Lettere in redazione

In Iraq come «operatori di pace»

Mercoledì 17 novembre, nell’udienza generale, il Santo Padre ha rivolto una affettuosa attenzione a 25 familiari delle vittime di Nassiriya, ricordando il sacrificio dei militari italiani, che, ha detto il Papa, persero la vita «nell’adempimento della loro missione di pace». Queste parole, raccolte da pochissimi quotidiani e settimanali, anche se ben visibili sul sito internet della Santa Sede, sono quanto mai significative perché definiscono portatori di pace i nostri militari in Iraq, contrariamente a quanto sostenuto da una parte del mondo cattolico e da molti politici di opposizione. Pertanto, mentre è negativa la posizione della Chiesa Cattolica nei confronti della guerra preventiva, ben diverso è il giudizio sulla presenza italiana in Iraq, riconosciuta come «missione di pace».Credo che tutto ciò debba essere motivo di profonda riflessione per quella stampa e per quei cristiani (vedansi anche il forum ed i sondaggi sul sito internet di Toscanaoggi) che con le più diverse motivazioni sostengono il contrario. Marcello BardottiBarberino Val d’Elsa (Fi) Trovo difficile poter definire la nostra missione in Iraq come una «missione di guerra». I nostri soldati sono là per garantire la sicurezza del territorio, e aiutare la ricostruzione del paese e finora – per quanto si è letto e visto – si sono sempre ben comportati facendosi apprezzare e rispettare dalla popolazione. È giusto quindi chiamarli «operatori di pace», come ha fatto il Papa o come è stato ripetuto anche in occasione del funerale di Simone Cola. Ma non nascondiamoci dietro un dito. I problemi ci sono, come dimostra il tributo di sangue che abbiamo versato e l’invio in questi giorni, dopo tante polemiche, di mezzi più sicuri. E la prospettiva non può essere che quella di venir via il prima possibile per restituire piena sovranità al popolo iracheno. Ad un lettore che poche settimane fa sollecitava il ritiro unilaterale delle nostre truppe, rispondevamo che in questo momento sarebbe stata la soluzione forse più facile, ma non la più proficua. L’obiettivo prioritario è favorire e accompagnare il ritiro di tutte le forze militari straniere e lo possiamo fare più facilmente restando, in modo critico e non subordinato, all’interno della coalizione. Le recenti elezioni, pur non avendo risolto tutti i problemi (come quello dei rapporti tra sciiti e sunniti) sono un grande passo in avanti e aprono autentici spiragli di speranza.Claudio Turrini

Iraq, riportiamo a casa i soldati