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Tra i cristiani del Libano e della Siria

Pioggia battente, sole e nuvole luminose, neve bianca sui monti…. colori accesi e situazioni meteo utili ai terreni coltivati hanno accompagnato il viaggio della Delegazione della Fondazione Giovanni Paolo II in Siria e Libano dal 16 al 20 febbraio. «Avete portato la benedizione della pioggia!», ha detto qualcuno al loro arrivo. A quella ci ha pensato il buon Dio, ma la visita della Fondazione è stata il segno di un’altra benedizione che sta giungendo ai cristiani del Libano e della Siria attraverso alcuni progetti conclusi e altri appena iniziati.

Un veloce ricordo pensando alle opere ma specialmente ai volti di tante persone grate, all’accoglienza calda e alla condivisione di vita con fratelli animati dalla stessa fede che ha generato questo impegno e queste realizzazioni. (nella foto, mons. Cetoloni e mons. Giovannetti durante la visita in Siria e Libano)

Lunedì 16: Roma-AleppoIl volo della Syrian Airlines ci sbarca a Aleppo, dove c’è ad attenderci Mons. Giuseppe Nazzaro, già custode di Terra Santa e ora Vicario Apostolico per i cristiani di rito latino in Siria. E’ senza voce per problemi alle corde vocali, ma i suoi occhi brillano di gioia e amicizia. E’ anche grazie alla Fondazione che ha potuto realizzare, in pochi anni, due strutture estremamente necessarie: la casa per sé e uno studentato per ragazze.

La casa per sé?! Eh, sì… perché quando arrivò ad Aleppo come Vicario Apostolico, si trovò una vecchia casa malconcia al centro della città, nella quale era difficile continuare ad abitare. Individuò allora un terreno nella zona universitaria, dove appunto è stata inaugurata la nuova struttura: un piano per abitazione e uffici del Vicariato, un piano per le Suore che si curano della casa e dello studentato, due piani con circa 40 posti letto per le ragazze cristiane che frequentano l’Università e che altrimenti troverebbero difficilmente alloggio ad Aleppo. Struttura semplice, lineare, improntata alla ricerca dell’utilizzo massimo dello spazio.

Martedì 17: Aleppo-LibanoCelebriamo la Messa in una sala che per ora serve anche da cappella-cattedrale…Una veloce visita alla città e alle 11 cerimonia di benedizione dei nuovi locali, (alla costruzione dello studentato ha contribuito l’Ufficio CEI per gli Interventi caritativi a favore dei paesi del terzo mondo e tutti ricordano con gratitudine la disponibilità di Mons. Vacchelli). Segue subito la benedizione della prima pietra della Chiesa che fungerà da Cattedrale. Lo scavo per le fondamenta è già fatto. Siamo tra il Vicariato e  un’altra casa per studenti tenuta dalle suore Dorotee, la casa delle Suore della Carità di Madre Teresa e il Monastero delle Carmelitane. La zona è molto comoda per raggiungere le facoltà universitarie.

L’intenzione di iniziare la Cattedrale l’aveva avuta già una ventina di anni fa il Vicario Apostolico Mons. Picchi, anche lui francescano,  ma non vi era riuscito. Aveva però già fatto arrivare una statua del Santo Bambino di Praga, alla quale voleva dedicarla. Mons. Nazzaro, benedicendo la prima pietra, ha voluto che l’idea del suo predecessore fosse rispettata, così al di sopra di un altarino già troneggiava la statua del Santo Bambino, vestito con abiti regali.

Sono intervenuti vescovi dei vari riti, religiose, frati francescani, sacerdoti e laici, amici e benefattori dello stesso Vicariato. Mons. Luciano Giovannetti ha rivolto parole di complimenti e di incoraggiamento a nome della Fondazione e della Chiesa Italiana, specialmente per questo intervento che favorirà la formazione delle ragazze cristiane e la loro permanenza nel paese.

Nel pomeriggio lunga trasferta in pullman verso il Libano: paesaggio luminoso, bello, grandi distese di grano appena spuntato e di piantagioni di pistacchi (il famosissimo frutto di Aleppo).

Lungaggini infinite al confine e finalmente, ormai col buio, arriviamo a Tripoli presso la Scuola di Terra Santa, dove ci attendono Padre Ibrahim, parroco di Gerusalemme e vicepresidente della Fondazione e padre Taufiq, un francescano libanese che ci ha sempre fatto da tramite e ha curato tutti gli appuntamenti. Ora è parroco a Jaffa -Tel Aviv. Non poteva mancare a questo momento per la sua conoscenza del Libano e perché continua a tenere i contatti tra la Fondazione e le varie realtà locali.

Con loro viaggiamo verso sud e, attraversato il centro di Beyrouth, prendiamo posto in albergo. Ma solo il tempo per ripartire: Mons. Giovannetti, Mons. Cetoloni, p. Ibrahim e p. Taufiq sono invitati a cena nella residenza dell’Ambasciatore italiano Gabriele Checchia. Ha curato il tutto Giuseppe Buonavolontà della RAI, legato da grande amicizia con P. Ibrahim e con tanti di noi fin dai progetti di Betlemme. C’è anche il Nunzio apostolici Mons. Luigi Gatti e il Vescovo latino Mons Paolo Dahdah, carmelitano.

Con attenta sensibilità l’ambasciatore ha parlato dei progetti della Fondazione e dell’importanza della presenza cristiana in Medio Oriente. Sottolinea come gli italiani siano molto amati per l’opera del contingente militare che agisce proprio nella zona dove domani inaugureremo i due progetti. Le sue parole  e la presenza del dottor Melloni, direttore della Cooperazione italiana, rinnovano la promessa di un consistente intervento della stessa Cooperazione per la costruzione dell’ospedale di Ein Ebel.

Mercoledì 18Attraversiamo la zona sud-ovest di Beyrouth, diretti a sud. Piove, ma si va veloci, sperando che il tempo si rimetta. Due anni fa il primo viaggio del direttore della Fondazione Angiolo Rossi e di Mons. Cetoloni fu molto più disagiato: c’era stato un  mese di guerra e Israele aveva bombardato tutti i ponti dell’autostrada e molti cavalcavia che la attraversavano. Spesso si dovevano prendere deviazioni fra i campi di banane o tra gli aranceti

Il Libano ha un’anima forte, di grande intraprendenza e la storia recente lo ha costretto a rialzarsi e riorganizzarsi spesso.vA Tiro ci aspetta il Vescovo Maronita Mons. Chucrallah-Nabil Hage che ci guida verso la zona montuosa. Strade strette salgono tortuose passando di villaggio in villaggio. Le zone colpite dalla guerra sono tutte ricostruite. Ogni tanto si incrociano posti di controllo dell’esercito libanese o i mezzi militari del contingente Unifil, dipinti di bianco.

Ha smesso di piovere e davanti al poliambulatorio, costruito già da qualche anno, ci sono numerose autorità civili, militari e religiose che parteciperanno alla posa della prima pietra. Prima però, in una saletta, troppo stretta per tante persone, c’è l’incontro di saluto e di presentazione. Dopo gli inni nazionali parlano il Sindaco, il Vicepresidente dell’associazione Libanesi all’estero, venuto apposta da Parigi, un Delegato del ministero libanese, il Presidente della Fondazione Mons. Giovannetti, il Vescovo di Tiro e anche il vescovo emerito. C’è gioia e coinvolgimento grande quando Mons. Hage e Mons. Giovannetti firmano, davanti a tutti, il contratto di collaborazione.

L’ospedale, unico nella zona, servirà per circa 70.000 persone. Alla sua costruzione collaborano l’Oeuvre d’Orient, la CEI tramite la Fondazione, la Cooperazione italiana e varie altre associazioni libanesi. Ci sono voluti due anni di impegno nel lavoro di progettazione e di ricerca dei fondi, si spera che tra altri due possa entrare in funzione.

All’aperto, accanto allo scavo per le fondamenta, si pone la prima pietra. Un po’ sopra, sulla pendice del terreno sventolano le bandiere vaticana, italiana e libanese. Siamo a pochi kilometri dal confine con Israele, la zona sta riprendendo vita e l’Ospedale, proprietà della Diocesi Maronita di Tiro, sarà un riferimento importante per la salute e per i posti di lavoro che creerà.

Si prega commossi chiedendo che Dio benedica il tutto e aiuti a costruire la pace su questa martoriata zona del mondo.

Nel frattempo è giunto anche il Presidente dell’Associazione di Rmesh che è stata aiutata a terminare la costruzione della Scuola. Lo seguiamo, attraversando la campagna e il paese di Rmesh (5000 abitanti, tutti cristiani) saliamo sulla collina dove è la scuola. Viene scoperta una targa che ricorda questo evento. I giovani dei vari paesi vicini (cristiani e musulmani) utilizzano già da tempo le aule, costruite col contributo della CEI proveniente dall’Otto per Mille. Ringraziano esprimendosi con sicurezza in francese. Siamo alla fine dell’orario scolastico e, uscendo tutti insieme nel piazzale antistante la scuola, fraternizzano con la Delegazione e in particolare con due giovani della Caritas Ambrosiana che sono venuti con noi.

In un vicino ristorante ci aspetta il pranzo…  il freddo e l’ora avanzata lo avevano reso appetibile e più desiderato!

Si riprende la via verso Tiro. Uno sguardo dal pullman alla zona archeologica e una sosta sul lungomare, davanti alla scuola di Terra Santa. Il vescovo Mons. Cetoloni va a incontrare il Vescovo Melchita di Tiro Mons. Georges Bacouny per portare il saluto di due sacerdoti che lavorano nella sua diocesi.

Poi di nuovo verso Beyrouth. Casualmente incrociamo il Custode di Terra Santa P. Pizzaballa. Anche lui è qui per la Visita ai Frati di Beyrouth e per inaugurare domani i lavori fatti al Conventino e alla scuola di Terra Santa di Tripoli, ne era il Direttore Padre Taufiq  ora se ne occupa il p. Halim che ha portato avanti anche il restauro che lo stesso p. Taufiq aveva progettato.

In Libano la presenza francescana non è così numerosa come nei Santuari di Israele e Palestina, ma  la Custodia arriva anche a questa parte di Terra Santa e si caratterizza per il suo impegno pastorale e formativo.Proprio presso il Convento, nella zona centrale chiamata Gemmayseh, c’è un appuntamento con il Vescovo di Bagdad Mons. Benjamin Sleiman. Uno scambio di notizie sulla situazione dei cristiani in Iraq, le difficili prospettive, ma anche un’indomita voglia di continuare a rimanere o a tornare alle proprie case… e quindi il coinvolgimento, che è chiesto anche alla Fondazione  Giovanni Paolo II, per qualche progetto.

Lo stile di ascoltare «affettivamente ed effettivamente», direbbe Mons. Giovannetti, i bisogni di questi fratelli e l’esperienza accumulata in questi anni fanno avere il coraggio e la responsabilità di dare speranza. I contatti saranno ripresi presto, alla sua venuta in Italia.

Giovedì 19Tre visite importanti e un breve momento di preghiera. Avevamo programmato di fermarci un po’ più a lungo presso il Santuario della Madonna di Harissa,  patrona del Libano, ma il traffico intenso ci ha fatto ritardare e gli appuntamenti col Nunzio Apostolico e col Patriarca Maronita sono stabiliti con precisione.

La sede di Mons. Gatti è vicina al Santuario, immersa in un bel giardino. Il colloquio con lui è schietto e utile. Parliamo dei progetti, che ammira e approva, ma per i quali ci invita a essere attenti e controllare bene tutto. Poi si passa al tema dei Palestinesi in Libano e alla difficoltà profonda che è nella popolazione locale ad accoglierli e tanto meno ad integrarli. La loro presenza è all’origine di molti problemi che questa nazione ha vissuto e continua a dover affrontare; anche la situazione politica e le divisioni all’interno dei cristiani e degli stessi musulmani non favoriscono facili visioni future. vPoco più in basso su un tornante della strada che sale al Santuario c’è la deviazione verso il Patriarcato Maronita. Mons.  Pietro Sfeir Nasrallah ci accoglie cordiale. Nonostante l’età è molto lucido e attento. Mons. Giovannetti nel presentare un piccolo omaggio e il motivo della nostra visita fa alcuni accenni stuzzicanti, ma lui non si lascia coinvolgere in grandi domande… Fuori sta aspettando già una Delegazione che viene dall’Iraq e noi siamo arrivati un po’ in ritardo… Esprime molta gratitudine per quello che facciamo per il Sud del Libano con la Diocesi di Tiro e ci benedice.

Non lontano, più vicino al livello del mare, dietro l’albergo più grande della costa libanese (Le Royal) c’è il campo profughi di Dbajeh. Circa 5.000 persone, tutti cristiani. Sembra una cosa impossibile… dopo 60 anni, ancora in questa situazione e con prospettive ancora più difficili, compresa l’espulsione da quella zona, di grande valore edilizio, senza saper dove andare.

Ce ne aveva parlato il corrispondente della Rai e due giovani volontari della Caritas Ambrosiana che fanno lì il servizio civile. Catapecchie, case col tetto di eternit, viuzze, situazione dei servizi veramente precaria. Nonostante l’assistenza dell’Unwra i problemi sono tanti. Manca il lavoro, l’assistenza medica è minima, la frequenza alla scuola dell’Unwra poco gradita per il basso livello. Alcune famiglie tentano di mandare i ragazzi a scuole migliori, ma sono tutte private e quindi è difficile pagare le rette…

Ci accolgono nella loro casetta, povera come le altre, le Piccole Suore di Nazaret, una congregazione religiosa dalla spiritualità di frère Charles de Foucauld. Stanno tra la gente del campo, vivendo con loro e condividendo problemi e difficoltà. Nelle parole della responsabile si sente il dolore e l’ansia per  tante situazioni di povertà, malattia ed emarginazione che vedono quotidianamente. Una quindicina di giovani delle superiori forse dovranno lasciare la scuola perché l’associazione che pagava la retta scolastica non ha più fondi… Cosa fare? Una mamma, ammalata di tumore, ha finito la cura e vorrebbe riprendere il lavoro perché altrimenti in famiglia non c’è da mangiare, ma come fare se non riesce nemmeno a reggersi in piedi?… e tanti tanti altri casi dentro il quadro generale di dimenticanza da parte di tutti. Ci sono ong come World Vision e altri. C’è un piccolo centro Caritas dove, in alcuni giorni, si può trovare il medico o l’infermiera, ma anche questo è veramente poca cosa…

Una passeggiata tra le case ci fa incontrare, nonostante tutti questi problemi, il volto accogliente delle persone e la loro voglia di parlare. Vorrebbero ci fermassimo di più… Col pullman saliamo sulla collina dove c’è un monastero e uno sguardo dall’alto ci rivela il contrasto bruciante tra i tetti delle casupole e  le strutture vicine.

È stato un momento forte… provocante, che ci coinvolge in altri bisogni… Abbiamo promesso che cercheremo di fare qualcosa per i ragazzi che non ce la fanno a pagarsi la retta scolastica.

Questi incontri mettono sempre anche nell’umiltà… Quanto è poco quello che possiamo fare… e quanto è importante che ci preoccupiamo di farlo uniti a Gesù, il Signore. Chi ha nel cuore questa vita, sa stare anche dentro queste angustie, non mortificato, ma fecondo e impegnato a opere di amicizia e di vicinanza, come abbiamo visto quelle piccole suore… Si può solo portare qualche seme… Le cause del male e delle ingiuste situazioni, in cui tanti si trovano, hanno bisogno di interventi ben più radicali che spettano ai capi dei popoli, alla politica, alle potenze economiche… E anche in Libano queste cose non mancherebbero, ma…

Col cuore un po’ stretto riprendiamo il pullman… Dobbiamo arrivare a Damasco e ci sono da attraversare i Monti del Libano. Poco a sud di Beyrouth deviamo verso sinistra e si comincia a salire. Le vette sono bianche di neve. Scendiamo verso la valle della Beqaa e poi, attraversato il confine, ci dirigiamo verso Damasco. Obiettivo: una visita ai luoghi di san Paolo, ai quali giungiamo dopo aver percorso il Souq, la Via Retta e essere entrati per qualche minuto nella grande Moschea che ha al suo interno la Reliquia della Testa del Battista.

Accolti da p. Hatef, francescano, celebriamo la Messa nella Chiesetta sotterranea della Casa di Ananiah e dopo cena raggiungiamo il Memoriale di San Paolo. Ci hanno aspettato pazienti  le suore francescane e padre Romualdo, un fratino spagnolo piccolo e tondo ma che è forse il maggior conoscitore della storia cristiana della Siria. Ci fa vedere la chiesa voluta da Paolo VI, dopo il suo incontro con Atenagora e la grotta vicina, fatta restaurare da padre Michele Piccirillo, dove, secondo la tradizione, Saulo fu buttato a terra dalla visione che interruppe il suo viaggio contro i cristiani di Damasco.

Il calore accogliente e le parole di padre Romualdo, ricche di amore a questa Terra Santa di Paolo e degli inizi della chiesa, chiudono un viaggio intenso, riponendolo alla sua fonte originante: l’incontro col Vangelo che è la persona di Gesù e la voglia di comunicarlo a tutti…  in parole e opere.

Viator Giovannetti: Ecco i nostri progettiIl vescovo è tornato da poche ore dal viaggio in Siria e Libano. Molti incontri, alcuni progetti già realizzati e inaugurati, altri dove è stata posta la prima pietra, tante le richieste di aiuto e di intervento. Mons. Giovannetti, presidente e anima della Fondazione Giovanni Paolo II, non nasconde un po’ di stanchezza per giorni intensi, fatti di spostamenti continui e mille incontri, ma è felice per quello che la Fondazione insieme a tanti enti e associazioni sta facendo e può ancora fare in Libano e in Siria.

Quali progetti avete inaugurato?

«In Siria, ad Aleppo, è stata inaugurata la casa del vescovo, che è soprattutto la casa per giovani ragazze cristiane che stanno studiando all’università. Era attesa da anni. Un segno importante per giovani che studiano. Grazie al contributo della Cei abbiamo anche messo la prima pietra per la Cattedrale dei cristiani latini che sono sprovvisti di chiesa. Così come nel sud del Libano, nella diocesi di Tiro, abbiamo messo la prima pietra dell’ospedale. Sarà l’unico presidio sanitario e servirà una popolazione di oltre 70.000 persone. Abbiamo anche inaugurato il liceo».

Quindi ancora opere per i giovani?

«Sì, la scuola è fondamentale. Uno studente, felice per avere finalmente un posto dove studiare ci ha chiesto se potevamo mettere anche il riscaldamento. E’ una zona dove il freddo è pungente e si fa sentire. Ce lo ha chiesto con molto garbo. Cercheremo di provvedere, perché studiare al freddo non va bene».

Nei molti incontri che avete avuto quale situazione avete trovato?

«Mi veniva sempre da pensare che le nostre realizzazioni, importanti, sono però piccole cose di fronte alle tante necessità. Mi tornava alla mente il commento di S. Agostino al vangelo di Giovanni: “Al tempo di Gesù morivano tante persone, ma Lui ne risuscitò solo tre, c’erano tanti affamati, ma Lui fece solo due moltiplicazioni dei pani e dei pesci …”. Non dobbiamo enfatizzare quello che facciamo, anche se sono segni importanti, segni di speranza. Ma dobbiamo intensificare il nostro lavoro, coinvolgendo sempre più persone. Mi hanno colpito molto le parole di ringraziamento e di apprezzamento per quello che stiamo facendo e per il modo con il quale lo stiamo facendo».

La situazione nel sud del Libano è ancora molto difficile?

«Il Libano è un Paese molto bello. Nel sud ci sono molte difficoltà, ci sono zone povere perché martoriate dalla guerra. Abbiamo visitato un campo profughi che è in una situazione veramente difficile. Dovremo trovare il modo di intervenire per aiutare i cristiani che vivono lì. Gli occhi dei giovani, la loro richiesta di speranza ci hanno colpito e con quegli occhi nel cuore che siamo tutti chiamati a impegnarci ancora di più».

Come dare risposte a quegli occhi?

«Comunicando quello che abbiamo visto, stimolando le nostre chiese, la società toscana. Siamo chiamati a portare a conoscenza le situazioni di sofferenza che molti uomini e donne stanno vivendo in quella parte del mondo. Per aiutare i giovani credo che le borse di studio siano uno strumento semplice ma importante. Le famiglie non sono in grado di far studiare i giovani, ma noi possiamo diffondere questa pratica. Le nostre famiglie, le parrocchie possono adottare lo studio di questi giovani, così da dare loro un futuro».

La Siria, Paese musulmano, dove i cristiani vivono tranquillamente la fede?

«Sono rimasto colpito dalla libertà di culto che ho trovato in Siria, Paese musulmano che ha profondo rispetto per i cristiani. Chiese, tabernacoli illuminati dove i cristiani possono pregare tranquillamente. Il dialogo e la cooperazione sono da aiutare, sono la strada maestra per edificare una convivenza sempre più forte, nel rispetto reciproco».