Lettere in redazione

Famiglia penalizzata: «Ecco la mia storia»

Dopo aver letto l’editoriale del n. 37 di «Toscana Oggi» del 23 ottobre «Dall’Isee al contributo affitti ci rimette sempre la famiglia» non ho potuto fare a meno di raccontarle di seguito un po’ della mia vicenda familiare in relazione e a convalida del titolo e del contenuto dell’articolo.

Mi sono sposato nel 1961, con cadenza triennale, sono nati 3 figli (un maschio e due femmine: 1962, 1695, 1698). Poco dopo l’Italia fu pervasa dal terrore (è la parola giusta) per il boom demografico che in poco tempo avrebbe sommerso il mondo e chi, come me e mia moglie avevano già dato vita a 3 figli, erano considerati affamatori dell’umanità perfino nell’ambiente parrocchiale dove le giovanissime generazioni, tanto di moda al tempo, consideravano le coppie con figli come sprovvedute, ingenue, irresponsabili e non al passo con i tempi.

Negli anni ’70 intanto per mia moglie, che lavorava (per accudire i bambini potevamo fortunatamente contare sull’aiuto dei suoi genitori) arrivò la disoccupazione per il trasferimento al nord della ditta ove lavorava (iniziò in quel periodo il depauperamento industriale di Firenze) per cui si presentò, pressante, anche la preoccupazione per il pagamento delle rate del mutuo per l’appartamento da poco acquistato. Fra l’altro negli anni in cui la svalutazione era arrivata alle due cifre, la banca, motu proprio, aumentò il tasso fisso del mutuo portandolo, se ben ricordo, dall’8 all’11% e al tempo lo Stato non interveniva, tanto meno i sindacati e le varie, se c’erano, associazioni dei consumatori.

Rimanevano comunque sempre presenti e pressanti le preoccupazioni, anche politiche, del boom demografico tanto che, per scoraggiare le coppie dal mettere al mondo dei figli, furono praticamente azzerati gli assegni familiari a chi aveva un reddito familiare lordo superiore a 16 milioni di lire (sempre se non ricordo male) che non era sufficiente nemmeno a far sopravvivere una coppia. A me naturalmente furono tolti. In corrispondenza di questi deprimenti eventi ebbi occasione di essere informato da un caro amico, paesano, emigrato in Francia, anche lui sposato e con tre figlie  più o meno coetanee dei miei, che per incoraggiare la natalità piuttosto scarsa fra la popolazione bianca francese, gli erano riconosciuti cospicui assegni familiari che a livello di figlio unico, erano circa tre volte superiori a quelli italiani e che poi, fino a tre figli, crescevano in modo esponenziale per poi tornare, oltre i tre figli, ad aumenti più contenuti. La tassazione del reddito familiare avveniva con la formula, ormai famosa (in Italia fumosa) del quoziente familiare molto favorevole alle famiglie numerose. Nella maternità la donna poteva rimanere a casa per due anni con mantenimento del posto di lavoro e stipendio, parziale, a carico dello Stato. Esistevano altre facilitazioni ma mi fermo a quelle più significative. Eppure lui, che lavorava alla Reanult, e sua moglie, in banca o in un ministero, avevano un reddito ben superiore (quasi il doppio) a quello della mia famiglia sia in termini assoluti che relativi.

A fronte di queste notizie mi ero naturalmente agitato e mi ero rivolto ai sindacati ma la risposta fu estremamente deludente: «L’argomento non portava consenso». Partecipai anche a qualche conferenza tematica, presenti uomini politici: per le famiglie monoreddito come la mia la soluzione era quella dell’impiego della donna a tempo parziale ma in quel momento era poco diffuso e altrettanto poco ben visto. Mia moglie poi era ancora in età fertile e i tre figli presupponevano anche molte assenze da un eventuale lavoro. Conseguentemente si adattò a lavorare saltuariamente «al nero» ma per poco tempo. Poi prevalsero le necessità familiari comprendenti anche quelle dell’età avanzata dei genitori.Così, andando avanti fra ristrettezze e sacrifici che non sto naturalmente a descrivere, arrivarono per mia moglie i 55 anni dove si concretizzò la prevista beffa pensionistica: le sue ex colleghe che senza o con minimi carichi familiari avevano potuto continuare a lavorare in modo regolare, riscuotevano discrete pensioni mentre lei, per i versamenti effettuati e senza alcuna integrazione (era cioè un diritto e non una elargizione statale) arrivava a malapena al minimo.

Quanto sopra è accaduto fra gli anni ’70 e ’80 ma ho visto che negli anni successivi per la famiglia, salvo oceani di parole, niente di veramente concreto è stato fatto. Personalmente quindi per quello che ho visto, ho sentito e soprattutto ho vissuto, non posso non pensare che la famiglia normale, come la intende la Costituzione italiana, è sempre stata ignorata se non vessata, dalle istituzioni, sindacati, ecc. Tanto da giustificare ampiamente, e mi sembrano anche poche, le false separazioni.

Marcello

P.S. Se pubblicherà questo romanzo, forse poco indicato per la pubblicazione per la sua lunghezza e anche perché non tratta l’argomento con considerazioni di carattere generale ma riporta situazioni e fatti particolari di carattere personale e familiare, peraltro comuni a molte famiglie specie monoreddito, la prego di indicare nella firma solo il nome. Grazie.

Grazie a lei, caro Marcello. Come vede abbiamo pubblicato quello che scherzosamente definisce «romanzo». In realtà lo abbiamo fatto più che volentieri perché una volta tanto non sono la chiacchiere a parlare, ma i fatti. Non aggiungo nulla.

Andrea Fagioli