prima ancora uomo e credente – attesta di incertezze, di sfoghi spontanei, di lacerazioni interiori e di silenzi”, ha fatto notare Bassetti: “Il che non ne fa un testimone meno prezioso per chi ebbe la fortuna di conoscerlo di persona o per chi ne ha solo sentito parlare. No: questi tratti di penna, queste semplici confidenze, ce lo rendono ancora più umano, vero, vicino. Perché come dai peccatori possono originarsi – per grazia di Dio – i santi, così i coraggiosi nascono non dai temerari ma dai timorosi e i forti sorgono non dai presuntuosi bensì dai deboli che accolgono la propria debolezza e si lasciano mutare dal confronto con le situazioni, le persone e i valori”. 

“Abbiamo bisogno di tanti piccoli e grandi eroi del quotidiano – ha proseguito il presidente della Cei a proposito del ‘giudice ragazzino’ –  che si sentano chiamati mentre attendono al loro lavoro, che sappiano comportarsi in fedeltà alla missione ricevuta, che donino umilmente la vita giorno per giorno là dove si trovano a vivere e a operare, che abbiano il coraggio della fedeltà nonostante i limiti e le umane debolezze, che onorino il proprio mandato – qualunque esso sia – con estrema dignità”.  “Rosario Livatino al momento di entrare in magistratura aveva chiara coscienza della missione che si assumeva”, ha aggiunto Bassetti. Egli stesso lo afferma il 18 luglio del 1978: “Ho prestato giuramento – annota sulla sua agenda -; da oggi quindi sono in magistratura. Che Iddio mi accompagni e mi aiuti a rispettare il giuramento e a comportarmi nel modo che l’educazione, che i miei genitori mi hanno impartito, esige”. “Le idee erano chiare fin dal principio”, ha precisato il cardinale. “Eppure possiamo ritenere che anche per lui, nella decina d’anni di esercizio della professione, la determinazione nel seguire quella che si stava sempre più prospettando come una specifica chiamata si sia fatta sempre più netta”, ha ipotizzato Bassetti, che poco prima aveva fatto un paragone con la scena ritratta da Caravaggio a San Luigi dei Francesi, raffigurante la celeberrima vocazione di San Matteo: “Forse anche al giudice Livatino la via che l’avrebbe portato ad assumersi fino in fondo – fino al sacrificio estremo – le proprie responsabilità si trovò confermata a poco a poco, mentre svolgeva il suo lavoro, mentre non ricusava gli incarichi più esposti, mentre assisteva alla morte violenta di altri giudici stimati, mentre conosceva ogni giorno di più il tessuto profondo e talvolta malato di territori che a uno sguardo meno attento di quello di un magistrato o di un operatore di polizia possono sembrare tranquilli e laboriosi”. “Per lui tutto questo era questione di vita o di morte, ma prima ancora di vita vera e di fede limpida”, la tesi del presidente della Cei, secondo il quel Livatino “riuscì a ritrovare una sintesi tra religione e diritto che non appare scontata, come dimostra una sua conferenza: ‘Cristo – egli affermò – non ha mai detto che soprattutto bisogna essere ‘giusti’, anche se in molteplici occasioni ha esaltato la virtù della giustizia. Egli ha, invece, elevato il comandamento della carità a norma obbligatoria di condotta perché è proprio questo salto di qualità che connota il cristiano’”. In altre parole, “non c’è piena giustizia senza amore”, ha sintetizzato il porporato, citando Papa Francesco: “In questo modo, con queste convinzioni, Rosario Livatino ha lasciato a tutti noi un esempio luminoso di come la fede possa esprimersi compiutamente nel servizio alla comunità civile e alle sue leggi; e di come l’obbedienza alla Chiesa possa coniugarsi con l’obbedienza allo Stato, in particolare con il ministero, delicato e importante, di far rispettare e applicare la legge”.