Italia

Scuola: Idos, straniero 1 studente su 10, ma più della metà sono nati in Italia

Si riapre la scuola in Italia e le classi saranno ancora spiccatamente multiculturali. Secondo i dati raccolti nel Dossier statistico immigrazione 2018, che il Centro studi e ricerche Idos, in partenariato col Centro studi Confronti, presenterà il prossimo 25 ottobre, «sono 826.000 gli iscritti di cittadinanza straniera nell’a.s. 2016/2017, circa un decimo (9,4%) della popolazione scolastica complessiva». Una incidenza in continua crescita, visto che «gli alunni figli di italiani vanno sempre più diminuendo (-96.300 in un anno, -1,2%) per il costante calo delle nascite, mentre quelli nati da genitori stranieri vengono gradualmente aumentando (+11.200 e +1,4%), grazie alla maggiore giovinezza e fecondità della popolazione di origine immigrata». Tuttavia, «anche tra gli stranieri le nascite sono in progressivo calo e attualmente gli alunni stranieri non bilanciano più la perdita in atto e il numero complessivo di iscritti è calato in un solo anno di 85.000 unità (-1,0%)».

In particolare, «più della metà degli alunni stranieri (56,6%) frequenta la scuola dell’infanzia (20,0%) e quella primaria (36,6%), dove sono quasi l’11% di tutti gli scolari», mentre «meno di un quarto (23,2%) le scuole superiori, dove rappresentano solo il 7,1% di tutti gli studenti e, anche per le maggiori difficoltà di inserimento e rendimento scolastico, scelgono con più frequenza istituti professionali».

Sebbene tra loro siano rappresentate 190 nazionalità, «si tratta, per oltre la metà dei casi, di giovani romeni (158.000), albanesi (112.000), marocchini (102.000) e cinesi (49.500)». D’altra parte, «le regioni in cui è più alta la loro incidenza nelle scuole sono nell’ordine: Emilia Romagna (15,8%), Lombardia (14,7%), Umbria (13,8%), Toscana (13,4%) e Piemonte (13,0%)».

Il Dossier di idos mette in evidenza anche che «È sempre più ampia la quota sempre più ampia di alunni stranieri che sono nati in Italia». Si tratta delle cosiddette «seconde generazioni», che «spesso riconoscono l’italiano come propria lingua madre, vivono con e come i coetanei italiani e si sentono tali a tutti gli effetti, condividendo con loro ogni cosa eccetto la cittadinanza». Se nell’anno scolastico 2007/2008 erano appena un terzo (34,7%) di tutti gli alunni stranieri, nell’anno scolastico 2016/2017 sono più di mezzo milione (503.000), i tre quinti (60,9%) del totale. Rispetto all’anno scolastico precedente, costoro sono aumentati di ben il 12,9% (+57.600).

«Si tratta – osserva Luca Di Sciullo, presidente di Idos – di identità non riconosciute dalla legge e spesso scisse tra due mondi culturali di riferimento, ora in conflitto con le famiglie immigrate d’origine, quando ne rifiutano il modello identitario per abbracciare quello italiano, ora con la società italiana, quando accade il contrario». «Con l’aggravante – continua il presidente di Idos – che nel primo caso essi rischiano un doppio conflitto: oltre che con la famiglia d’origine, perché si sentono italiani, anche con la società ospitante, se, al momento di inserirsi nel mondo del lavoro o nei contesti di partecipazione sociale, verranno comunque discriminati perché formalmente stranieri».

«Se fino a diversi anni fa – dice Di Sciullo – la priorità della scuola in Italia era di mandare a regime una didattica meno incentrata sulla sola storia, geografia e cultura italiana e più aperta alla conoscenza dei paesi e delle tradizioni del resto del mondo, in considerazione delle provenienze e dei portati culturali degli studenti stranieri, oggi che i tre quinti di essi sono nati e cresciuti in Italia senza esserne cittadini, la priorità è diventata la necessità di affrontare e gestire il loro conflitto d’identità, perché esso non finisca per esplodere, quando, usciti dalle aule, questi giovani si inseriranno nella società». «Un compito – conclude – in cui la scuola non può essere lasciata da sola, ma che richiede la collaborazione di tutte le altre agenzie formative (famiglie, associazioni, gruppi sportivi ecc.) che una volta formavano la cosiddetta comunità educante».