Italia

Studenti toscani ad Auschwitz con il treno della memoria

di Filippo Ciardi

Quasi 800 partecipanti, tra cui oltre 500 studenti e 92 professori provenienti da 72 scuole superiori, e 40 universitari, hanno partecipato al viaggio ad Auschwitz con il «Treno della Memoria», promosso per la sesta volta dalla Regione Toscana, dal 25 al 29 gennaio, quest’anno in collaborazione con il Museo della Deportazione e della Resistenza di Prato. Un viaggio per non dimenticare l’orrore della deportazione nei lager nazisti e lo sterminio di 12 milioni di persone, di cui 6 milioni di ebrei, e poi rom, prigionieri di guerra, dissidenti, omosessuali e altri ancora. Nella folta delegazione anche rappresentanti di istituzioni ed amministrazioni locali, associazioni, comunità religiose, giornalisti. Ma soprattutto 4 sopravvissuti ai campi di concentramento, che hanno accompagnato il gruppo trasmettendo i loro ricordi come un’eredità forte per le nuove generazioni.

Lunedì 26 gennaio l’arrivo direttamente alla stazione della cittadina polacca di Oswiecim (Auschwitz in tedesco) con il treno speciale partito il giorno prima da Firenze, dopo un viaggio in cui già i 4 testimoni presenti avevano parlato con la stampa e gli studenti nel vagone ristorante, ripercorrendo con loro idealmente il triste tragitto verso il lager.

Il primo giorno di visita guidata è stato al campo di Auschwitz II – Birkenau. All’inizio una processione con candele dall’entrata del lager al monumento internazionale. Un silenzio surreale pervadeva l’immenso campo fangoso e ghiacciato, un «cimitero a cielo aperto – come hanno detto i sopravvissuti e le guide – dove le ceneri dei morti cremati sono ovunque». Silenzio che è stato rotto, alla fine del corteo, accanto al termine del binario che conduceva i treni dei deportati all’interno, dai nomi di alcune delle vittime toscane evocati al microfono da ogni studente, che in precedenza aveva svolto una ricerca sul prigioniero assegnato. Subito dopo, la cerimonia di commemorazione introdotta dal suono delle «chiarine» del Comune di Firenze e dalle parole del responsabile del settore cultura della Regione Toscana, Ugo Caffaz, che ha invitato i ragazzi a continuare ad «essere vigili nei confronti della paura del diverso» e a «far sì che le vittime di questo campo non siano morte invano». L’assessore regionale all’istruzione, formazione e lavoro, Gianfranco Simoncini, ha rammentato come «questo viaggio si inserisce nell’impegno della Regione Toscana e dei toscani per la promozione di una cultura di pace, per formare anticorpi contro ogni forma di intolleranza e discriminazione, nel rispetto della storia e nonostante viviamo in una società dove ancora imperversano le guerre». Il rabbino capo delle circoscrizioni di Firenze, Siena e Arezzo, Joseph Levi, ha poi letto una preghiera per tutte le vittime ed un salmo.

«Arbeit macht frei» – il lavoro rende liberi – è la celebre scritta sul cancello in ferro battuto all’entrata del campo di sterminio di Auschwitz I, visitato martedì 27 gennaio, con alcune baracche trasformate in un museo ed altre dedicate dalle varie nazioni alle proprie vittime. L’iscrizione, voluta probabilmente dal comandante del lager Rudolf Hoss, un modo quasi sadico di esaltare l’operosità forzata a cui erano sottoposti i prigionieri in condizioni disumane, potrebbe essere ribaltata nel monito che solo «non dimenticare» rende invece noi liberi. Come ha sottolineato anche l’assessore regionale alla cultura Paolo Cocchi «che il ricordo possa essere un vaccino contro l’intolleranza che può manifestarsi anche ai giorni nostri». Anche qui la visita guidata è iniziata con una cerimonia di commemorazione, presso il muro della fucilazione, con la lettura di preghiere ed invocazioni da parte di alcuni studenti, un messaggio e una preghiera rom. Il pomeriggio l’incontro con i 4 sopravvissuti italiani in uno stracolmo cinema di Cracovia, introdotto dallo storico Giovanni Gozzini, che ha sintetizzato il senso del viaggio ad Auschwitz con la domanda che si porterà a casa ognuno dei partecipanti: «Che cosa avrei potuto fare io? Che cosa potrei fare oggi di fronte alle crudeltà di un regime totalitario?».

Sopravvissuti al male, staffette della speranza

Prime a parlare nell’incontro con gli studenti a Cracovia il 27 gennaio, Giorno della Memoria, le sorelle Andra e Tatiana Bucci, deportate all’età di 4 e 6 anni perchè ebree. Hanno ancora vivo il ricordo del viaggio disumano di 2 giorni in un carro bestiame, l’arrivo ad Auschwitz Birkenau, la perdita della nonna, subito gasata, e poi della mamma «che ad un certo punto – hanno raccontato – non è venuta più a trovarci nella baracca dei bambini. Forse non abbiamo provato dolore in quel momento, dovevamo continuare a vivere. Se pensiamo al campo, vediamo fiamme, fumo, cadaveri. La morte per noi era parte della vita quotidiana. Ci siamo salvate – hanno concluso – perché probabilmente ritenute gemelle e tenute in vita per futuri esperimenti, a causa dei quali però molti altri bambini sono morti». Marcello Martini, giovane staffetta partigiana avviato a 14 anni verso il campo di Mauthausen. «Ho subito – ricorda – la forma di educazione inculcata, di violenza e di morte che è stato il fascismo e mi sono ribellato entrando nella Resistenza. Vorrei dar voce non solo alla tremenda deportazione dei fratelli ebrei, ma anche anche ai 40.000 prigionieri politici come me e ai 70.000 militari italiani morti nei campi di concentramento, che sono stati una macchina di sterminio capillarmente diffusa e perfettamente funzionante fino alla fine della guerra». Maria Rudolf, che per i partigiani di Gorizia portava lettere e messaggi, ha raccontato la sua prigionia fatta di continui spostamenti, dalla deportazione a 17 anni. «Fui prima imprigionata nelle carceri di Gorizia, scoprendo successivamente che fui assolta dal processo ma lo stesso trasferita nelle prigioni di Trieste “per proteggermi dai partigiani”, come scritto nei documenti del processo, poi deportata ad Auschwitz, Flossenburg e alla fine a Plauen ai lavori forzati nella fabbrica di lampadine Osram». Il messaggio unanime di tutti i testimoni alle nuove generazioni è stato unanime: «partecipate alla vita attivamente, imparando a distinguere il bene dal male».